Israele sarà ritenuto responsabile? A colloquio col nuovo Relatore Speciale delle Nazioni Unite per la Palestina

MEMO. Di Ramzy Baroud e Romana Rubeo. La carica di Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei Territori palestinesi occupati dal 1967, non è mai stata ricoperta da una donna. Fino al 1 maggio 2022.

Francesca Albanese, giurista internazionale e stimata accademica, è stata scelta per questo importante ruolo in un momento cruciale. Il suo predecessore, Michael Lynk, era già arrivato alla conclusione che “il sistema politico di governo radicato nel territorio palestinese occupato… dimostra lo standard probatorio prevalente per l’esistenza dell’apartheid”. Questa affermazione era contenuta nel suo rapporto del 25 marzo. Giungendo a tale conclusione, Lynk ha aggiunto la sua voce a quella delle altre organizzazioni palestinesi, israeliane ed internazionali, nonché degli esperti di diritto internazionale.

Tuttavia, non stupisce il fatto che ad Israele non importi nulla degli inviati delle Nazioni Unite, la cui missione è monitorare e riferire sugli abusi e le violazioni dei diritti umani nella Palestina occupata. Come ogni altro stato impegnato in un’occupazione militare, Israele è particolarmente sensibile a qualsiasi critica proveniente dalle istituzioni internazionali. Tuttavia, si tratta anche di un caso unico. A differenza di altri occupanti militari, Israele non è mai stato chiamato a rispondere delle proprie azioni, nonostante sia accusato di aver violato numerose leggi internazionali e umanitarie nella Palestina occupata.

Settantaquattro anni dopo la sua fondazione sulle rovine della Palestina storica, Israele è ancora alla disperata ricerca di una legittimità politica e giuridica. I Palestinesi e i loro sostenitori in tutto il mondo cercano invece l’opposto: delegittimare Israele come occupante militare e stato di apartheid.

In una precedente intervista, il professor Richard Falk, in passato anch’egli inviato delle Nazioni Unite per i diritti umani in Palestina, ci ha detto che esistono due guerre parallele che stanno determinando i risultati in Palestina: la guerra tangibile, che Israele sta ovviamente vincendo grazie alla sua superiorità militare sui Palestinesi, e la “guerra di legittimità”, che i Palestinesi stanno decisamente vincendo.

E Israele lo sa fin troppo bene. Per questo motivo ha cercato senza sosta di bloccare qualsiasi indagine internazionale sui suoi comportamenti illegali in Palestina, ha attaccato ferocemente gli inviati delle Nazioni Unite e ha etichettato come “antisemitismo” qualsiasi tipo di critica al suo brutale e sproporzionato utilizzo della forza in Palestina.

La strategia israeliana, tuttavia, non ha dissuaso molti individui e stimate organizzazioni dal continuare a chiedere conto ad Israele del rispetto del diritto internazionale. Gli inviati delle Nazioni Unite per i diritti umani in Palestina hanno svolto un ruolo cruciale nel sostenere la pressione su Tel Aviv, con l’obiettivo finale di porre fine all’occupazione israeliana e per il rispetto dei diritti umani dei Palestinesi, come sancito dal diritto internazionale.

Il 3 maggio, due giorni dopo aver assunto il suo nuovo incarico, abbiamo dialogato Francesca Albanese. Le abbiamo chiesto a proposito del ruolo di Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani in Palestina, dei suoi piani per i prossimi sei anni e se ritiene che una pressione internazionale duratura finirà per considerare Israele responsabile dei crimini che continua a commettere.

“Gli ostacoli sono tanti”.

Abbiamo chiesto ad Albanese di fornirci una definizione essenziale del ruolo di Relatore Speciale delle Nazioni Unite e di spiegarci quali sono i suoi piani per questa missione, considerando anche gli ostacoli che hanno dovuto affrontare i suoi predecessori Lynk, Falk e John Dugard, solo per citarne alcuni.

“I relatori speciali sono esperti indipendenti in materia di diritti umani e il loro mandato è, in sostanza, quello di riferire e consigliare l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati”, ha spiegato. “Il sistema dei relatori speciali è una componente centrale delle Nazioni Unite per i diritti umani e cerca di coprire tutti gli aspetti dei diritti”.

La sua responsabilità, ha detto, sarà la stessa di quella dei suoi predecessori: riferire annualmente al Consiglio per i Diritti Umani e all’Assemblea Generale. “Lo farò mantenendo indipendenza, efficienza ed integrità”.

Tuttavia, ha sottolineato, “gli ostacoli sono molti. I diritti umani in generale sono un tema che tocca la sensibilità degli Stati di tutto il mondo. Nel caso dei Relatori Speciali nei TPO (Territori Palestinesi Occupati), la cooperazione con lo Stato è stata molto carente. La cooperazione, soprattutto con le autorità israeliane, non è mai stata approfondita, né con Michael Lynk, il mio immediato predecessore, né col suo predecessore Richard Falk”.

