Tre anni di Netanyahu: causa palestinese sepolta, guerra all’Iran in testa, e nient’altro all’orizzonte

Agenzie. Mentre l’opposizione in Israele si erode nella scelta della leadership di Kadima tra Tzipi Livni e Shaul Mofaz, ed emergono nuove ipotesi politiche con Yair Lapid, giornalista israeliano intenzionato a lanciare un proprio partito di centro, sembra che, ancora per lunghi anni, sarà l’attuale premier Benjamin Netanyahu a dominare la scena politica, in assenza di un leader popolare. Questa è anche l’opinione emergente dalla stampa locale.

A breve scadrà l’attuale mandato del partito di destra alla maggioranza di governo, il Likud; tuttavia, esso non pare essere minacciato da forze politiche interne, né dall’esterno, ed è opinione generale che Netanyahu stia comunque pensando a riformulare la prossima legislatura, dando vita a una nuova coalizione di governo, nella quale si riconfermi comunque l’attuale espressione politica di estrema destra e di ispirazione nazional-religiosa ebraica (i rappresentanti dei coloni israeliani).

A breve, Kadima terrà le primarie tra Livni e Mofaz; Livni potrebbe abbandonare la vita politica in caso di vittoria dell’avversario e, in quest’ipotesi, in molti l’hanno criticata di portare scompiglio e di fiaccare il partito. Ma Livni potrebbe farlo anche per evitare di trovarsi di fronte alla scelta di entrare in una coalizione con Netanyahu.

Da oltre sei anni, dai tempi in cui Kadima era guidato dall’ex premier Ariel Sharon, il partito ha perso molto credito; di frequente, i suoi membri vengono accusati di preferire il posto in poltrona piuttosto che offrire un programma politico ben definito.

E’ costante l’opinione generale tra gli israeliani e sulla stampa nazionale, che Netanyahu guiderà il prossimo governo d’occupazione della Palestina, in assenza, quasi totale, di un’alternativa, e ciò, a detta di alcuni analisti, potrebber far assistere anche all’estinzione di Kadima.

Tra questi, vi è Ben Kespit, il quale scrive su Ma’ariv che “gli israeliani non hanno opzioni diverse dalla candidatura di Netanyahu, la cui dote di usare la retorica contro le istituzioni nazionali gode di una certa ammirazione”.

D’altra parte, tutti i capi di governo israeliani si sono affermati proprio in ragione delle proprie doti belliche, reali, ma anche solo verbali.

A tal riguardo, non è passata inosservata la protesta di alcuni ministri israeliani per il fatto di essere puntualmente esclusi da parte di Netanyahu e del ministro della Difesa, Ehud Barak, quando si debba prendere importanti scelte politiche, come è stato, ad esempio, per gli ultimi raid omicidi contro la Striscia di Gaza.

Continua Kespit: “Le modalità con cui si sta gestendo la questione iraniana sono sintomatiche, con la politica del pugno di ferro che l’attuale premier di Israele dimostra al mondo di essere in grado di usare, invocando una guerra imminente, sapendo di poterlo fare nonostante obiezioni politiche dall’interno”.

Altri si accodano a Kespit nel sostenere che “pur mettendo per un attimo da parte i venti di guerra sollevati da Netanyahu di concerto con il ministro della Difesa, l’Intelligence ed esponenti dell’opposizione, bisogna ammettere come egli sia riuscito a guadagnare terreno, portando a casa il sostegno americano e l’avallo occidentale in generale, per mezzo dell’inasprimento di sanzioni economiche nei confronti dell’Iran”. In questi giorni, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman è impegnato in un tour in Estremo Oriente, in Cina, soprattutto, per cercare di ampliare la base di sostegno alle sanzioni all’Iran.

La questione iraniana è a pieno titolo in testa all’agenda, insomma: lo ha dimostrato l’ultimo incontro tra Netanyahu e Barak Obama. 

La questione palestinese? Netanyahu è stato abilissimo a metterla da parte, e a ricevere anche l’autorizzazione ad accantonarla da parte di terzi.

Lo hanno scritto in tanti: “Con Obama la questione palestinese pare essere svanita nel nulla, nessuna considerazione per i palestinesi, per i quali sono state spese appena poche parole. A dominare la scena è stato l’Iran”.

Persino la totale impasse nelle relazioni Israele-Autorità palestinese (Anp) non ha ricevuto attenzione; da tre anni ormai è lecito parlare di stallo consolidato tra le parti. Sicurezza e questioni di ordine economico sono oggi al centro della strategia di Israele.

Tornando a Kespit: “Netanyahu ha conquistato la scena negli ultimi due anni. Egli è riuscito a seppellire la questione palestinese, a fare dell’affare Iran la priorità e questa strategia gli è valso il suo maggior ‘merito’”.

Tuttavia Kespit non esclude che, da un’altra prospettiva, una esterna, le intenzioni di guerra all’Iran di Netanyahu possano essere genuinamente quelle di “aizzare lo spettro degli Ayatollah per intimidire il mondo e l’America”.

Agenzie:

Dar al-Hayat

Al-Quds