Rassegna stampa del 23 aprile.

Rassegna stampa del 23 aprile.

A cura di Chiara Purgato.

http://www.tgcom.mediaset.it/

“No a Stato Palestina provvisorio”

M.O., premier Israele nega ipotesi

Benyamin Netanyahu, il premier israeliano, ha smentito le indiscrezioni apparse sulla stampa secondo le quali Israele potrebbe riconoscere uno Stato palestinese provvisorio in Cisgiordania. Il riconoscimento, prospettato dal premier agli Usa, avverrebbe nel contesto di un accordo di transizione che prevede anche il rinvio dei negoziati sullo status di Gerusalemme est. Netanyahu incontrerà George Mitchell, l'emissario del presidente Barack Obama.

 

 

http://www.cipmo.org/lenya/cipmo/live/index.html

23-04-2010

Palestinesi. Storia e identità di un popolo

 

I palestinesi sono tra i protagonisti della cronaca politica contemporanea: simboli legati alla storia di questo popolo – Yasser Arafat, la kefyah e la bandiera palestinese – sono entrati a far parte della nostra cultura pop, ma anche dell’immaginario legato agli incubi post-11 settembre e al terrorismo suicida; gli eventi che caratterizzano il conflitto israelo-palestinese – spesso considerato come il nodo gordiano della politica mediorientale – animano continuamente i titoli d’apertura dei telegiornali.
Di questa sovraesposizione mediatica è spesso vittima la capacità di cogliere la complessa realtà della Palestina. L’obbiettivo di questo testo è andare al di là della cronaca, fornendo al lettore le chiavi necessarie ad interpretare la storia di un popolo e di una terra così spesso sotto la luce dei riflettori. Il filo conduttore dell'opera è l'analisi di come l'identità e la stessa definizione del popolo palestinese si siano modificate nell'arco di tempo che va dal crollo dell'Impero Ottomano all'indomani della seconda Intifada.

Marco Allegra è assegnista presso il Dipartimento di Studi Politici dell’Università di Torino. Fra le sue pubblicazioni: “Alla base del fallimento del 'processo di pace' israelo-palestinese: la colonizzazione israeliana e la trasformazione della geografia sociale della Cisgiordania e di Gaza” (in Torri M., “Il grande Medio Oriente”, Milano 2006); “Il 1948 nella storia di Israele” (Historia Magistra, 2009); “Citizenship in Palestine: A fractured Geography” (Citizenship Studies, 2009); [con Paolo Di Motoli] “Il Sionismo” (in D’Orsi A., “Gli Ismi della politica” Roma, 2010).

 

 

http://www.panorama.it/

Le “missioni di pace” in Medio Oriente. Caro Obama, ma chi te lo fa fare?

A volte la politica mediorientale sembra un disco rotto: la stessa storia, lo stesso balletto, che si ripete all’infinito. La notizia di oggi (se di notizia si può parlare) non fa eccezione: George Mitchell, l’inviato speciale per il Medio Oriente dell’amministrazione Obama, è partito per l’ennesima “missione di pace” in Israele e Palestina.

Obiettivo ufficiale: “costruire fiducia” tra israeliani e palestinesi per la ripresa del processo di pace, ormai arenato da anni. Peccato che la fiducia da parte di israeliani e palestinesi – in sé stessi, nella mediazione americana e più in generale sulla possibilità di riprendere dei negoziati credibili – sia esattamente quello che finora, nonostante i molti tentativi, l’amministrazione americana non è mai riuscita a costruire. Cosa dovrebbe cambiare proprio adesso?

Ora, io non penso che Mitchell sia uno stupido. Al contrario. E credo che la politica mediorientale di Barack Obama non sia delle peggiori mantenute dalle recenti amministrazioni americane (se chiedete a me, sempre meglio di Bush, peggio di Clinton).