Abbiamo chiesto ad Albanese se si sente limitata dal suo mandato, coprendo solo i Territori palestinesi occupati dal giugno 1967. In effetti, il colonialismo israeliano è iniziato molto prima ed include la pulizia etnica della Palestina storica nel 1948, nota come Nakba o catastrofe. Questo punto specifico è stato evidenziato da Amnesty International in un recente rapporto dal titolo “L’apartheid israeliana contro i Palestinesi: un sistema crudele di dominazione e un crimine contro l’umanità”.

“Ritengo che, in un certo senso, questo per me costituirà un ostacolo meno di quanto non lo sia stato per i miei predecessori, dato che ora vi è una commissione d’inchiesta, nominata l’anno scorso dal Consiglio per i Diritti Umani, dopo i tragici eventi del maggio 2021”, ci ha spiegato Albanese. “La Commissione non sarà limitata territorialmente ai TPO e ha un mandato piuttosto ampio, per cui guardare alle cause profonde è assolutamente necessario, come è sempre stato riconosciuto dalla comunità dei diritti umani, perché la realtà vissuta dai Palestinesi oggi non può essere compresa se il passato viene dimenticato e trascurato”.

Ha aggiunto: “Indagherò e… riferirò sulle violazioni che hanno avuto luogo a partire dal 1967, ma non mi verrà impedito di affidarmi o di fare riferimento alla storia e ai fatti che sono ben documentati dalle Nazioni Unite e dagli storici, se e nella misura in cui sono necessari per spiegare la realtà attuale, fatta di espropriazioni territoriali, sfollamento e altre violazioni”.

Apartheid: perché adesso?

Facendo riferimento al rapporto di Lynk sull’apartheid israeliano, che ha fatto seguito ad altri rapporti delle organizzazioni internazionali per i diritti umani Human Rights Watch e Amnesty International, abbiamo chiesto ad Albanese perché, a suo avviso, ci sia voluto così tanto tempo per giungere ad una conclusione così ovvia; dopo tutto, la segregazione razziale e la discriminazione in Palestina sono insite nel concetto stesso di Stato di Israele.

“La questione della Palestina non inizia certo nel 1948. C’è stato un elemento di discriminazione contro gli arabi palestinesi sin dall’inizio della migrazione ebraica (verso) la Palestina, iniziata alla fine dell’Impero Ottomano. I Palestinesi hanno da sempre sottolineato questa realtà. Quando è stata presa la decisione di dividere il territorio, eravamo all’apice del colonialismo. Il dividi et impera non era visto come una questione problematica”.

“Inoltre, l’antisemitismo in Europa e ‘la tragedia dell’Olocausto’ hanno creato maggiore sensibilità sulla questione. Per molto tempo, e anche oggi, criticare Israele è stato considerato inaccettabile”.

“Perché oggi? Perché penso che le violazioni dei diritti dei Palestinesi abbiano raggiunto un punto che non ha precedenti. Dopo la Seconda Intifada, le maglie del controllo si sono inasprite per i Palestinesi, c’è un senso di prigionia fisica e psicologica. Ora si avverte più chiaramente il sistema discriminatorio che Israele ha gradualmente imposto”.

Israele sarà ritenuto responsabile?

Se c’è un elemento immutabile nel comportamento di Israele nei confronti dei Palestinesi, è il fatto che Israele non è mai stato ritenuto responsabile dalla comunità internazionale in modo significativo. Tenendo ben presente questo, abbiamo chiesto ad Albanese perché pensa che sia così e se ritiene che le attuali istituzioni internazionali abbiano il potere di cambiare questa realtà.

Il diritto internazionale è sempre stato dalla parte dei Palestinesi, fin dall’inizio”, ha ribadito Albanese. “La questione è pertinente alle decisioni politiche. La comunità internazionale ha il potere di cambiare questa realtà? Sì, certo. Ha la volontà di farlo? Non sembra essere così. Come ha sottolineato Michael Lynk nel suo ultimo rapporto all’Assemblea Generale [delle Nazioni Unite] lo scorso anno, è l’inazione della comunità internazionale, e in particolare di alcuni Stati, che rende possibili le azioni israeliane e ha permesso ad Israele di trasformarsi in un sistema che oggi nessuna seria organizzazione per i diritti umani si può astenere dal definire di apartheid.

“Si può cambiare? Credo che il sistema per i diritti umani e la legge sui diritti umani rimangano essenziali per ricordare a tutti il confine tra legale ed illegale, tra ciò che è possibile e ciò che non lo è”.

(Foto: la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina Francesca Albanese [HillelNeuer/twitter]).

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi