Territori occupati: l’acciaio egiziano sfidato dal coraggio di Gaza.

Gaza City, 25 marzo 2010 (Irin) – Il completamento imminente da parte dell'Egitto di una barriera d'acciaio, che chiuderà i confini con la Striscia di Gaza sia in superficie che sotto terra,  sta rendendo teso il clima per i palestinesi: come sopravviveranno senza i massicci traffici di merci che passano ogni giorno dalle gallerie sotterranee?

Una lucrosa attività di contrabbando è infatti stata avviata da quando Israele ha imposto un embargo economico sulla Striscia, ovvero dopo la vittoria di Hamas alle elezioni del 2007. La Banca mondiale e gli esperti palestinesi stimano che almeno l'80% delle importazioni totali di Gaza passano da questi tunnel.

“Scavare le gallerie e lavorarci è uno dei pochi lavori disponibili per i giovani palestinesi di Gaza”, spiega Omar Sha'ban, economista locale. “I dati riportano che chi lavora sotto terra guadagna 25$ al giorno, una grossa somma per l'attuale economia palestinese. Tuttavia, [queste persone] sono sottoposte ai bombardamenti quotidiani (…) dell'aviazione israeliana, ai crolli dei tunnel e agli incendi”.

Ziad az-Zaza, ministro dell'Economia del governo di Hamas, afferma che il numero di lavoratori nelle gallerie si è dimezzato in seguito all'operazione israeliana a Gaza dell'inizio del 2009, calando approssimativamente da 20.000 a 10.000. L'esercito israeliano sostiene inoltre di aver danneggiato o distrutto il 60-70% dei passaggi durante l'offensiva. 

Abu Antar*, 45 anni e padre di sette figli, proprietario e gestore di uno dei tunnel, ritiene che la chiusura definitiva delle gallerie tra Gaza e l'Egitto significherebbe la fine di ogni guadagno per lui e per migliaia di altri il cui lavoro dipende da queste.

“Siamo riusciti a tagliare la recinzione egiziana – racconta a Irin – ma ciò che temiamo adesso è che gli egiziani ci mettano la corrente elettrica, e che aggiungano i sensori sismici per individuarci anche sotto terra, e questo renderebbe la nostra missione impossibile. I tunnel sono la nostra unica fonte di sopravvivenza.”

La barriera d'acciaio sarà lunga 10- 11 km e si estenderà in profondità per 18m, secondo le autorità egiziane. Il quotidiano ash-Shuruq ha riportato recentemente che “i lavori alla struttura sono alla quarta e ultima fase”, dopodiché verranno installate le telecamere più altri dispositivi d'individuazione.

Per la fine del processo occorrerebbero ancora alcune settimane, alle quali seguiranno un periodo di prova e quindi la piena operatività della barriera.

Il tunnel di Abu Antar ha 50 persone che vi lavorano all'interno: “Ogni giorno lavoriamo nelle gallerie e ci chiediamo se ne usciremo vivi. Tante volte la terra ha collassato (…) Morire è inevitabile in questo genere di lavoro. Lottiamo con la paura 24 ore al giorno. In tanti sono morti. Ogni mese nei tunnel aumentano le tragedie per colpa dei continui raid aerei [israeliani]”.

Gli incidenti non sono rari. Secondo l'organizzazione umanitaria palestinese al-Mezan, 120 trafficanti sotterranei sono rimasti uccisi negli ultimi tre anni.

Secondo gli stessi operai, sarebbero più di 1.000 – scavati in profondità di 15-35m e lunghi fino a 1km – i tunnel che collegano Gaza alla città di Rafah, sul lato egiziano del confine.

Disastro umanitario. “[Costruire] una galleria costa circa 200 mila dollari Usa, perciò quando verranno tutte distrutte dagli aerei israeliani, o quando saranno sigillate dalla barriera egiziana, continueranno a crescere la povertà e la disoccupazione” avverte Abu Antar. E le parole del ministro az-Zaza non lo smentiscono: “Bloccare i tunnel provocherà un enorme disastro umanitario. Tutti gli abitanti della Striscia di Gaza dipenderanno dagli aiuti alimentari dell'Onu”.

“Chiediamo al governo egiziano e a quello israeliano di sollevare l'assedio da Gaza, di lasciare che i palestinesi lavorino sulla loro terra, e non sotto terra, e che gli abitanti di Gaza vivano con dignità e orgoglio”, ha quindi concluso il ministro.

Israele ha imposto severe restrizioni alle importazioni fin dal 2007, in risposta al lancio di razzi provenienti dalla Striscia. I divieti colpiscono qualsiasi cosa possa aiutare Hamas a fabbricare armi, e includono così il ferro, l'acciaio e la maggior parte dei materiali edilizi. Tutte le esportazioni sono bloccate, e le merci importate si limitano a un ristretto rifornimento di beni umanitari. Articoli quali i libri di scuola, i banchi, le attrezzature mediche, i beni d'uso domestico e i kit di sopravvivenza subiscono grossi ritardi.

Dall'altra parte, Israele ha lodato gli sforzi egiziani volti a combattere il contrabbando. L'Egitto, da parte sua, sostiene che la propria sicurezza era minacciata da un flusso crescente di merci illecite e di militanti che penetravano nel suo territorio attraverso i passaggi sotterranei.

L'accusa principale che Israele rivolge a Hamas al riguardo, e che Hamas nega, è infatti l'utilizzo dei passaggi per l'importazione di armi.

Durante una visita a Gaza avvenuta qualche settimana fa, il coordinatore Onu per il soccorso d'emergenza John Holmes aveva però messo in guardia sui problemi che comporterebbe la chiusura effettiva dei tunnel.

“Se quelle gallerie venissero bloccate – aveva dichiarato Holmes – per quanto possano essere indesiderabili, e per quanto possano essere indesiderabili i loro effeti sulla società e sull'economia di Gaza, la situazione diventerebbe insostenibile”. Aveva quindi ribadito l'appello a Israele per la fine dell'embargo imposto alla Striscia.

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