Ma a questo punto mi sembra lecito pensare che non ci credano più neppure loro. Più passa il tempo, più queste “missioni” di Mitchell hanno l’aria di un’azione cosmetica: un modo come un altro per fare vedere che gli Stati Uniti ci sono, che fanno qualcosa.

Nel gergo militare italiano si direbbe facite ammuina. Cioè l’ordine con cui, stando a una leggenda metropolitana, i capitani della Marina borbonica annunciavano alla ciurma l’arrivo di una personalità importante: i marinai scattavano e cominciavano a muoversi e a sc

 

 

http://it.reuters.com/

Medio Oriente, inviato Usa incontra i leader israeliani

GERUSALEMME (Reuters) – L'inviato speciale degli Stati Uniti in Medio Oriente George Mitchell ha detto oggi al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che Washington è impegnata per la sicurezza di Israele e vuole un accordo per la pace che dia ai palestinesi uno stato.

“Questa è stata la politica americana. Questa è la politica americana. Questa sarà la politica americana”, ha detto Mitchell a Netanyahu, ribadendo la promessa del presidente Usa Barack Obama di legami forti e duraturi con Israele, che festeggia il suo 62esimo anniversario di fondazione in questi giorni.

Netanyahu e Obama hanno visioni contrapposte sulla politica degli insediamenti ebraici nella Cisgiordania occupata, terra che i palestinesi vogliono per il loro stato. Il presidente palestinese Mahmoud Abbas si è rifiutato di riprendere i colloqui sospesi a dicembre 2008 fino a che non sarà fermata la costruzione delle colonie.

Mitchell sta cercando una risposta di Netanyahu alla richiesta di Obama di realizzare una serie di misure che creino la fiducia, per convincere Abbas a risedersi al tavolo delle trattative.

Netanyahu ha detto oggi a Mitchell di “non vedere loro di lavorare con voi e con il presidente Obama per far avanzare la pace. Siamo seri su questo. Sappiamo che siete seri su questo. Speriamo che i palestinesi rispondano, dobbiamo muoverci verso questo processo”.

ULTERIORI COLLOQUI

Mitchell ha visitato la regione decine di volte nell'anno passato senza riuscire a far ripartire i colloqui in stallo ormai da 16 mesi, sulla richiesta palestinese del congelamento totale delle colonie, che Israele definisce una pre-condizione inaccettabile.

Netanyahu e Mitchell hanno parlato per circa due ore. “L'incontro è stato buono”, ha detto il portavoce di Netanyahu, senza rivelare dettagli sostanziali. Ulteriori colloqui si terranno domenica, mentre stasera Mitchell incontrerà Abbas a Ramallah, in Cisgiordania, a nord di Gerusalemme.

Oggi l'inviato statunistense ha iniziato la sua visita incontrando il ministro della Difesa Ehud Barak, capo del partito laburista, di centrosinistra, che lunedì aveva suonato un allarme pubblico sui legami dello stato di Israele con Washington, dicendo che la coalizione “deve agire per cambiare le cose”.

Netanyahu ieri ha ribadito che non congelerà gli insediamenti a Gerusalemme Est, zona sotratta alla Giordania durante la guerra del 1967, ma non riconosciuta a livello internazionale come territorio israeliano.

 

http://www.ansa.it/

Ferito gravemente pacifista israeliano

Nel corso di tafferugli alla barriera di Bilin

(ANSA) – GERUSALEMME, 23 APR – Un militante pacifista originario di Jaffa e' stato ferito oggi da un candelotto lacrimogeno sparato da militari israeliani. E' avvenuto a Bilin, nel corso di tafferugli con manifestanti che partecipavano alle tradizionali proteste del venerdi' contro la barriera che separa la Cisgiordania da Israele. Gli scontri fra manifestanti armati con sassi e reparti israeliani. L'attivista, colpito al volto, e' stato trasferito d'urgenza all'ospedale di Gerusalemme.

