Intervista al Primo Ministro palestinese Ismail Haniyah.

Intervista al Premier Ismail Haniyah.

Dal nostro corrispondente.

 

  •    Non obiettiamo all’istituzione di uno stato palestinese con i confini del ’67.
  •   Aprezziamo la posizione del Primo Ministro italiano, e la consideriamo un inizio di cambiamento nell’atteggiamento dell’Unione Europea.
  •  Chiediamo all’Italia di sforzarsi per cambiare la posizione errata all’interno dell’Unione Europea  e di esercitare il suo ruolo per arrestare l’aggressione israeliana contro il popolo palestinese.

Il Primo Ministro palestinese Ismail Haniyah ha ribadito lo squilibrio nella base sulla quale è iniziato il dialogo nazionale palestinese, e che l’attuale crisi nasce dai risultati delle elezioni legislative. E ha aggiunto che essa non è dovuta al fatto che Hamas è nel governo, ma a tutte le realtà che hanno formato una strategia globale per far fallire questo governo attraverso l’assedio, il prosciugamento delle fonti economiche palestinesi e l’isolamento politico del popolo. 

Abbiamo incontrato il Premier nella sua casa, nel campo profughi di Shati‘, a ovest di Gaza. 

Circola la voce secondo cui volete accettare l’iniziativa araba di pace…

L’iniziativa araba include punti positivi e altri su cui non siamo d’accordo. Il problema non sta nella posizione palestinese e né in quella araba, ma in quella israeliana.

Gli israeliani finora non riconoscono né vogliono confrontarsi su questa iniziativa, al contrario, hanno affermato che “non vale l’inchiostro con cui è stata  scritta”.

Alla vigilia della riunione della Lega Araba a Beirut, Sharon aveva deciso di ri-occupare la Cisgiordania e di assediare la Muqata‘. Di conseguenza, riteniamo che la questione sia il mancato riconoscimento dei diritti legittimi del popolo palestinese.

Abbiamo ribadito la nostra posizione attraverso la dichiarazione politica che avevo letto al Consiglio legislativo: il governo aveva dato la fiducia. Per quanto riguarda le risoluzioni internazionali, l’esecutivo palestinese le tratterà con la massima responsabilità, tenendo in considerazione i più alti interessi del popolo. 

State valutando alcuni cambiamenti nella vostra  strategia per rispondere ai requisiti del Quartetto?

Queste requisiti sono ingiusti e crudeli. Noi speravamo che essi fossero rivolti all’occupazione israeliana, perché è basata sulla confisca della terra e sull’assedio del popolo palestinese.

In che misura il governo può sopravvivere di fronte all’embargo? Sappiamo che una gran parte del bilancio dell’Autorità dipende dalla solidarietà straniera. Qual è l’effetto dell’embargo sul governo e sulle sue posizioni?

Ci dispiace per l’atteggiamento europeo di sospendere gli aiuti al popolo palestinese: è una contraddizione rispetto al più fondamentale dei diritti dell’uomo, e rispetto alle regole della democrazia – in l’Europa e l’Occidente dice di credere. Abbiamo svolto elezioni libere e democratiche, e il loro risultato rispecchia la volontà del popolo palestinese. E sarebbe stato doveroso, da parte europea e degli altri paesi rispettare la volontà popolare. Avrebbero dovuto trattare direttamente con il nuovo governo eletto e non fare dei finanziamenti un ricatto politico. 

Quali sono le alternative che avete di fronte?

Sono quelle arabe e musulmane, istituzionali e popolari. Posso dire che abbiamo delle fonti stabili di supporto. 

Come vedete il rapporto con l’istituzione della presidenza? Nelle sue visite all’estero, Abu Mazen non porta con sé i ministri del governo…

Il rapporto con l’istituzione della presidenza non è nella forma che desideriamo. Per quanto riguarda il fatto che i nuovi ministri non prendano parte alle visite del Presidente, ho chiesto di cambiare questo atteggiamento, ma finora nulla è cambiato. 

Il vostro governo può accettare uno stato palestinese sui territori del ‘67? 

Noi non obiettiamo la nascita di uno stato palestinese sui territori del ’67, ma non diamo legittimazione all’occupazione.  

Non crede che ciò incoraggi Olmert a effettuare i suoi programmi unilaterali? 

La nascita di un stato palestinese è l’obiettivo nazionale, avendo il consenso, in questa fase, di tutte le parti. Noi, come governo, formiamo un ombrello del consenso nazionale palestinese, di conseguenza, i programmi  israeliani unilaterali sono rifiutati e inaccettabili. 

