Discorso all’Onu: Brasile e Usa, il nuovo e il vecchio mondo

Di Angela Lano – InfoPal. Ieri, a New York, si è aperta la seduta annuale dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. A dare il via alla 66a sessione è stata la presidente del Brasile, Dilma Roussef.

Roussef ha fatto un discorso  di 36 minuti, di rilevanza storica sia perché dal 1947 è stata la prima donna ad aprire i lavori, sia per i contenuti stessi della relazione.

Il suo è stato un discorso “al femminile” (e non femminista, che è ben altra cosa), di tutela e aiuto delle popolazioni soffocate dalla crisi, di diritti umani, di opposizione alle guerre, di giustizia economica e sociale, di cambiamento radicale della gestione finanziaria globale, di Stato Palestinese, ecc. Tutti temi di importanza strategica e vitale per l’intero pianeta.

La presidente del Brasile ha parlato di coraggio delle donne e di sincerità, elementi base dell'agire femminile. La Storia, costruita per millenni dagli uomini, ci ha abituati al pensiero violento maschile e al coraggio, inteso in senso militare. Ma le donne sono dotate di un coraggio e di una forza interiori, spirituali e d'animo diversi. Non è il coraggio delle armi o della guerra. E' qualcosa di differente, ed è questo che lei ha evocato.

Grande importanza ha avuto la parte della relazione sul riconoscimento in sede Onu dello Stato di Palestina, accolta con uno scroscio di applausi, a sottolineare l’interesse e l’appoggio generali dei partecipanti. Mentre tutti seguivano con attenzione il deciso intervento della presidente brasiliana, la rappresentanza italiana sembrava quasi distratta, a segnalare forse il distacco dai temi trattati.

“E’ giunto il momento che la Palestina sia pienamente rappresentata all'Onu, ha affermato Roussef, che ha aggiunto: “Solo una Palestina libera e sovrana  potrà portare a una pace duratura in Medio Oriente”.

Dopo di lei ha parlato il presidente degli Stati Uniti, costringendoci a sentire parole prevedibili, scontate, retoriche e prive di contenuti nuovi. Il suo totale appiattimento sul diktat della Israel Lobby e di Israele è stato quanto mai evidente.

A nulla sono valse le parole di Roussef o del ministro degli Esteri cinese – che nei giorni scorsi ha parlato di “isolamento internazionale israeliano”. A nulla conta l’appoggio che da oltre 120 paesi è dato allo Stato di Palestina, di molti parlamentari europei e della gente comune nel mondo.

La retorica obamiana non è dissimile da quella dei presidenti suoi predecessori: è il vecchio, guerrafondaio, ingiusto e doloroso mondo che avanza verso l'abisso della propria auto-distruzione. Dall’altra parte procede spedito un “nuovo” che è già nato, che sta crescendo, rafforzandosi sempre di più a livello economico-geo-politico-sociale e strategico. Certo, non sappiamo ancora se questo “nuovo” sarà migliore del vecchio e se utilizzerà le stesse modalità del primo, ma qualcosa ci fa sperare per il meglio.

Roussef e Obama sono i rappresentanti di questi due mondi diversi e dai destini opposti: la prima, il futuro, il secondo il passato-presente fallito e fallimentare. Il coraggio e la protervia. Usando uno schema antropologico, possiamo definirli come il “femminino” costruttivo e pieno di vita e il “mascolino” distruttivo e portatore di morte.

Ma qui torniamo all’Italia, e al resto dell’Europa. Con chi abbiamo deciso di stare, noi? Con l’Impero che crolla, con il Gigante ferito e crudele, con il vecchio che discende verso il baratro. Non guardiamo né a Est né al Sud-Ovest latinoamericano. Noi guardiamo sempre a quel Nord-Ovest (l’impero anglo-americano con il carrozzone europeo al seguito) emblema di un sistema neo-coloniale, neo-liberista oppressivo e profondamente iniquo.

Noi ce ne stiamo con la bocca aperta, sudditi inebetiti, a pendere dal verbo anglo-americano e dalle lobby finanziare che sanciranno la nostra totale distruzione. Il nostro annientamento economico, sociale e culturale. Quelli etico-morale e politico sono già in atto da tempo.

Questa sudditanza anche psicologica emerge chiaramente dagli articoli apparsi nei nostri giornali mainstream, dove ieri e oggi si poteva leggere solo il banale e scontato discorso del bell’Obama, ma poco o nulla delle forti e decise parole della Dilma brasiliana. Perché a noi, da buoni sudditi-discepoli dell’Impero in declino non interessa il nostro bene nazionale, il nostro futuro e quello dei nostri figli e nipoti: interessa prosternarci ancora e ancora di fronte al Gigante morente, così che anche noi potremo gioire della stessa scontata fine. Magari ci farà il favore di accoglierci come servitori nell’aldilà, ma per questo, è necessario farci seppellire nella stessa tomba o piramide.

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