Israele e il controllo politico dell’’acqua

Israele e il controllo politico dell’’acqua

Israele e il controllo politico dell’’acqua: ‘punizione collettiva per un’’ulteriore negazione dei diritti nazionali dei palestinesi’

Di Elisa Gennaro

La scarsità di acqua sul globo e ́ un dato attuale e una prospettiva futura reale.
Sebbene l’acqua sia una risorsa rinnovabile, le dinamiche sul campo fanno in modo che la sua interpretazione ed il suo utilizzo rendano tale attributo la sua stessa eccezione.
Cambiamenti climatici, aumento demografico e della domanda di consumi, urbanizzazione (e quindi spostamenti di popolazioni), deficit idrico in agricoltura, privatizzazione (con la produzione di ulteriori scompensi sociali) fino, nel peggiore dei casi, alla creazione di tensioni e conflitti per la gestione delle risorse idriche.

L ́acqua è centrale nei rapporti interni ad un gruppo, ad una comunità o ad uno stato e, su un piano più esteso, è strumento di dialettica nelle relazioni internazionali. Consideriamo ad esempio che il 40% della popolazione mondiale vive in prossimità di risorse idriche, che diventano perciò strumento privilegiato e chiave di lettura dei rapporti tra paesi o basterebbe ricordare i numerosi confini politici perfettamente concidenti con confini idrografici.

Nella mappa: scarsità idriche del Medio Oriente.

Il Medio Oriente: precedenti e realta. In Medio Oriente – l’area di cui faremo un breve tracciato – tutti questi elementi si aggravano ulteriormente poichè sul campo, si associano a dinamiche ancora più acute.
Anzitutto la regione mediorientale è ad alto livello di penuria idrica, geograficamente arida, con siccità e precipitazioni non pienamente utilizzabili poichè vanno a finire in mare per un 5% ed evaporano per il 60%. Vi è un’elevata crescita demografica (2,6 – 3,8%), un alto livello di sfruttamento idrico destinato all’agricoltura e, si calcola che, l’effettiva disponibilità idrica sia destinata a diminuire dell’80% nei prossimi dieci anni.
A differenza dei mari, non esiste una giurisdizione internazionale chiara per lo sfruttamento delle acque transfrontaliere e, quando esistono delle disposizioni in materia, queste riguardano unicamente (con poche eccezioni) i paesi rivieraschi.
A causa del loro status di fiumi internazionali molto contesi, i fiumi del Medio Oriente costituiscono un ostacolo ulteriore all ́assenza di una trattazione giuridica. Qui, numerosi stati, i cosiddetti stati del Bacino del fiume Giordano (Israele, Palestina, Giordania, Siria e Libano) attingono/dovrebbero attingere dalle stesse limitate risorse idriche e sono assenti accordi per il loro sfruttamento congiunto così come non esiste ad oggi una visione di cooperazione per il futuro.
Il rischio che i paesi del Medio Oriente passino da zone di stress o di scarsità idrica verso una scarsità assoluta è alto e riguarderà non solo la quantità ma pure la qualità. Questo aumenta le probabilità che l ́acqua divenga parametro di scontro in conflitti futuri e, non è un caso se, i paesi dell’area più attrezzati militarmente (Israele e Turchia), siano anche gli unici a detenere il controllo delle risorse idriche.
Detenere maggiore potere nella gestione delle risorse idriche del Medio Oriente ha un significato più forte e si traduce in più sicurezza e più forza in politica come al tavolo dei negoziati.
Basti ricordare che le trattative sullo sfruttamento idrico tra Israele e Siria in merito alle Alture del Golan (attraversate da 1/3 delle risorse idriche destinate ai coloni israeliani) sono sospese dal 1948.
Tra israeliani e palestinesi l ́acqua ha connotati e ruoli politici nella più generale contesa/restituzione della terra. L ́acqua è oggetto di contrattazione o, più verosimilmente ai rapporti di forza sul campo, rientra nel coerente approccio israeliano di imporre la propria volontà sul riconoscimento del diritto alle risorse idriche che i palestinesi dovrebbero esercitare in quanto abitanti originari della Palestina.
Il progetto coloniale israeliano, che va avanti da oltre 60 anni, ha sempre posto la questione del controllo delle risorse idriche come un perequisito per la fondazione economica del paese a spese dei palestinesi. La sottrazione/negazione dell ́acqua ai palestinesi è un mezzo potente di ulteriore impoverimento e rappresenta un ́altra minaccia all ́esistenza nazionale della Palestina.

