Duello all’ombra tra Obama e Israele.

Duello all'ombra tra Obama e Israele

di Mark Perry


Duello all'ombra tra Obama e Israele. Nella foto il generale David  Petraeus

Il 16 gennaio, due giorni dopo il terribile terremoto che ha portato devastazione e morte ad Haiti, un gruppo di alti esponenti militari del Comando centrale degli Stati Uniti (Centcom), responsabile della sicurezza americana in Medio Oriente, arrivava al Pentagono per riferire al Capo di stato maggiore, ammiraglio Michael Mullen, sulla situazione del conflitto israelo-palestinese.
Il team era stato espressamente inviato dal comandante del Centcom, generale David Petraeus, per rendere note le sue crescenti preoccupazioni relative al mancato progresso nella risoluzione del conflitto. La relazione in Power Point – 33 diapositive per una durata di 45 minuti – lasciava sbigottito Mullen.

Dal rapporto emergeva infatti che tra i leader arabi è crescente la sensazione che gli Stati Uniti siano del tutto incapaci di opporsi a Israele, che la componente araba del Centcom ha perso fiducia nelle promesse americane; che l'intransigenza d'Israele nel conflitto israelo-palestinese ha danneggiato e compromesso l'autorevolezza degli Stati Uniti nella regione e che lo stesso George Mitchell (l'emissario statunitense per il Medio Oriente, ndr) era – come ha riferito senza mezzi termini più tardi anche una fonte di alto grado del Pentagono – «troppo vecchio, troppo lento, troppo in ritardo».

Un fatto inedito
Il rapporto fatto a Mullen a gennaio non ha precedente alcuno: nessun comandante del Centcom, in passato, si è mai espresso in relazione a quella che, in fondo, è una questione politica. Ecco perché i suoi interlocutori sono stati cauti nel riferirgli che le loro conclusioni si basavano su una visita nella regione effettuata nel dicembre 2009, nel corso della quale – su precise direttive di Petraeus – hanno conferito con leader arabi di alto livello.

«Ovunque andassero, le notizie erano alquanto umilianti», ha riferito una fonte anonima del Pentagono a conoscenza del rapporto. «Non soltanto l'America è considerata debole, ma oltretutto la sua potenza militare nella regione è messa in dubbio e vista come logora».

Ma c'è ancora dell'altro: due giorni dopo il briefing a Mullen, Petraeus ha spedito un documento alla Casa Bianca chiedendo che Cisgiordania e Gaza (che insieme a Israele sono di competenza dell'Eucom, European Command) siano annesse alla sua area operativa. La spiegazione addotta da Petraeus non lascia adito a dubbi: con le truppe statunitensi dispiegate in Iraq e in Afghanistan, l'esercito statunitense deve essere considerato dai leader arabi impegnato anche in quella regione così travagliata.

Su quest'ultimo episodio, una fonte militare di alto grado ha smentito che Petraeus abbia fatto pervenire un documento alla Casa Bianca. Con una e-mail a me indirizzata, è stato precisato che «un team di Centcom ha sì ragguagliato il capo di stato maggiore in relazione alle preoccupazioni che emergono per la questione palestinese, e Centcom ha suggerito alcuni cambiamenti, ma lo ha fatto al capo di stato maggiore e non alla Casa Bianca. Il generale Petraeus non sa con certezza quali parti del rapporto inviato allo stato maggiore possano essere poi arrivate alla Casa Bianca».

In ogni caso, il rapporto a Mullen e la richiesta di Petraeus hanno avuto sulla Casa Bianca l'effetto di una bomba. Se la richiesta di Petraeus di estendere alla Palestina le competenze del Centcom è stata respinta («era già lettera morta ancora prima di arrivare», conferma un funzionario del Pentagono), l'amministrazione Obama ha deciso di raddoppiare i suoi sforzi nella regione, esercitando pressioni ancora una volta su Israele per la questione degli insediamenti, inviando Mitchell in visita in varie capitali arabe e spedendo Mullen a un incontro meticolosamente programmato con il capo di stato maggiore israeliano, il generale di corpo d'armata Gabi Ashkenazi.

Mentre la stampa americana congetturava che la visita di Mullen riguardasse l'Iran, di fatto il capo di stato maggiore ha trasmesso un messaggio secco e inequivocabile sul conflitto israelo-palestinese: Israele deve considerare il conflitto con i palestinesi in un «ambito più ampio, a livello regionale», suscettibile quindi di avere un impatto diretto sulla posizione dell'America nella regione. Si credeva che Israele avrebbe sicuramente afferrato il messaggio.

Invece non è andata così: Israele non lo ha fatto. Di fronte all'annuncio da parte israeliana che il governo di Netanyahu avrebbe costruito 1.600 nuove abitazioni a Gerusalemme Est, il vice presidente Joe Biden si è sentito fortemente a disagio e l'amministrazione Usa ha reagito. Nessuno è rimasto maggiormente indignato dello stesso Biden che, secondo il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, nel corso di un colloquio riservato si è lanciato in una discussione aspra e piena di collera con il primo ministro israeliano.

Interessi a rischio
Non deve stupire pertanto ciò che Biden ha riferito a Netanyahu e che riflette l'importanza che l'amministrazione Usa ha attribuito al briefing di Petraeus a Mullen: «La situazione sta iniziando a farsi pericolosa per noi. Ciò che fate voi israeliani mette a repentaglio la sicurezza delle nostre truppe che combattono in Iraq, Afghanistan e Pakistan. Mette in pericolo noi e la pace nella regione».

Yedioth Ahronoth ha anche riferito: «Il vice presidente ha comunicato ai suoi ospiti israeliani che – tenuto conto che molti tra i musulmani instaurerebbero un collegamento diretto tra l'operato di Israele e la politica statunitense – qualsiasi decisione di costruire nuovi insediamenti che leda i diritti dei palestinesi di Gerusalemme Est potrebbe avere un impatto diretto sulla sicurezza individuale dei soldati americani che stanno lottando contro il terrorismo islamico». Il messaggio, insomma, non poteva essere più chiaro: l'intransigenza di Israele potrebbe costare vite all'America.

In America vi sono lobby importanti e potenti, come l'Nra (National Rifle Association); l'American Medical Association; quella degli avvocati, e poi la lobby israeliana. Nessuna di queste, però, è importante, potente o anche solo paragonabile all'esercito degli Stati Uniti.

Mentre i commentatori riflettono sul fatto che la visita di Joe Biden in Israele è il segno di qualcosa che ha cambiato una volta per tutte i rapporti dell'America con il suo alleato principale nella regione, la vera spaccatura è avvenuta a gennaio, quando David Petraeus ha inviato un gruppo di suoi interlocutori al Pentagono con un irremovibile avvertimento: i rapporti dell'America con Israele sono sì importanti, ma non quanto le vite dei soldati americani. Forse, adesso, Israele avrà afferrato il concetto.

Mark Perry è giornalista e saggista. Il suo ultimo libro s'intitola Talking To Terrorists (Basic Books)
(Traduzione di Anna Bissanti)
© Foreign Policy

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