Arrestati 100 fedeli palestinesi ad al-Aqsa dall’inizio dell’anno

460_0___10000000_0_0_0_0_0_aqsajerusalemGerusalemme – Quds Press. Aumenta il numero di fedeli arrestati dall’occupazione israeliana nella moschea di al-Aqsa dall’inizio del 2015 fino alla fine del mese di aprile. Cento di questi sono palestinesi, e alla maggior parte di loro è stata rivolta l’accusa di aver gridato “Allah è grande” in direzione dei coloni israeliani, o di averne impedito l’ingresso nella moschea.

I dati diffusi dal media centre per gli affari di Gerusalemme e al-Aqsa “Quds-press” hanno mostrato che negli ultimi tempi la polizia dell’occupazione concentrata nell’area di al-Aqsa ha intensificato la politica di allontanamento dei fedeli, dagli uomini alle donne ai bambini, fino a comprendere anche coloro che si occupano delle donazioni e del sostentamento della moschea, e gli impiegati che vi lavorano.

I dati, di cui l’agenzia Quds Press ha ricevuto una copia mercoledì 22/4, hanno reso noto che l’occupazione avrebbe attaccato i fedeli dopo la fine della preghiera del mezzogiorno all’uscita dalla moschea di al-Aqsa, trascinandoli verso la stazione di polizia “Bayt al-Yahu” vicino la Porta della Catena, dove sarebbero stati vittime di violenza, per poi portarli al centro interrogatori “Qislah” e dopo ore di indagini decidere se rilasciarli o prolungarne la detenzione per un altro giorno.

Talvolta il tribunale condanna queste persone a restare ad al-Aqsa per un periodo che può andare da due settimane a tre mesi, e a pagare una sanzione pecuniaria dai 500 ai 2000 shekel (rispettivamente 126 e 506 dollari americani).

Occorre far notare che gli arresti israeliani ad al-Aqsa dall’inizio di quest’anno hanno avuto come obiettivo soprattutto le donne. Il cittadino palestinese Taha Shawaneh (69 anni) della città di Sakhnin, all’interno della linea verde, detenuto numero 100, è stato arrestato recentemente nella moschea di al-Aqsa ed è stato portato davanti al tribunale che ha deciso di allontanarlo per 30 giorni, essendo a conoscenza del fatto che già pendevano su di lui precedenti provvedimenti di allontanamento la cui durata oscillava tra uno e tre mesi.

In un contesto collegato, ha detto un rappresentante di “La nostra Gerusalemme per i diritti dell’uomo”, gli sforzi della polizia israeliana nell’arrestare i fedeli all’interno della moschea di al-Aqsa e nel portarli in tribunale e trattenerli, sono “un penoso tentativo di liberare la moschea dalla loro presenza in modo permanente e immediato”.

Ed è stato confermato che gli arresti e i processi sono “azioni illegali e non c’è una legge solida a riguardo”, sottolineando come la polizia israeliana sostenga di basarsi su “prove segrete” messe in pratica attraverso provvedimenti autoritari nei confronti dei detenuti tra i quali, in alcuni casi, l’estensione della detenzione per giorni o mesi.

Prima del 2010 le forze dell’occupazione avevano imposto ordini di allontanamento dalla moschea di al-Aqsa per alcune personalità religiose e nazionali, tra cui Ikrima Sabri, capo dello “ente islamico” a Gerusalemme, e Raed Saleh, capo del “movimento islamico” in Palestina, in aggiunta all’allontanamento di molti fedeli tra gli abitanti di Gerusalemme e dei territori occupati nel 1948.

La violenza degli arresti e delle deportazioni nella moschea di al-Aqsa ha coinciso con l’inizio di progetti scientifici e di assemblee nell’area della moschea, che giocano un ruolo importante e predominante in presenza dei fedeli e il loro disperdersi nei cortili dalle prime ore del mattino fino al pomeriggio, questione che l’occupazione ritiene un “ostacolo” nei confronti dei coloni e delle loro incursioni.

Traduzione di Giovanna Niro