Vite sotto occupazione: non conoscere l’aspetto del proprio figlio

Gaza – Pchr.  Abu Hosni Sarfiti, 61 anni, abitante di Sheik Radwan, a Gaza, conosce molto bene la questione dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane: “Avevo tre figli e quattro figlie”, racconta. “Due dei miei figli sono stati uccisi dall’esercito israeliano; il maggiore, Hosni, aveva 23 anni, e Mohammed ne aveva 7. Il mio unico figlio vivo, ‘Ali Nidal as-Sarfiti, è in carcere dal 7 luglio 2002, giorno in cui fu arrestato al valico di Eretz. Ottenne un permesso di attraversamento del confine dalle autorità israeliane, ma quando arrivò lì, venne arrestato. E’ stato condannato a 16 anni di prigionia per partecipazione ad attività di resistenza durante un’incursione dell’esercito israeliano a Jabaliya. ‘Ali ha ora 32 anni: al momento dell’arresto era fidanzato, in seguito ai fatti il fidanzamento è terminato”.

Negli ultimi 9 anni Abu Hosni ha visto raramente suo figlio: “L’ho potuto visitare, in carcere, solo due volte: l’ultima nel 2003. Mia moglie poté vederlo tre volte, fino al 2004. Poi, il 16 marzo di quell’anno, avvenne l’assassinio del nostro figlio maggiore, Hosni, da parte dell’esercito di occupazione. Da allora sono state negate le visite in carcere a tutta la famiglia, adducendo motivi di sicurezza. Ci siamo rivolti, invano, a diverse organizzazioni per i diritti umani, anche alla Croce rossa internazionale”.

Per Abu Hosni, l’unico modo per comunicare con il proprio figlio è scrivere lettere: “Invio a ‘Ali molte lettere tramite la Croce rossa, ma ricevo poche risposte. ‘Ali ci fa pervenire dei messaggi tramite le persone che vengono a visitare i propri familiari dalla Cisgiordania. Non ci è permesso avere contatti telefonici. Quando ‘Ali era nel carcere di Naqab ricevevamo alcune sue telefonate, ma solo perché qualcuno dei prigionieri della sua cella teneva un cellulare nascosto. Ora che ‘Ali si trova a Nafha, tutto è molto più difficile”. Abu Hosni ha saputo da persone in contatto con i prigionieri che ‘Ali è in sciopero della fame dallo scorso 17 aprile.

Il peso maggiore, per Abu Hosni, è rappresentato dall’impossibilità di conoscere le condizioni di salute di suo figlio: “I momenti più difficili, per me, sono quelli in cui so che ‘Ali è malato, o quando si verificano incidenti in carcere. In questi casi tutto potrebbe andare per il peggio. Durante il periodo dell’interrogatorio, e in seguito, ‘Ali ha sofferto di perdite di sangue nello stomaco, ed è stato ricoverato per 3 mesi. Ne venimmo a conoscenza tramite altre persone, quando egli era già malato da un po’”.

Abu Hosni continua: “Questa è una sofferenza. E’ molto difficile per un genitore non poter vedere il proprio figlio che si trova in prigione. Gli altri miei due figli sono stati uccisi: conosco il loro destino e so che non ci sono più. Ma ‘Ali è ancora qui, e non mi è permesso fargli visita o semplicemente sapere come sta. Una delle nostre figlie si è sposata, e vive ora in Arabia Saudita. Possiamo farci visita, telefonarci e parlare via internet, ma non posso fare altrettanto con il figlio che si trova in carcere”.

Più di 2000 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane e in altre strutture di detenzione stanno attuando uno sciopero della fame dallo scorso 17 aprile, Giornata nazionale dei prigionieri. Essi chiedono alle autorità carcerarie israeliane un miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri israeliane; la garanzia di poter ricevere visite dei familiari, in particolar modo per i detenuti della Striscia di Gaza; il permesso di istruzione; il termine della detenzione in isolamento, delle repressioni e delle ispezioni notturne. Diversi prigionieri hanno iniziato uno sciopero della fame prima del 17 aprile, e si trovano ora in condizioni di salute critiche, in particolare Bilal Diab e Thaer Halahleh.

In seguito a un accordo tra i detenuti e le autorità israeliane, mediato dalle autorità egiziane il 14 maggio scorso, lo sciopero della fame è terminato. Al momento della pubblicazione non sono noti i dettagli specifici dell’accordo.

Dal 17 aprile lo sciopero della fame ha iniziato a diffondersi anche all’esterno delle mura delle prigioni, registrando un crescente numero di adesioni, da parte di comuni cittadini in Cisgiordania e a Gaza, in segno di solidarietà. Abu Hosni, dal 2 maggio scorso, si limita ad assumere acqua e sale. E’ la terza volta che egli partecipa a uno sciopero della fame, finalizzato al miglioramento delle condizioni dei prigionieri palestinesi. Racconta: “Eravamo 55 uomini e 30 donne. Ricevevamo visite da parte di persone solidali, e ciò faceva passare il tempo più velocemente. Non abbiamo richieste per noi stessi, appoggiamo le richieste dei prigionieri, che sono fondamentalmente: il permesso di ricevere visite dai familiari, la fine della reclusione in isolamento, della detenzione amministrativa, della tortura, delle misure punitive e delle ispezioni corporali. L’accordo è per noi un grande risultato ed è un’ottima notizia”. Nonostante l’emozione, Abu Hosni non sa come e in che misura l’accordo tra i detenuti e le autorità carcerarie sul termine dello sciopero della fame influenzerà la sua situazione familiare. I dettagli sul futuro delle visite dei familiari non sono stati ancora specificati.

“Sono passati 9 anni, ormai”, dice Abu Hosni, “il volto di ‘Ali dev’essere cambiato in tutto questo tempo. Se lo andassi a trovare, ora, potrei non riconoscerlo. Egli sta invecchiando in carcere, e io non conosco il suo aspetto”.

La tortura e i trattamenti degradanti  e disumani dei prigionieri sono violazioni dell’articolo 7 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, e dell’articolo 3 della Convenzione di Ginevra. Dal 6 giugno 2007, in seguito alla cattura del soldato Gilad Shalit, a tutti i detenuti della Striscia di Gaza è stato negato, dalle autorità israeliane, il diritto a ricevere visite di familiari. La negazione collettiva di visite di familiari e di comunicazione regolare con i familiari rappresenta una forma di punizione collettiva che viola l’articolo 33 della Quarta convenzione di Ginevra.

Traduzione per InfoPal a cura di Stefano Di Felice