Con l ́occupazione israeliana di altra terra palestinese nel 1967, Israele sposterà il corso del fiume Giordano, guadagnando l ́esclusivo controllo delle acque della Cisgiordania e del Lago di Tiberiade che gli garantiranno il 60% delle risorse idriche. Israele proibirà ai palestinesi l’uso di questa stessa acqua, confischerà le terre ad ovest del fiume Giordano dichiarando l’area “zona militare per ragioni di sicurezza”.
Quando non vengono distrutte fisicamente dai mezzi militari (medesima politica di punizione collettiva attuata per giustificare le terre confiscate per la costruzione del Muro di Apartheid), le confische verranno giustificate con l’incoltivabilità delle terre perchè aride.

Negata l’acqua, si nega acqua e terra.

A partire dal 1967, Israele impone un ́amministrazione militare sull ́intera popolazione palestinese facendosi garante anche delle questioni strettamente interne alla società civile palestinese.
Tra queste anche dell’acqua.
Con una disponibilità di consumo dai 20 ai 35 litri pro-capite al giorno, i palestinesi ricevono l ́acqua, sia per usi domestici sia per l ́agricoltura, ad intermittenza con una media di due volte a settimana per 2-3 ore al giorno.
Israele emette Ordini Militari aventi valore di legge e tra questi il num. 92 che disciplina l ́utilizzo dell ́acqua. L ́Ordine Militare in questione proibisce qualunque sviluppo idrico da parte palestinese, impone quote fisse per l ́estrazione dell ́acqua, vieta la perforazione del terreno e la costruzione di infrastrutture. Il tutto previa licenza rilasciata dall ́ ̈Ufficiale dell ́acqua ̈ israeliano.
Ad oggi, non è stata concessa una sola licenza!

̈Riconosco bisogni, non diritti ̈

Così si esprimerva Ben-Meir, ex-commissario della questione idrica ai negoziatori palestinesi durante gli Accordi di Oslo.
Nel 1995, durante gli accordi di Taba, con i quali si pronunciava un ulteriore riconoscimento (rispetto al 1993 e al 1994) israelo-internazionale di giurisdizione palestinese sulla terra là frammentata, Israele riconosceva (art. 40) il diritto dei palestinesi all’acqua.

Tuttavia, i parametri per il concreto esercizio di questo diritto venivano rimandati al raggiungimento dell’accordo per lo status finale (non a caso la questione idrica veniva posticipata ad oltranza insieme alle altre due questioni fondamentali per la risoluzione del conflitto israelo- palestinese quali i destini di colonie israeliane e di Gerusalemme).
Nonostante nella storia delle mediazioni e del dibattito, tutti, in tutto il mondo e di ogni affiliazione politica, abbiano sempre condiviso l’idea che al centro del tavolo dei negoziati ci dovesse essere anzitutto il ritiro israeliano dalla Palestina occupata – mettendoci poi la propria cornice – Israele non si è mai pronunciato sul fatto che, congiuntamente alla terra, dovesse restituire pure le fonti idriche espropriate.
E quindi, ancora una volta, l’acqua si riconferma come oggetto politico potente mezzo ricattatorio nella contrattazione.
Similmente alle altre materie trattate dai vari accordi conosciuti tutti con il nome di Oslo (1993, 1994, 1995, 1998, 2000) anche per la questione idrica si crea un Comitato Congiunto, il Joint Water Committee, per dare una parvenza di reale cooperazione, condivisione e soprattutto parità. Come gli altri Joint Committees però, quest’organo servirà ad Israele per porre il suo veto ad ogni decisione palestinese.
Nelle citazioni sull’acqua risalenti ai giorni di Oslo, gli unici dettagli riguardavano la possibilità di aumentare la disponibilità idrica dei palestinesi pur non concependo la necessità di dover diminure il consumo idrico degli israeliani e ignorando l’imperante requisito dello spostamento delle colonie. Al contrario, i negoziatori – la parte palestinese non disponeva di un’equipe di esperti – prospettavano a beneficio dei palestinesi, l’estrazione di ulteriori 28.6 milioni mc/anno dalla sola falda orientrale, in pieno territorio cisgiordano e già iper sfruttata dai palestinesi.
Dai contenuti del famigerato articolo 40 (allegato III), in cui viene trattata la questione idrica con riferimento al periodo ad interim (fino al 2000), si commissionerà a USAID uno studio per lo sviluppo idrico in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. I suoi risultati sulla disponibilità idrica futura però verranno presto abbattuti perchè imprecisi e irrealistici. Nonostante l’inghippo, tre anni dopo l’Accordo di Taba, lo studio sarà la base per l’erogazione di un finanziamento di circa 300 milioni $ verso l’Autorità Nazionale Palestinese per mezzo della Palestinian Water Authority (PWA) da parte di USAID, Banca Mondiale, Banca Europea per gli Investimenti ed altri investitori minori.

