Tel Aviv – MEMO. La campagna di boicottaggio contro le aziende ed i prodotti occidentali che sostengono Israele si sta diffondendo in tutto il mondo arabo. La campagna è stata lanciata sui social media, dove ha guadagnato slancio dopo lo scoppio della guerra israeliana contro i palestinesi di Gaza, descritta da molti come “genocidio” e “pulizia etnica”. Finora Israele ha ucciso più di 10 mila palestinesi, la maggior parte dei quali donne e bambini.
In un negozio del Bahrein, ad esempio, la quattordicenne Jana porta con sé un tablet mentre fa la spesa con la madre, in modo da poter consultare un elenco di prodotti occidentali per evitare di acquistarli mentre gli attacchi israeliani su Gaza continuavano. Jana e suo fratello Ali, di dieci anni, mangiavano regolarmente da McDonald’s prima degli attacchi a Gaza, ma si sono uniti a molti in Medio Oriente in una campagna per boicottare i principali prodotti internazionali e le aziende che sostengono o traggono profitto da Israele.
“Abbiamo iniziato a boicottare tutti i prodotti che sostengono Israele per solidarietà con i palestinesi”, ha spiegato Jana. “Non vogliamo che il nostro denaro contribuisca ad altri spargimenti di sangue”. La ragazza ha sottolineato che sta cercando alternative locali ai prodotti che sostengono Israele, soprattutto quelli statunitensi.
La campagna di boicottaggio è stata accompagnata da appelli ai Paesi arabi affinché interrompano i legami con Israele. Diversi Paesi del Medio Oriente stanno assistendo a manifestazioni settimanali in solidarietà con la popolazione di Gaza.
Turchia e Giordania hanno richiamato i loro ambasciatori a Tel Aviv, mentre il Sudafrica ha convocato i suoi diplomatici per consultazioni. Colombia, Cile e Bolivia hanno interrotto i rapporti diplomatici con lo Stato d’occupazione.
In Bahrein, che ha normalizzato le relazioni con Israele nel 2020, la Camera dei rappresentanti ha annunciato la “cessazione” delle relazioni economiche con Israele, ma il governo non lo ha confermato.
Gli appelli al boicottaggio lanciati da giovani esperti di tecnologia si sono diffusi, con il lancio di siti web e applicazioni che elencano i prodotti da boicottare, nonché di un’estensione di Google Chrome chiamata PalestinePact, che nasconde la pubblicità dei prodotti inclusi nella lista di boicottaggio.
Si ricorre anche a metodi tradizionali, con cartelloni pubblicitari visti in Kuwait con immagini di bambini coperti di sangue. Le foto erano accompagnate dalla scioccante scritta “Hai ucciso un palestinese oggi?” e dall’hashtag #boycotters. Il messaggio è rivolto ai consumatori che non hanno ancora aderito alla campagna di boicottaggio.
Mishari al-Ibrahim è un membro del Movimento di Boicottaggio dell’Entità Sionista in Kuwait. “Le reazioni occidentali dopo le violenze contro Gaza hanno rafforzato la diffusione del boicottaggio in Kuwait e hanno creato un’immagine mentale tra i kuwaitiani secondo cui la promozione dei diritti umani da parte dell’Occidente non ci include”, ha dichiarato. “Il boicottaggio è finora chiaro, le reazioni dei rappresentanti dei marchi all’interno del Paese confermano l’impatto della campagna”.
La catena di ristoranti McDonald’s si è trovata ad essere un bersaglio privilegiato. Il mese scorso, la filiale israeliana di McDonald’s ha annunciato di aver fornito migliaia di pasti gratuiti all’esercito israeliano, scatenando la rabbia del pubblico arabo e alimentando le richieste di boicottaggio. Le vendite dell’azienda nel mondo arabo ne hanno risentito pesantemente.
I boicottaggi hanno un impatto. In Qatar, alcune aziende occidentali sono state costrette a chiudere dopo che i loro dirigenti hanno pubblicato contenuti pro-Israele sui social media. Le filiali del caffè statunitense Pura Vida Miami e della pasticceria francese Maitre Choux hanno chiuso i battenti, a Doha, il mese scorso.
In Egitto, l’azienda egiziana di bevande gassate Spiro Spathis, che prima non era molto popolare, ora è diventata estremamente popolare come alternativa a Pepsi e Coca-Cola, dopo gli appelli al boicottaggio di entrambe. L’azienda, fondata nel 1920, ha pubblicato una dichiarazione sulla sua pagina Facebook in cui affermava di aver ricevuto più di 15 mila curriculum vitae quando ha annunciato che stava assumendo altro personale per espandere le sue attività vista la maggiore richiesta di prodotti.
In Giordania, sui social media si sono diffusi post che fanno riferimento a marchi che sostengono Israele con lo slogan “Non contribuire al prezzo dei loro proiettili”. In un negozio della capitale, Amman, Abu Abdullah ha guardato con attenzione una bottiglia di latte, dicendo al figlio di quattro anni Abdullah: “Questo è buono, viene dalla Tunisia. È il minimo che possiamo fare per i nostri fratelli di Gaza. Dobbiamo boicottare”.
Traduzione per InfoPal di F.L.