Un piccolo triangolo rosso: Palestina, stiamo finalmente guardando

Gaza-MEMO. Di Ramzy Baroud. Sapevate che il 9 novembre si è tenuto in Francia un convegno internazionale dal titolo “Conferenza umanitaria internazionale per la popolazione civile di Gaza”?

Secondo il sito web del ministero degli Esteri francese, la conferenza “ha coinvolto gli Stati, i principali donatori, le organizzazioni internazionali e le ONG attive a Gaza” con l’obiettivo dichiarato di promuovere “il rispetto del diritto umanitario internazionale, la protezione dei civili e del personale umanitario e il rafforzamento dell’accesso umanitario”.

Se non lo sapete, non vi biasimiamo. La conferenza, dopo tutto, aveva lo scopo di distrarre dal genocidio israeliano a Gaza, dando l’impressione che i governi occidentali abbiano ancora il potere politico di controllare o, almeno, influenzare il futuro di Gaza.

Mentre il presidente francese Emmanuel Macron predicava di leggi internazionali e umanitarie, noi eravamo impegnati a guardare altrove.

Sostenuto dal 7 di ottobre da un’amministrazione e da media mainstream statunitensi scriteriati, anche Israele ha voluto che guardassimo verso di loro anziché verso Gaza.

Per assicurarsi che il nostro sguardo rimanesse fisso sulle priorità politiche di Tel Aviv, hanno fabbricato una quantità di bugie senza precedenti; tali bugie, con il tempo, si sono rivelate parte di una campagna di propaganda israeliana volta a ridurre l’impatto della sconfitta militare di Israele sulla psiche collettiva israeliana.

Inoltre, i maestri dell’hasbara israeliana volevano continuare ad alimentare i già faziosi media occidentali con tutti i contenuti negativi necessari per condurre una guerra diffamatoria contro i palestinesi, Gaza e la sua Resistenza.

L’hasbara non solo si è ritorta contro Israele, ma ha anche mostrato quanto esso sia disposto a scendere in basso pur di distrarre il pubblico dal suo genocidio a Gaza. Alimentando una narrazione razzista predominante nei media mainstream sulla presunta ferocia e barbarie dei palestinesi, degli arabi e dei musulmani, Israele ha voluto proporsi come protettore della civiltà occidentale e della democrazia.

Questa falsa costruzione, con il tempo, ha cominciato a crollare e, ancora una volta, abbiamo guardato altrove alla ricerca di risposte. Abbiamo guardato a Gaza stessa, alle atrocità commesse da Israele in ogni ospedale, scuola e quartiere.

Abbiamo guardato i corpi senza vita di centinaia, anzi migliaia, di bambini, donne e civili palestinesi, sparsi in ogni angolo di strada, sotto le macerie, persino sui loro letti d’ospedale.

Abbiamo visto l’ospedale battista di Al-Ahli, la scuola di Al-Fakhoura e il campo profughi di Nuseirat, Al-Fallujah, Jabalya, Khan Yunis e ogni centimetro di Gaza che è stato bombardato, a volte ripetutamente, dal 7 ottobre.

Sono stati gli stessi palestinesi a indicarci dove avremmo dovuto guardare, anzi, dove avremmo sempre dovuto guardare.

Senza sosta e con una determinazione incrollabile, la gente comune, spesso piangendo, indicava le fosse comuni, i figli morti tra le loro braccia, i corpi mutilati dei bambini negli obitori degli ospedali, nei parcheggi, nelle strade, e diceva “Guardate”, “Guardate cosa ci sta facendo Israele”, “Guardate cosa hanno fatto i nazisti ai nostri figli”, e così via.

La parola “guardate” qui è fondamentale. Quando dicono “guardate”, in realtà intendono osservare, capire, aiutare, fare qualcosa, qualsiasi cosa.

Ma la Resistenza palestinese sul campo, gli unici difensori reali di quei civili, per quanto questa consapevolezza metta a disagio alcuni di noi, ci diceva anche di guardare, e noi lo abbiamo fatto.

