Da sei case di proprietà a una di fango, vuota.

Gaza – Infopal. “Avevamo, io e miei cinque figli maschi, sei case indipendenti e vicine, oltre a otto macchine, tra cui sei taxi, che erano la nostra fonte di guadagno, ma in un attimo abbiamo perso tutto, case e automobili”.

Con queste parole, Mazin Abdullah Athamneh (57 anni), ha iniziato il suo incontro con il nostro corrispondente nella Striscia di Gaza… parlava e piangeva, perché la sua situazione è ritornata al punto zero: tutto quello che avevano è stato distrutto dalle forze d’occupazione israeliane durante l’aggressione alla Striscia di Gaza.

Distruzione sistematica

Nel tredicesimo giorno dell’aggressione israeliana alla Striscia di Gaza (fine 2008-inizio 2009), i carri armati israeliani sono entrati nella tenuta Abedrabbo, a est del campo profughi di Jabaliya, nel nord della Striscia di Gaza, dove hanno devastato la maggior parte della zona orientale, comprese le case della famiglia Athamneh, oltre a distruggere le otto vetture che erano nel garage vicino alle case.

Con la distruzione delle sei case, 57 persone sono state sfollate: i figli, le nuore, la moglie e i nipoti di Mazen e tutti i suoi parenti, così la loro ‘casa’ è diventata la terra aperta, con gli aiuti umanitari che sono arrivati solo dopo la fine dell’aggressione, durata 23 giorni.

Egli ha sottolineato che l’agenzia delle Nazioni Unite Unrwa ha inviato una tenda di stoffa ed alcuni viveri che non bastano nemmeno per due giorni, così lui e i suoi familiari sono rimasti in queste condizioni fino ad ora, a un anno dalla fine dell’aggressione israeliana, in una tenda che non protegge né dal caldo né dal freddo, vivendo di aiuti (cibo e acqua) offerti dai vicini.

La prima casa di fango

Dopo un intero anno dalla fine dell’aggressione e col divieto imposto dalle forze di occupazione israeliane di far entrare i materiali da costruzione nella Striscia di Gaza per ricostruire le case palestinesi distrutte, l'Unrwa ha costruito una casa d'argilla – la prima del suo genere nella Striscia di Gaza – nel quadro di un progetto avviato per cercare di superare la crisi derivante dal divieto d’ingresso dei materiali da costruzione nella Striscia di Gaza.

Mazen è ‘fortunato’: la prima casa di fango costruita dall’Unrwa è sua, così può viverci insieme agli otto membri della sua famiglia; la casa è di 60 metri quadrati, con due stanze piccole, un bagno e una cucina dove non riescono a starci due persone contemporaneamente, per non parlare del fatto che la casa gli è stata consegnata vuota.

Nonostante abbia ricevuto una casa, Mazen è ancora molto triste, poiché non ha i soldi per comprare nemmeno un pasto al giorno, dato che è disoccupato: “La mia famiglia ha bisogno di tre pasti al giorno, ma ora mangiamo una sola volta”.

E aggiunge: “Dall’Unrwa ci veniva dato un pacco di pane al giorno, che ci bastava un giorno intero, e anche i vicini ci davano qualche pasto, ma dopo aver ricevuto la casa di fango non riceviamo più il pacco di pane dell’Unrwa”.

Richieste d’aiuto

Athamneh ha invitato le istituzioni internazionali e umanitarie nel mondo intero a considerare la loro situazione, a fare pressioni sugli occupanti israeliani affinché tolgano l'assedio imposto su di loro, e affinché venga assicurata l'assistenza da parte delle istituzioni internazionali e del governo nella Striscia di Gaza nella ricostruzione delle loro case, in modo che tornino abitabili.

Anche se la casa ricevuta dall'Unrwa, che potrà durare cinque anni, è sognata da molte famiglie che vivono nelle sue stesse condizioni, la realtà resta difficile.

Mazen, i suoi figli e le famiglie che vivono nelle tende, dopo la distruzione delle loro case da parte di Israele chiedono la ricostruzione delle loro case e un lavoro al posto di quello perso; un aiuto per trovare una fonte di sostentamento.

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Per contattare Mazin Abdullah Athamneh e conoscere la sua triste situazione, o per aiutarlo insieme ai suoi figli, potete contattarlo sul cellulare: 059494905.

 

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