Approvvigionamento idrico di israeliani e palestinesi: risorse e modalità
Risorse idriche di superficie. Israeliani e palestinesi attingono l’acqua dal già iper sfruttato fiume Giordano. Mentre gli israeliani ne attingono per l’intero corso (320 km), i palestinesi possono ricavare acqua solo dal suo tratto meridionale e, tenendo bene a mente che la Cisgiordania è frammentata in una miriade di villaggi, campi profughi e città divise e isolate l’una dall’altra e in progressivo collasso a causa del Muro di Apartheid, il basso giordano si riduce ad un rigagnolo.
Qui, in Cisgiordania si ha una media di acqua pro-capite al giorno che oscilla dai 45 agli 80 litri ma il dato non va considerato assoluto. Ad esempio a Ramallah se ne possono consumare 70 mentre a Jenin, isolata e non connessa ad alcuna rete idrica, se ne consumano 45.
La principale attività economica della società palestinese, l’agricoltura, con il suo contributo del 15% del PIL, non può essere sfruttata a pieno e i mutamenti che ne derivano sono vasti e devastanti. Ad ostacolare uno sviluppo agricolo – ma anche solo una sopravvivenza per mezzo dell’attività agricola – vigono sempre le restrizioni imposte da Israele, risalenti al 1967. Quote fisse per l’approvvigionamento idrico, divieti d’irrigazione oltre le ore 16,00, pari fatturazione tra israeliani e palestinesi (nonostante l’abissale differenza del tenore di vita), ecc..
Non avendo mai avuto liberta’ – nazionale e privata – di sviluppare un sistema idrico autosufficiente, le tecniche di agricoltura implementate dai palestinesi restano decisamente tradizionali e le secondarie strutture idriche di cui sono dotati fanno si che gran parte dell’acqua venga dispersa. Spesso i palestinesi sono costretti ad acquistarla (a prezzi esorbitanti) dai coloni che, invece, da parte loro, hanno ricevuto agevolazioni per l’acquisto di acqua dal proprio governo per uso agricolo ed e ́ frequente che simili sovvenzioni riguardino zone non agricole. L’agricoltura costituisce solo il 2% del PIL israeliano.

Nella mappa: il Muro d'Apartheid e le risorse idriche. Cisgiordania.

Risorse idriche del sottosuolo. Israeliani e palestinesi raccolgono l’acqua piovana in falde acquifere. Sul territorio (Israele e Palestina da intendersi come Cisgiordania occupata e Striscia di Gaza assediata) ve ne sono tre.
Una costiera sul lato orientale del Mediterranmeo dove l’acqua conservata è destinata esclusivamente ai villaggi limitrofi israeliani. L’acqua è più o meno buona sebbene si registri qualche concentrazione salina.
Una seconda falda è quella detta occidentale che attraversa la Cisgiordania e la cui acqua va a rifornire i pozzi (la cui maggioranza risale al periodo precedente l’occupazione israeliana del 1967). Aumento demografico e potenziamento dei bisogni e della domanda di acqua però non hanno smosso la situazione creata dal divieto di perforazione imposto dal 1967. Pertanto, i palestinesi sono costretti, quando si può, a consumare ancora la stessa quantità d’acqua che utilizzavano 40 anni fa.