In questo caso, non hanno fatto l’annuncio “Guardate” o “Shufu” ad alta voce. Questo piccolo triangolo rosso è nato come strumento funzionale nei video ben realizzati delle Brigate Al-Qassam, che ci esortavano a concentrarci su un punto specifico dei filmati che documentavano le loro operazioni quotidiane contro l’invasione delle forze israeliane.

In mezzo a rovine imponenti, edifici semi-distrutti, polvere e fumo, un piccolo triangolo rosso appariva finalmente in questo contesto. Per comprendere la funzione di questo triangolo, dovevamo capire la storia che c’era dietro, spiegando così, senza una sola parola, perché i palestinesi resistono.

L’equazione diventa quindi semplice da capire: distruzione israeliana, triangolo rosso, esplosione – seguita da grida trionfali di “Dio è grande”, “la Palestina sarà libera” e “gli invasori saranno sconfitti”.

Con il tempo, la funzionalità del triangolo rosso si è trasformata in un significato ancora più grande, con un simbolismo più profondo.

Mentre milioni di persone continuavano a protestare contro le atrocità israeliane a Gaza, molti portavano striscioni e bandiere con il triangolo rosso. Per loro, questo simbolo non rappresentava solo la resistenza palestinese a Gaza, ma la necessità di agire ovunque.

Alcuni hanno suggerito che questo simbolismo sia stato ispirato dal triangolo rosso della bandiera palestinese, sostenendo così che quel simbolo specifico sia stato scelto per delineare di proposito un simbolo nazionale più grande.

In realtà, le origini del piccolo triangolo rosso non hanno importanza. Certo, forse era destinato a rappresentare qualcosa o forse era semplicemente una scelta tecnica fatta da un giovane combattente palestinese esperto di tecnologia, per farci capire dove dovevamo guardare.

Ciò che conta davvero, però, sono i significati più profondi di tutto questo.

Per anni – anzi, per decenni – i palestinesi ci hanno esortato a guardare: alle loro vite sotto l’occupazione israeliana e l’apartheid; alla distruzione delle loro case e dei loro frutteti, confiscati o rubati dall’esercito israeliano e dai coloni ebrei illegali; al destino dei loro prigionieri, migliaia, che languono nelle carceri israeliane, semplicemente per aver resistito all’occupazione militare israeliana; all’assedio israeliano su Gaza, e a quell’episodio perpetuo di sofferenza e dolore, che ha privato più di due milioni di persone dei loro diritti più elementari; e a molto altro ancora.

Purtroppo, e per diversi motivi, molti di noi non hanno guardato.

Grazie al coraggio dei palestinesi stessi e al genocidio israeliano in corso a Gaza, stiamo finalmente guardando, e stiamo guardando proprio dove i palestinesi vogliono che guardiamo.

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden potrebbe ora dire quello che vuole in difesa di Israele; Macron potrebbe tenere altre dieci conferenze e fingere di parlare a nome della comunità internazionale dell’olocausto di Gaza e Israele potrebbe fabbricare un altro milione di bugie. Ma noi ci rifiutiamo di guardarle. Ci rifiutiamo di confrontarci con loro. Le loro parole, le loro azioni o la loro inazione non sono più una priorità per noi.

Solo il discorso politico palestinese conta. Solo la libertà palestinese è una priorità. Solo la resistenza palestinese può respingere gli invasori israeliani. In breve, le priorità degli oppressi, non degli oppressori, dovrebbero essere importanti per tutti noi.

È ora che la voce palestinese recuperi la sua piena centralità nella storia dell’oppressione e della resistenza. Quindi, per favore, d’ora in poi guardate, ascoltate e agite, in qualsiasi modo possibile. E se mai doveste avere difficoltà a decifrare la differenza tra le priorità palestinesi e tutte le altre, cercate semplicemente quel piccolo triangolo rosso. Vi guiderà.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi