Cresce il sostegno per il messaggio ‘razzista’ dei rabbi israeliani

Gerusalemme – Afp e Ma'an. Nonostante le numerose critiche, decine di rabbi israeliani hanno sottoscritto un documento che invita gli ebrei a non affittare o vendere proprietà a non-ebrei: lo ha riportato ieri il giornale israeliano Yedioth Ahronoth.

Secondo il quotidiano, qualcosa come 300 personalità religiose hanno infatti firmato la dichiarazione, la quale precisa che “nella Torah viene proibito di vendere una casa o un campo della terra d'Israele a uno straniero”.

Il documento è apparso per la prima volta martedì ed è stato subito condannato da diversi personaggi di rilievo della società israeliana, dai gruppi rabbinici alle organizzazioni umanitarie e ai politici, compreso il primo ministro Benjamin Netanyahu.

La petizione chiede persino che coloro i quali cedono delle proprietà a persone che non siano ebrei vengano ostracizzati dalla comunità.

Quando qualcuno vende o affitta anche solo un appartamento – viene spiegato nel testo – il valore di tutti gli appartamenti vicini crolla (…) Colui che vende o affitta [a non-ebrei] causa una grande perdita al prossimo, e il suo peccato è grande (…) Chiunque venda [proprietà ai non-ebrei], dev'essere ripudiato!”

L'appello attinge largamente dalle scritture ebraiche, tra cui la Bibbia. Cita ad esempio Esodo 23:33, che recita: “Non lasciarli vivere nella tua terra, o ti faranno commettere peccato contro di me, perché di certo l'adorazione dei loro dei sarà per te una trappola”.

Il documento ha inizialmente raccolto le firme di una cinquantina di rabbi, in gran parte funzionari pubblici nelle comunità ebraiche in Israele.

Ieri, è stato riferito che il numero di firmatari aveva già superato i 300, suscitando molte altre critiche e spingendo il procuratore generale Yehuda Weinstein a chiedere un intervento legale contro i rabbi, per incitamento al razzismo.

Anche Noah Flug, presidente dell'Associazione internazionale dei sopravvissuti all'Olocausto, ha dichiarato a Ynet di essere stato scioccato dal contenuto della lettera: questa, ha aggiunto, gli ha richiamato alla mente le leggi naziste che proibivano agli ebrei di vivere vicino ai tedeschi: “Ricordo i nazisti tedeschi che scacciavano gli ebrei dai loro appartamenti e dai centri delle città, per creare dei ghetti” ha raccontato. “Ricordo che scrivevano sulle panchine che era vietato l'accesso agli ebrei, e naturalmente era vietato vendere o affittare ad ebrei. Pensavamo che, nel nostro Stato, questo non sarebbe successo”.

Da parte sua, l'Associazione per i diritti civili in Israele ha chiesto a Netanyahu di punire i rabbini firmatari che lavorano al servizio dello Stato, e il deputato arabo israeliano Muhammad Barakeh ha invocato lo svolgimento di un'inchiesta.

Già l'altro ieri, circa 150 dimostranti si erano radunati davanti alla Grande Sinagoga di Gerusalemme per protestare contro la pubblicazione del documento.

Parlando ad Haaretz [altro importante quotidiano israeliano, ndr], il presidente della Knesset Reuven Rivlin ha definito la petizione “un forte motivo d'imbarazzo per il popolo ebraico, e un altro chiodo per la bara della democrazia israeliana”.

Menachem Friedman, esperto del mondo ebraico e docente all'università di Bar Ilan, ha però sottolineato che, nonostante le condanne, i rabbi promotori del documento “stanno esprimendo i timori dell'intera popolazione, e in particolare dei settori più poveri della società (…) Le minacce che Israele affronta provengono dall'islamismo, e le posizioni ostili prese dallo Stato nei confronti della minoranza araba alimentano la paura e creano tra gli ebrei una mentalità da ghetto, sebbene essi rappresentino la maggioranza in Israele” (Afp).

Con Friedman è d'accordo anche lo storico Ilan Greilsammer, secondo il quale i sentimenti espressi nel messaggio sono un semplice riflesso delle opinioni reali delle persone comuni: “I rabbi stanno dicendo dall'alto quello che la gente pensa dal basso. La novità è che i primi lo stanno esprimendo pubblicamente”.

1,3 milioni dei cittadini d'Israele sono arabi – palestinesi (e loro discendenti) rimasti nel Paese dopo la creazione dello Stato ebraico nel 1948.

 

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