La sopravvivenza del popolo palestinese dipende da terra sempre più limitata.

Oggi, la realtà prodotta dalla separazione del Muro di Apartheid, infierisce un duro colpo a qualunque possibilità di sopravvivenza. I sistemi di conduttura idrica, vitali per l’agricoltura e per collegare i villaggi più remoti sono stati distrutti fisicamente insieme alle cisterne. I blocchi stradali imposti dall’esercito israeliano rendono arduo ripiegare sui tank di acqua dall’esterno, il cui prezzo, proprio per queste difficoltà, è lievitato dell’80%.
Intere comunità palestinesi sono state isolate; gran parte dei pozzi sono stati separati in una zona inaccessibile ai palestinesi insieme a vasti ettari di terra coltivabile – una specie di zona cuscinetto stretta tra Muro di Apartheid e linea verde. Le zone agricole della Cisgiordania che attingevano acqua dalla falda occidentale hanno subito un impatto disastroso.
Sottraendo acqua all’irrigazione, ritorna in vigore la confisca di terra giustificata – tra i numerosi motivi avanzati da Israele – con l’incoltivabilità perchè “terra arida”.
Una terza è quella della Striscia di Gaza che, con una capacità idrica al di sotto di 500 mc/anno, è tra le zone idriche più scarse al mondo. La natura del sottosuolo in cui non esiste alcun corso d’acqua naturale permanente, rende la terra della Striscia di Gaza ancora più arida.

Mappa delle strutture idriche e degli effluenti. Striscia di Gaza.

Pertanto qui, l’unica disponibilità idrica è rappresentata unicamente dall’acqua piovana raccolta ma, a causa dell’elevato pompaggio, si infiltra acqua marina tanto da registrare un’altissima presenza di cloruro, tra le più gravi cause di inquinamento.
La Striscia di Gaza è poi, lo stesso territorio martoriato da anni e, delineando la sua situazione idrica, non si può deviare dalla realta’ imposta dal boicottaggio internazionale e dall’assedio israeliano, sin dall’ascesa al governo di Hamas. Sul versante interno, dal mese di agosto 2008, il governo di Gaza non riceve più i fondi destinati a carburante e acqua per le strutture sanitarie da parte dell’Autorità Palestinese per l’Acqua, legata al governo di Fath di stanza a Ramallah.
Ulteriori complicazioni ad uno sfruttamento ordinario dell’acqua si impongono quindi a Gaza e, dopo l’evacuazione dei coloni, la disponibilità idrica per i palestinesi non si è di certo ripresa. Il blocco ha esacerbato qualunque possibilità di autonomia.

Se non vi è elettricità, le pompe non funzionano e, se non funzionano regolarmente, si bloccano del tutto. Se si bloccano, vanno riparate ma, se vige lo stesso blocco, nessun materiale di riparazione potrà entrare senza l ́autorizzazione di Israele.

La qualità dell’acqua. Le preoccupazioni che scaturiscono dalla qualità dell’acqua sono dovute a vari tipi di
contaminazioni attestate.
L’uso di agenti chimici in agricoltura: fertilizzanti organici ed effluenti sono la principale causa di
contaminazione delle falde acquifere, seguita dallo scolo dei liquami e da fertilizzanti artificiali (la
maggior parte dei fertilizzanti artificiali usati è letame di pollame o di mucca). Data la morfologia
del territorio dell’area della Striscia di Gaza, è molto più facile che le impurità si infiltrino dalla
superificie nel sistema acquifero.
Un recente studio condotto da ricercatori tedeschi e palestinesi dell’Università di Heidelberg e
del Centro per la Ricerca sull’Ambiente (Helmholtz Centre for Environmental Research – UFZ),
pubblicava, sulla rivista scientifica Science of the Total Environment, gli importanti esiti di test
effettuati sulle acque prelevate nella Striscia di Gaza.

