Rapporto: ‘Tasso di povertà del 67% tra i palestinesi gerosolimitani’

Rapporto: ‘Tasso di povertà del 67% tra i palestinesi gerosolimitani’

Wattan. Un nuovo documento su Palestina e territori arabi occupati, redatto dalla Lega Araba e diffuso nel fine settimana scorso, rivela i dati sullo stato socio-economico dei palestinesi gerosolimitani, alla luce di restrizioni e impedimenti imposti da Israele nella Gerusalemme Est occupata.

Nawaf Abu Shamalah, esperto di di economia israelo-palestinese, ha dimostrato come, nonostante il Pil pro-capite a Gerusalemme Est sia superiore a quello registrato in Cisgiordania, la capacità d’acquisto dei palestinesi residenti nella Città Santa è inferiore, in quanto i gerosolimitani sono sottoposti a uno stress da consumi più alto e, soprattutto, devono sostenere un carico fiscale maggiore.

“Le politiche dietro questo stato di cose non sono nuove – osserva l’esperto,  – ma risalgono al 1967, anno dell’occupazione israeliana di Gerusalemme, quando già vi era l’intenzione di procedere a una separazione fisica della popolazione palestinese dalla città, fenomeno che ha subìto un’impennata a partire dal 2000, da quando è stato vietato ai palestinesi residenti in Cisgiordania di raggiungere Gerusalemme.  

“Questa politica israeliana ha trovato realizzazione, nonostante a Gerusalemme giungessero i palestinesi dalla Cisgiordania in cerca di lavoro, e intorno ad essa si risolveva lo stato di dipendenza economica dei palestinesi”.

In questo studio, la Città Santa viene presa in esame in quanto parte integrante della Cisgiordania e del resto dei Territori palestinesi occupati.

Riprendendo i dati elaborati dall’Ocha, Ufficio Onu per gli Affari Umanitari, si evidenzia come i mutamenti geografici apportati unilateralmente da Israele a Gerusalemme nell’anno 2011, siano indicatori di precarietà dei palestinesi in più settori: salute, istruzione e servizi sociali.

In occasione della Conferenza Onu “Unctad” sullo sviluppo dell’economia palestinese, nel 2009, erano stati proiettati alcuni indicatori socio-economici su Gerusalemme. Era stata stimata una presenza palestinese a Gerusalemme di 275mila persone (il dato si riconfermerà nel 2011) con il 9,5% del totale della popolazione palestinese dei Territori occupati.

Distribuzione del Pil per settore:
– servizi: 40%
– trasporti: 23%
– industria: 16%
– commercio: 13%
– edilizia, costruzioni, agricoltura, e finanza: meno del 10%.

Sempre Unctad aveva individuato nelle politiche israeliane – separazione fisica dei palestinesi da Gerusalemme, Muro d’Apartheid e insediamenti nei quartieri palestinesi – la causa della loro emarginazione, sebbene siano circoscrizioni centrali della Città.

Il Muro e le varie barriere hanno paralizzato la produzione della Cisgiordania, hanno fermato il mercato locale, che ha perduto ogni contatto con Gerusalemme.
L’accesso a merci e servizi della Cisgiordania – più convenienti – è stato precluso ai gerosolimitani.
A questo si devono aggiungere le impossibili licenze per il passaggio delle merci imposte da Israele sul traffico dalla Cisgiordania a Gerusalemme.

A giugno 2010, Israele sollevò il divieto di introdurre sui mercati di Gerusalemme numerosi beni e merci: da quelli farmaceutici ai prodotti come latte e derivati e carne. Quella decisione ha prodotto perdite all’economia palestinese per 48milioni di dollari.

Le imprese palestinesi a Gerusalemme: quelle che operavano a Gerusalemme fino al 2009 erano 3.659, mentre nel 1999 erano 3.313. Il loro aumento con 346 aziende non è ritenuto soddisfacente per la domanda della popolazione gerosolimitana.

S’inserisce in questo argomento la disparità tra palestinesi e coloni israeliani nella Gerusalemme Est occupata.
Nel documento di espongono indicatori di beneficio dei coloni, i quali hanno un reddito medio pro-capite di 23mila dollari annui, mentre il quello dei palestinesi gerosolimitani non supera 1/3 di tale cifra.

Da tutti questi indicatori emerge un tasso di povertà tra i palestinesi di Gerusalemme Est del 67%, mentre è del 23% quello che riguarda i coloni israeliani nella Città Santa.
Questi dati trovano conferma nell’elaborazione dell’Istituto di Studi israeliani “Gerusalemme” (2010).

Abu Shamalah introduce altre osservazioni, come la paralisi nella concessione di credito ad attività a Gerusalemme, sia a scopo individuale sia per investimento e quindi per il commercio.

“Ciò è dovuto a più ragioni – sostiene Abu Shamalah -, cioè alla mancanza di filiali bancarie in città (esistono a Gerusalemme poche filiali di banche israeliane che non rispondono pienamente alle esigenze dei palestinesi)”. Questo era stato osservato anche dal Comitato specializzato sul coordinamento degli aiuti esteri al popolo palestinese del Quartetto internazionale ad aprile 2011 (Bruxelles).

“Da qui emerge la necessità di studiare e siglare accordi per l’erogazione di servizi bancari, mutui (per la spinosa questione degli alloggi sottratti ai palestinesi, ad esempio), e far fronte alla crisi abitativa, oltre a finanziare le piccole e medie imprese in grado di rilanciare l’economia locale a Gerusalemme Est”.

Per Unctad, un punto di risoluzione sarebbe quello di “innestare” la ripresa economica nello Stato palestinese, ovvero riconoscere all’Autorità palestinese (Anp), l’esercizio di governo a Gerusalemme Est, dal momento che l’economia della Città Santa rappresenta tra l‘8 e il 9% del totale dell’economia dei Territori palestinesi occupati.

“Nel caso di connessione dell’economia di Gerusalemme Est con quella del resto dei Territori occupati, il Pil potrebbe crescere fino a oltre 8,3miliardi di dollari. Creare, quindi, i presupposti di fiducia che preparino il terreno a una ripresa dell’economia palestinese a Gerusalemme. Ciò contribuirà a garantire maggiore indipendenza per lo Stato palestinese”.

In conclusione, nel rapporto vengono presi in esame altri indicatori di decrescita, come l’istruzione e l’educazione in generale, “perché investire nel capitale umano palestinese sarà una delle maggiori sfide dei prossimi anni per l’indipendenza dello Stato palestinese, a partire dalla Gerusalemme occupata”.

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