Decolonizzazione del linguaggio e parresia. La missione di InfoPal e di Palestine Chronicle

Decolonizzazione del linguaggio e parresia. La missione di InfoPal e di Palestine Chronicle


InfoPal e Palestine Chronicle. Di Angela Lano, Patrizia Cecconi, Romana Rubeo, Lorenzo Poli.

Come Redazioni di InfoPal e Palestine Chronicle, da anni lavoriamo, metodologicamente e in termini di epistemologia della comunicazione, a un’informazione che metta in luce il colonialismo israeliano – nella sua dimensione di occupazione, genocidio, pulizia etnica, razzismo, apartheid e discriminazione -, le lotte di resistenza, le manipolazioni linguistiche e la ricostruzione distorta e alterata della narrazione storica e presente sulla Palestina. È uno sforzo giornaliero per riprendere ed enfatizzare una metodologia di comunicazione anti-coloniale in quanto il processo de-coloniale non è mai avvenuto. Un giornalismo settoriale e specialistico come quello di InfoPal e di Palestine Chronicle ha il dovere di essere anticoloniale, e dunque professionalmente militante e non equidistante.

Sia ai tempi della “Freedom Flotilla”, dell’operazione “Piombo Fuso”, del 2009, di “Margine Protettivo”, del 2014, e la più recente aggressione militare israeliana su Gaza, “Guardiani delle Mura”, del 2021, abbiamo fatto di tutto per denunciare le riletture distorte del mainstream occidentale, del cerchiobottismo vago ed equidistante di molti media e della grande stampa, e la connivenza del giornalismo embedded. Nel nostro modo di fare giornalismo professionista militante non è neanche lontanamente ipotizzabile l’equidistanza, soprattutto nella situazione israelo-palestinese, che equivarrebbe – senza ombra di dubbio – ad essere dalla parte del più forte. Essere equi significa valutare la situazione nella sua oggettività; essere equidistanti significa esattamente il contrario.

Chi chiede equidistanza o è in malafede, o non conosce la situazione o non conosce il significato del termine nella sua applicazione specifica. Spesso questo fatto è dato troppo per scontato, anche nei nostri ambienti, ma non deve esserlo. Qualche tempo fa, abbiamo intervistato un giornalista palestinese e gli abbiamo chiesto: “Come dobbiamo raccontare la Palestina?” E lui ha risposto: “Dicendo la verità”. 
Ecco, il nostro lavoro è, per certi versi, semplice: la verità è una, e non è equidistante. Quindi, se vogliamo essere chiamati giornalisti, possiamo farlo in un solo modo.

Questa precisazione metodologica e, se vogliamo, accademica, è fondamentale, oggi, per decolonizzare il linguaggio e per comunicarcelo con una certa “parresia”, ovvero il “parlare chiaro e franco” e senza giri di parole. Il mainstream ci ha abituati alle accuse di estremismo, radicalismo, ecc., quando, in realtà, l’antropologia, la storia, la geopolitica, il diritto e la scienza della comunicazione ci forniscono ottimi strumenti linguistici e metodologici per chiamare le cose come stanno: genocidio, razzismo, crimini di guerra, apartheid, pulizia etnica. Di fronte alla sistematicità dell’oppressione, dello sfruttamento, del colonialismo, delle cancellazioni culturali, del razzismo e della violenza economica, InfoPal non è equidistante e continuerà sempre in sinergia con altri canali della controinformazione militante e indipendente per fare operazioni di verità su ciò che accade nel Vicino e Medio Oriente e inPalestina.

Per questo, da ora in poi, saremo ancora più attivi nell’utilizzare in modo marcante un certo linguaggio appropriato – come fece Edward Said, come fanno Ramzy Baroud e Ilan Pappe e altri – e a lavorare nei termini della denuncia del colonialismo, in quanto si inserisce pienamente nello scenario geopolitico attuale. 
Come diceva Rosa Luxembourg, una delle cose più rivoluzionarie è chiamare le cose con il proprio nome e le Redazioni di InfoPal e Palestine Chronicle sono impegnate in questa operazione, di fronte alla banalizzazione del dibattito, la confusione generate a tavolino e la censura celata o meno.