Pompa per la distribuzione di acqua, Khan Younes. Striscia di Gaza.

Il 90% dei campioni di acqua analizzati conteneva livelli di nitrato fino ad otto volte superiori a
quanto raccomanda l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nei bambini di età inferiore ai 6
mesi, il nitrato causa methaemoglobinaemia, diarrea e acidosis. Si raccomandava perciò alle
autorità di Gaza di mantenere pulita la locale falda acquifera – unica risorsa idrica per i palestinesi
della Striscia di Gaza. Ma ecco che si reimpone il blocco internazionale ad impedire
l’introduzione di qualunque antisettico o antibatteriologico.
L’esame delle acque prelevate dai pozzi della Striscia di Gaza non è stato più incoraggiante. Le
concentrazioni di nitrato attestate andavano dai 31 ai 452 mg per litro. Nello specifico: sui 115
pozzi municipali presi in esame, solo l’acqua di 10 rientrava nei parametri raccomandati
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (50 mg per litro). Tra i pozzi privati, tutti, ad eccezione
di tre, presentavano concentrazioni di nitrato fino a sette volte superiori alle soglie previste dallo
stesso organismo internazionale.

Venendo a mancare un sistema di filtraggio per i motivi di malfunzionamento o totale paralisi delle pompe, lo stato della falda acquifera di Gaza peggiora a causa della morfologia del suo territorio. Assorbendo tutto con facilità, assorberà anche quelle componenti velenose come quelle date dal fosforso delle bombe dell’attacco israeliano (dicembre 2008). Nel corso dell’ultima offensiva, sono stati distrutti numerosi pozzi, sono stati assassinati diversi operai all’opera su pompe e pozzi e, da allora, oltre 400.000 palestinesi della Striscia di Gaza non hanno più accesso all’acqua potabile. Alla contaminazione summenzionata, si va ad aggiungere allora anche quella biologica dovuta proprio all’insufficenza fognaria.

Sul cartello: "Prelievo di liquami". Striscia di Gaza.

Il sistema fognario è infatti un altra realtà che va ad associarsi al rischio crescente di contaminazioni relative all’acqua sporca. Tutta la Striscia di Gaza ha tre reti fognarie ma, per imposizione israeliana, nessuna ha un sistema di depurazione e scarico.
Il principale si trova a nord, all’altezza di Bet Lahya dove però Israele ha vietato che si costruisse un sistema di scarico dei rifiuti. La giustificazione, ancora una volta “motivi di sicurezza” dettati dalla sua vicinanza con il confine israeliano.
Un altro a sud invece non funziona per mancanza totale di carburante e i liquami vanno a finire direttamente sulla costa. Non e ́ stata di grande utilita ́ l ́idea dei palestinesi di costruire dei bacini a filtrazione per far si che i liquami si filtrassero attraverso strati di ghiaia e sabbia. Questi infatti, spesso crollano e non fanno altro che peggiorare la situazione, innalzando il rischio di contaminazioni.

In un territorio di 45 km x 10 km, densamente popolato (2.600 persone x m2), assediato, umiliato e chiuso da anni, vige la costante minaccia di morire di malattie da contatto con acqua sporca e contaminata, di perire di infenzioni e di vivere tra i rifiuti. Gli abitanti della Striscia di Gaza non potranno continuare nell’isolamento a cui sono stati condannati e, vivendo tra tutti questi rischi, non potranno essere autosufficienti.
Oggi, la distribuzione dell’acqua nella Striscia di Gaza avviene con il contagoccie: 4-6 ore a settimana per un 15%, ogni quattro giorni per il 35% e a giorni alterni per il 50%. Qui il 90% della fognatura non è depurata, il 80% di spazzatura viene gettata in spazi aperti ed il 20% di discariche finisce nel sottosuolo.

Scolo della fognatura. Striscia di Gaza.

