Amico o nemico? Il consolato russo di Gerusalemme Ovest preoccupa

MEMO. Di Ramzy Baroud. Dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina è iniziata anche una guerra fredda globale.

Essendo un grande alleato di Washington e patria di una numerosa comunità di ebrei russi, ucraini e dell’Europa orientale, era naturale che Tel Aviv si trovasse al centro di questo conflitto mondiale.

Quando ha avuto inizio la guerra, il governo di Israele era composto da una strana coalizione che riuniva partiti politici di destra, di centro e di sinistra.

Questi partiti erano consapevoli dell’importanza elettorale degli ebrei russi arrivati in Israele soprattutto in seguito al crollo dell’ex Unione Sovietica, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90.

Questo gruppo di elettori, consistente e in rapida crescita, era ed è tuttora in gran parte anti-Mosca, come hanno dimostrato diversi sondaggi di opinione.

Questi dati demografici, oltre all’incessante fedeltà di Israele a Washington, hanno complicato non poco la posizione israeliana.

Da un lato, nel marzo 2022 Israele ha votato a favore di una risoluzione delle Nazioni Unite che condannava la Russia. In risposta, Mosca ha espresso la sua totale “delusione” nei confronti di Israele.

Per di più, Israele ha aperto le porte agli ucraini e agli ebrei russi che volevano fuggire dalle zone di guerra.

D’altra parte, l’allora primo ministro israeliano Naftali Bennett aveva cercato di svolgere il ruolo di mediatore, tenendo incontri con i presidenti russo e ucraino, Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky.

Inoltre, Israele è stato ripetutamente indicato come possibile luogo d’incontro per futuri negoziati. In questo modo gli è stato conferito uno status speciale di mediatore di pace, anche se solo per quel che riguarda la copertura mediatica.

Tutto ciò però non ha portato a nulla. Anzi, in seguito sono sorte molteplici controversie. Tra queste, una disputa diplomatica, tuttora in corso, su quella che Israele considera la venerazione dei collaborazionisti nazisti da parte dell’Ucraina.

Un altro episodio imbarazzante ha fatto seguito alle affermazioni di Bennett, secondo cui Zelensky avrebbe cercato di ottenere personalmente dal leader israeliano assicurazioni che Putin non lo avrebbe ucciso. L’Ucraina ha negato che tale episodio sia mai avvenuto.

Eppure, mentre Bennett cercava di inserire Israele nel conflitto come importante potenza globale, Yair Lapid, allora ministro degli Esteri israeliano, condannava apertamente la Russia.

La posizione israeliana potrebbe essere il risultato della composizione politico-demografica di Israele. Potrebbe anche essere vero che si trattava in gran parte di una manovra politica, con la quale Bennett cercava di pacificare Mosca, mentre il suo partner di coalizione, Lapid, cercava di rassicurare Washington.

Nonostante gli occasionali rimproveri a Israele da parte di Stati Uniti e Russia, il linguaggio usato da entrambe le parti non era paragonabile alle minacce rivolte ad altri Paesi che si rifiutavano di seguire la loro linea.

In effetti, il più forte degli avvertimenti di Mosca a Israele è arrivato lo scorso febbraio quando la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha dichiarato ai giornalisti che “tutti i Paesi che forniscono armi (all’Ucraina) dovrebbero capire che considereremo queste (armi) come obiettivi legittimi per le forze armate russe”.

Il riferimento presente nella dichiarazione di Zakharova è stato inteso come destinato ad Israele, poiché aveva fatto seguito ad un’intervista della CNN con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu.

Nell’intervista, Netanyahu aveva affermato che il suo Paese stava “valutando” l’invio all’Ucraina di “altri tipi di aiuti”, oltre all’assistenza umanitaria.

Nella stessa intervista, Netanyahu aveva definito “complesso” il rapporto di Tel Aviv con Mosca proprio a causa dei loro interessi contrastanti in Siria e dei forti legami di Mosca con Teheran, l’acerrimo nemico di Israele nella regione.

A differenza dei due primi ministri precedenti, Bennett e Lapid, Netanyahu era intenzionato a mantenere un certo grado di neutralità nella guerra Russia-Ucraina e nel conseguente conflitto globale. 

Che Netanyahu fosse sincero o meno, sembra comunque che Mosca si trovi molto più a suo agio con la nuova posizione di Tel Aviv rispetto a quella dei governi precedenti.

Ad esempio, nel luglio 2022, il ministero della Giustizia russo ha dichiarato guerra all'”Agenzia Ebraica per Israele”, la cui missione, iniziata un secolo prima, è sempre stata quella di facilitare l’immigrazione ebraica in Palestina e, successivamente, in Israele.

La mossa russa è stata chiaramente politica, con l’intento di inviare un messaggio forte ad Israele: la Russia ha molti strumenti a disposizione se Israele dovesse passare in maniera troppo decisa dalla parte dell’Ucraina.

Israele ha risposto bombardando la Siria con una frequenza maggiore rispetto al passato, per inviare a Mosca il messaggio che anche lui ha delle opzioni a sua disposizione.

La verità è che le misure legali contro l’Agenzia Ebraica hanno fatto scattare un serio campanello d’allarme in Israele. Hanno dimostrato la serietà della Russia nel contrastare le politiche e le agende promiscue di Israele.

Tuttavia, la spaccatura tra Russia e Israele non ha ancora avuto un impatto positivo diretto sui palestinesi. Le ragioni sono molteplici.

Uno: storicamente, il punto di vista della Russia, e in precedenza dell’Unione Sovietica, su Israele è sempre stato basato sulle priorità politiche di Mosca.

In secondo luogo, il discorso di politica estera della Russia, negli ultimi decenni, è stato in gran parte legato alla posizione collettiva degli arabi nei confronti di Tel Aviv. Ciò è stato dimostrato dalla rottura dei legami tra Mosca e Tel Aviv durante la guerra arabo-israeliana del 1967 e dalla ripresa dei legami durante i colloqui di pace israelo-palestinesi-arabi del 1991.

E l’attuale assenza di una posizione araba unitaria sulla Palestina rende poco urgente una maggiore spinta russa contro l’occupazione israeliana.

In terzo luogo, la leadership palestinese non è riuscita a navigare negli spazi geopolitici che si sono aperti dopo la guerra Russia-Ucraina, rendendosi quindi largamente irrilevante per i calcoli politici della Russia.

Infatti, non appena Israele ha cominciato ad adottare una posizione coerente e meno aggressiva sulla guerra Russia-Ucraina, ha iniziato a raccogliere i frutti.

A luglio, il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen ha celebrato la “conquista diplomatica” del suo Paese in seguito alla decisione russa di aprire uffici consolari a Gerusalemme Ovest.

Il sorprendente annuncio è stato accompagnato dall’uso, da parte di alcuni media finanziati dal governo russo, del termine “Gerusalemme Ovest” invece di Tel Aviv, per riferirsi alla capitale di Israele.

Si potrebbe affermare che la posizione russa sulla Palestina rimane forte e che le concessioni della Russia a Israele sono probabilmente temporanee, rese necessarie dalla guerra in atto.

In effetti, questo potrebbe essere il motivo, soprattutto se teniamo presente la forte circoscrizione filo-araba del Cremlino e della Duma.

È anche possibile – probabilmente vero – che la politica estera della Russia nei confronti di Israele e della Palestina sia attualmente interamente motivata dalle priorità russe.

Ciò significa che non si può dare per scontato che Mosca sia un alleato della Palestina e che un vero e proprio riconoscimento da parte di Mosca di Gerusalemme come capitale di Israele non è del tutto escluso.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi