Ecco una storia personale a proposito dei bambini palestinesi prigionieri

Da @JamaalBowmanNY. Nel 2012 sono stato arrestato a Hebron mentre partecipavo ad una marcia per riaprire Shuhada Street, che era una delle principali vie del mercato per i palestinesi fino a quando l’esercito israeliano non l’ha chiusa trasformandola in una strada percorribile soltanto dai coloni israeliani.

Ammanettato, accecato dallo spray al peperoncino e gettato nel retro di un humvee israeliano dopo che la mia testa ci è stata sbattuta contro, i soldati se ne vanno. All’improvviso si fermano, corrono fuori e tutto quello che sento è un bambino che urla e piange.

Questo bambino viene poi gettato sopra di me e ammanettato. Gli chiedo la sua età, risponde 13 anni. Gli chiedo cosa è successo, dice che stava andando a casa di sua sorella e loro si sono fermati e lo hanno preso.

È in preda al panico e piange “mia sorella mi ha preparato il pranzo, sarà terrorizzata se non torno”. Gli dico di non preoccuparsi, ce la faremo e gli do i consigli fondamentali: hai il diritto di rimanere in silenzio, non dire nulla senza un avvocato, ecc.

Arriviamo all’avamposto militare israeliano, veniamo trascinati fuori dall’humvee. Il ragazzino è terrorizzato e dice loro di non accecarlo (pensava che anch’io fossi accecato a causa dello spray al peperoncino, non riuscivo ad aprire gli occhi).

Gli danno uno schiaffo e gli dicono di stare zitto. Aspettiamo un po’, poi il ragazzino viene chiamato per l’interrogatorio. Il militare israeliano che lo interroga gli dice letteralmente: ti lascio andare a casa, devi solo confermare che il ragazzo che era con te ha guidato la protesta e ti ha detto di lanciarci le pietre.

Il bambino dice che vuole chiamare la sua famiglia, un avvocato. L’interrogante dice ok, poi prende il cellulare e lo dà al bambino, che digita il numero di sua madre. Il soldato gli ruba il cellulare. La madre risponde. Il soldato dice: tuo figlio andrà in prigione e se non parla verrò ad arrestare anche te. Mette in viva-voce, la mamma è nel panico. Anche il bambino inizia a farsi prendere dal panico. Il soldato le riattacca il telefono in faccia.

Il soldato dice al bambino: posso rendere la vita della tua famiglia un inferno. Ma se dici quello che ti ho detto, andrà tutto bene. Il bambino inizia a singhiozzare e dice: “Ma non conosco questo ragazzo, l’ho appena incontrato sull’humvee quando sei venuto a prendermi”.

Seduto fuori dalla stanza, urlo: ragazzino, sii forte, dì la verità e non cadere nelle sue bugie. Vengono e mi portano via. Trenta minuti dopo il ragazzino esce dall’interrogatorio sconvolto. Dice che il soldato gli ha detto che avrebbe sparato a sua madre. Il povero bambino però mi ha detto di non preoccuparmi, ha detto solo la verità.

L’accusa contro questo povero ragazzino era il lancio di pietre, con due soldati che “hanno testimoniato” di averlo visto lanciare una pietra. Ha trascorso 3 mesi in prigione poiché le udienze in tribunale continuavano a essere rimandate; alla fine gli è stato consigliato dal suo avvocato di “ammettere” il lancio di pietre perché in questo modo avrebbe trascorso meno tempo in carcere in quanto l’avvocato avrebbe potuto trattare il suo rilascio dopo 4 mesi, mentre l’attesa della sentenza dei tribunali militari israeliani potrebbe richiedere anche un anno.

In breve, lavorando su questo tema da 12 anni, posso dirvi che la maggior parte degli arresti di bambini in Palestina seguono esattamente questo schema.

Israele vuole dare una lezione alla comunità palestinese, dissuadendo le persone dal protestare contro la sua oppressione. Prende di mira i bambini, arrestandone decine, arrivando fino a 700 all’anno. La maggior parte dei ragazzi viene interrogata e maltrattata. Avvocati e ragazzi sanno che è meglio “confessare” anche se non hanno commesso il crimine, perché aspettare una sentenza e trovarsi nell’incertezza, nel limbo, è un inferno. Ecco perché si ha un tasso di condanna del 95%. Poi il governo israeliano, quando viene contestato per gli abusi sistematici, esce allo scoperto affermando: “Questi ragazzi sono terroristi – hanno attaccato i nostri soldati e lo hanno ammesso”.

E poiché la vita dei bambini palestinesi non conta, il mondo chiude un occhio ancora e ancora e ancora e ancora.