Pertanto, non ha alcun senso parlare di una media di 80 litri pro capite al giorno di acqua che potenzialmente un palestinese della Striscia di Gaza avrebbe a disposizione perchè, la realtà sul campo abbatte anche questa possibilità.
La realtà è che l ́80% dell’acqua rifornita nella Striscia di Gaza non incontra gli standard di potabilità raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. La mancanza di clorina – a causa del blocco – per assicurare la disinfettazione dell’acqua, aumenta irreversibilmente la diffusione di malattie, soprattutto nei neonati.
Allo stesso modo il grado di salinità e di inquinamento mostrano scenari irreversibili se non si intraprenderanno immediatamente opere di largo respiro come la costruzione di impianti di desalinizzazione e di ricambio artificiale della falda. Tuttavia, questi impianti richiedono lauti investimenti che i palestinesi da soli non possono affrontare ma che potranno trovare ragione d’essere solo con la cooperazione tra i governi internazionali e il governo in carica nella Striscia di Gaza, quello di Hamas.
Allo stato d’Israele, con i suoi 300 litri di acqua pro capite al giorno, con l’abbondanza idrica destinata alle piscine dei suoi coloni poco distanti dal fango delle strade dei campi profughi, con i suoi mezzi di ricerca e di implementazione tra i più avanzati al mondo, ricade la responsabilità di politicizzare le risorse idriche sottratte ai palestinesi per farne un mezzo ricattatorio, ancora una volta, per l’appropriazione forzata della terra dei palestinesi.

Acque di scolo. Striscia di Gaza.

L’acqua resta al centro della competizione politica a vantaggio del più forte – lo stato d’Israele – per continuare ad usurpare terra e risorse naturali ai palestinesi.
Israele detiene il potere di controllo, di gestione e di decisione su quelle esigue risorse idriche che oggi restano limitamente accessibili ai palestinesi e, detenendo il monopolio dell’acqua, usa “pericolosamente” la questione idrica per allontare i palestinesi ulteriormente dalla loro terra.
I palestinesi non vengono coinvolti e si procede come se non esistessero.
Israele taglia, eroga, riduce o vieta del tutto l’acqua, distrugge i pozzi, le cisterne, confisca terra e risorse idriche per la sua sopravvivenza, crea zone militari e trasferisce il corso delle risorse idriche verso colonie illegali e campi militari. Agisce unilateralmente e sviluppa progetti altamente avanzati per la razionalizzazione e l’approvvigionamento idrico per i propri cittadini. Per il loro futuro.
A livello negoziale come su quello informale, non si consultano municipalità o consigli di villaggio palestinesi – magari quelli più interessati alla questione idrica perchè coinvolti maggiormente dall’impatto del Muro di Apartheid.
Come tutte le grandi questioni e come i dettagli sospesi tra lo stato d’Israele e il popolo palestinese, anche l’acqua è motivo di pessimismo. Anche quando si parla di risorse idriche, qualunque inziativa intrapresa non porta con sè alcuna speranza perchè l’atteggiamento politico imperante di Israele limita nei palestinesi l’idea di proprietà di qualunque decisione presa. Complessivamente si inciderà sulla credibilità della sostenibilità dei progetti che si alterneranno nel tempo.

Bacino per la raccolta di acqua piovana. Striscia di Gaza.

L’acqua resta al centro della storica politica de facto sionista e, allo stesso modo, non si concepisce alcuna possibilità di compensazione per quanto si continua a derubare al popolo palestinese.
Si rimanda la questione a tempo indeterminato, mentre si potrà avanzare nella politica di espansione territoriale, possibilmente producendo effetti tutt’altro che “collaterali” di pulizia etnica contro la popolazione palestinese.
Si usa lo spauracchio della scarsità idrica per innescare frustazioni collettive e per stuzzicare la sensibilità nazionale in merito, ancora più importante perchè l’acqua è il primo elemento della vita e perchè è strettamente connessa alla terra. La terra dei palestinesi.
Si avallano progetti e decisioni di sfruttamento delle risorse idriche alquanto irrazionali e, mentre si prosegue nella negazione totale della sovranità palestinese come autorità politica con territorio e risorse naturali ben definite, le responsabilità dei governi e delle agenzie idriche passano in secondo piano e vengono rimandate insieme al nucleo stesso della questione.

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