Gaza è una specie di arena di scontri giornalieri fra i membri di Hamas e di Fatah. Cosa ne pensa? Quali sono gli effetti sul vostro lavoro? E quali sono le decisioni che avete preso per ridurre questi  scontr
i?

Non c’è alcun interesse negli scontri inter-palestinesi: il vincitore, in questo caso, è perdente. Noi crediamo nell’unità del popolo palestinese. Nelle ultime settimane ci siamo mossi con tutte le altre forze e fazioni palestinesi, specificamente con i nostri fratelli di Hamas e di Fatah, per ridurre il conflitto interno, e siamo riusciti a contenerlo. Ci sono ancora episodi. Non è nell’interesse del nostro popolo continuare con gli scontri, ma serve solo all’occupazione. 

Secondo lei, ci sono delle “mani invisibili” che giocano sulla sicurezza nell’arena palestinese per creare confusione?    

Abbiamo osservato che il rischio di sicurezza viene sempre dall’occupazione e dai funzionari dell’occupazione, poiché non possiamo pensare che un onesto cittadino potrebbe minacciare la sicurezza della patria e della società. Coloro che si comportano così sono estranei alla cultura nazionale che desideriamo promuovere.

Che aspettative avete sul dialogo nazionale, qual è la sua importanza per Hamas?

Questo dialogo non è il primo e non penso che sarà l’ultimo. Può essere considerato importante in quanto avviene in una situazione di assedio imposto al popolo palestinese, ma sembra che ci sia uno squilibrio alla base: si fa credere che questa crisi e i risultati delle elezioni legislative siano uno sbaglio nelle scelte del popolo palestinese – che ha commesso un errore a eleggere Hamas.

 

Quali sono le fazioni palestinesi che hanno risposto al dialogo?

In questo momento tutte le fazione sono più o meno uguali, però nelle questioni strategiche i fratelli del movimento del Jihad Islamico sono più vicini.

 

Come guardate il Documento dei Prigionieri, può essere la base per la risoluzione della crisi corrente?

Noi partiamo dal rispetto verso quelli che l’hanno firmata: sono dei fratelli che noi rispettiamo e apprezziamo. Ciò che è stato scritto nel documento ha dei punti in comune con la nostra linea, ma in altri si nota manca di una visione politica. A mio avviso, il documento ha fatto una somma tra politico e strategico: ci sono riferimenti ai profughi, al diritto internazionale, agli accordi, ecc. Ad esso non partecipa tutta l’arena palestinese e non ne emerge una visione comune, neanche in ambito dei prigionieri. E’ uscito da una sezione della prigione di Hadrim. Noi ripetiamo a tutti i nostri fratelli detenuti di rispettare i leader e che le decisioni politiche sulle questioni strategiche non si prendono da soli.

 

Si ripete spesso un termine: "guerra  civile". E’ possibile che succeda una cosa simile?

La guerra civile è un termine che non compare nel vocabolario palestinese e nel nostro ambiente. La nostra cultura e la nostra formazione politica non ci permettono di fare una guerra civile. Senza dubbio ci sono problemi e vittime, ma spero che rimangano episodi isolati.

 

Romano Prodi, Primo Ministro italiano, ha rivolto dichiarazioni positive al governo palestinese, come considera la posizione del nuovo governo italiano?

Abbiamo apprezzato la posizione italiana: la consideriamo una possibilità per un cambiamento nell’atteggiamento dell’Unione Europea. Nella mia conversazione telefonica con Romano Prodi, subito dopo la formazione del nuovo governo italiano, ho percepito un atteggiamento politico di

appoggio ai diritti palestinesi.

 

Pensa che l’Italia abbia assunto una posizione diversa rispetto ai paesi della UE e che possa dare sostegno al governo palestinese?  

Chiediamo all’Italia di fornire assistenza al popolo palestinese e di sforzarsi di cambiare la posizione all’interno dell’Unione Europea esercitando un ruolo storico e geografico e, allo stesso tempo, per arrestare gli attacchi contro il popolo palestinese e spingere verso l’ottenimento dei pieni diritti.

 

Quale messaggio vuole trasmettere agli arabi e ai musulmani in Italia? 

Abbiamo bisogno del loro supporto politico attraverso i festival, i congressi e le manifestazioni  davanti ad alcune ambasciate – statunitense, europea e israeliana – per protestare contro l’assedio imposto al popolo. Chiediamo loro di comunicare con noi se ci sono esperienze o idee che possono essere fornite al governo palestinese. Per noi sono un arricchimento.

 

Gaza, giugno 2006

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