 

http://www.arabmonitor.info/?lang=it

  Netanyahu torna a proporre ai palestinesi i soliti confini provvisori

 

Tel Aviv, 23 aprile – Come riferito da Haaretz, Benjamin Netanyahu, che oggi si appresta a ricevere l'inviato Usa in Medio Oriente George Mitchell, avrebbe segnalato agli Stati Uniti la sua disponibilità a un accordo con  l'Autorità nazionale palestinese che preveda la creazione di uno Stato palestinese indipendente all'interno di confini provvisori.

Netanyahu insiste nel chiedere che la questione di Gerusalemme venga affrontata solo alla fine dei negoziati e continua a rifiutare la domanda  di congelare la colonizzazione ebraica illegale nella parte occupata della città nel 1967. 

 

 

http://www.osservatorioiraq.it/index.php

Un giorno per ricordare i detenuti palestinesi

Dai 7mila agli 11mila detenuti, di cui oltre 300  minorenni e circa 30 donne. Sono i numeri relativi ai detenuti palestinesi nelle carceri israeliane. Tre prigionieri stanno scontando pene da oltre 30 anni, mentre trecento sono reclusi da più di quindici anni. Fra i detenuti eccellenti spiccano anche un ministro e il leader di Fatah Marwan Barghouti, condannato nel 2004 a cinque ergastoli. 
  
Secondo Palestine Monitor, dal 1967 ad oggi circa 650mila palestinesi (il 20 per cento della popolazione totale) hanno conosciuto almeno una volta  nella vita la cella di un carcere israeliano. Solo durante gli scontri della prima Intifada (1987) finirono dietro le sbarre oltre 100 mila palestinesi. 
  
Queste cifre sono state ricordate il 17 aprile scorso, durante le commemorazioni della Giornata del prigioniero palestinese, ricorrenza fortemente sentita fin dal 1974, anno della sua istituzione. Una giornata durante la quale anche i partiti di diverso colore hanno trovato, pure se per poco, un comune terreno d’intesa. 
  
Alcuni fra i maggiori rappresentati di Hamas e Fatah hanno dato vita a un comune sciopero della fame di 24 ore per protestare contro le inumane condizioni di detenzione delle carceri israeliane. Il rappresentante di Fatah, Raafat Hamdouna – citato da Apcom – ha affermato che questa giornata “deve consentire di porre fine alle divisioni fra le parti”. 
  
Dimostrazioni contro le pratiche di detenzione israeliane si sono tenute in tutti i territori palestinesi. Pratiche che, secondo alcuni esperti sentiti dalla tv satellitare al-Jazeera, avrebbero provocato un vero e proprio trauma trans-generazionale fra la popolazione locale; anche in virtù del largo ricorso alla tortura di cui – secondo i testimoni palestinesi – si fa uso negli istituti di detenzione israeliani, tanto sugli adulti, quanto sui bambini. 
  
Sebbene Israele si sia rifiutato di rispondere alle suddette accuse è certo che le condizioni di carcerazione di molti prigionieri palestinesi non rispettino i minimi requisiti di legalità. 
  
Secondo il Centro per la difesa del prigioniero, a oggi sono 196 i detenuti morti a seguito di torture, di negligenza medica o delle due cose messe insieme. Circa 15 mila sono invece reclusi in regime di detenzione amministrativa, ovvero sono stati incarcerati senza la possibilità di difendersi durante lo svolgimento di un processo. 
  
Il tema dei prigionieri rappresenta da sempre una delle maggiori battaglie per la popolazione palestinese. Non a caso le forze politiche convergono quasi costantemente sulle misure da adottare per chiedere la liberazione dei detenuti attualmente reclusi nelle carceri israeliane. 
  
In particolare il movimento di resistenza islamico di Hamas ha cercato, e cerca ancora, di ottenere la liberazione di circa un migliaio di prigionieri palestinesi, in cambio del rilascio del caporale israeliano Gilad Shalit, catturato ormai cinque anni fa e attualmente nelle mani del movimento islamico.  

 

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