La “Flag March” (o Marcia delle Bandiere) dimostra il dilemma dell’occupazione a Gerusalemme

MEMO. Di Hossam Shaker. La fragilità di una posizione viene talvolta messa a nudo quando si esagera con la fiducia in se stessi e cercando di dimostrare di avere il pieno controllo della situazione. Questa è l’impressione data dalla marcia dei coloni e degli estremisti israeliani che il 18 maggio scorso hanno sfilato nella Città Vecchia di Gerusalemme, sventolando le loro bandiere e scandendo slogan di estrema destra, appoggiati dalle forze di occupazione e sponsorizzati direttamente dal governo israeliano.

L’obiettivo dell’annuale “Marcia delle bandiere” è quello di apparire come un evento emblematico, che suggerisce potere e controllo, e invece ogni anno evidenzia chiaramente il dilemma dell’occupazione nella città di Gerusalemme. In questa ultima marcia, le autorità di occupazione hanno mobilitato una folla di coloni supportandoli con le armi, e mettendo in campo migliaia di forze armate (circa 3.300 secondo i comunicati ufficiali). Nel frattempo, però, i residenti palestinesi di Gerusalemme continuano a manifestare durante tutto l’anno, ogni giorno, nonostante la forza armata israeliana usata quotidianamente contro di loro e nonostante le incessanti campagne di persecuzione, intimidazione, arresti e uccisioni.

In altre parole, le marce cerimoniali sponsorizzate dal governo israeliano e dalle autorità dell’occupazione non riflettono quella che è la reale situazione di Gerusalemme o la sua identità culturale; piuttosto, indicano la violenza dell’occupazione, la sua superba arroganza e la completa mancanza di fiducia in se stessa. Perché un governo ricorre a tutta questa montatura, accompagnata dalla mobilitazione per la sicurezza e dall’esclusione dei residenti palestinesi di Gerusalemme dalle strade, se è veramente così sicuro della legittimità della sua esistenza e della stabilità del controllo sulla sua presunta capitale unificata?

La realtà è che l’identità di Gerusalemme rimane chiaramente arabo-palestinese, nonostante oltre mezzo secolo di espansione degli insediamenti, le restrizioni alla vita quotidiana dei cittadini palestinesi a Gerusalemme Est, l’esagerazione nel distorcere la realtà e l’innalzamento delle numerose bandiere israeliane sugli edifici confiscati. La vetrina raggiunge il suo apice quando, in alcune occasioni, le autorità di occupazione ricorrono agli effetti speciali, proiettando luci blu e bianche sulle mura storiche di Gerusalemme per farle apparire come se avessero un’identità israeliana. Ma il giorno dopo, assieme a molti altri, questo trucco visivo non riesce a nascondere la natura arabo-palestinese della città, che è una natura vibrante e ben visibile, sia dentro che fuori le mura, intrecciata con l’Islam e il Cristianesimo, e che non richiede nessuna tecnica sofisticata per dimostrarlo.

La “Marcia delle Bandiere” israeliana è solo una vetrina voluta del potere dell’occupazione che mobilita una folla che urla slogan ingenui e fantomatici. Ma ad un’analisi più attenta, risulta chiaro che il pubblico della “Marcia delle Bandiere” è costituito principalmente da coloni estremisti che sono stati invogliati a vivere in insediamenti illegalmente creati, secondo il diritto internazionale, su terre rubate ai proprietari palestinesi. Tra questi individui, le espressioni del fascismo stanno nettamente aumentando, come ad esempio l’innalzamento della bandiera del movimento fascista “Kahane Chai” – considerato terrorista sia dal governo americano che da quelli europei – durante la marcia del 18 maggio 2023. Durante queste marce delle bandiere, è comune sentire slogan come “Mavit le Aravim” che significa “Morte agli arabi!” Questo slogan razzista viene talvolta modificato in “Mavit le Hablanim” che significa “Morte ai terroristi!” e non serve molta intelligenza per concludere che alludono anche agli “arabi”, al popolo palestinese, in particolare, dato che questi razzisti ne negano addirittura l’esistenza.

Il clima fascista gode di un chiaro patrocinio ufficiale, tanto che la marcia del 18 maggio si è distinta per la partecipazione di diversi ministri del governo israeliano – tra i più estremisti, Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich, che rappresentano un approccio esplicitamente fascista -, diventato ormai dominante nella vita politica israeliana grazie agli equilibri elettorali esistenti. L’influenza di queste figure è destinata ad aumentare nelle prossime tornate elettorali, per ragioni demografiche interne e per altre legate alla loro crescente influenza nelle istituzioni e nelle autorità statali. Alla marcia ha partecipato anche il ministro Israel Katz, noto per le sue politiche di incoraggiamento alla costruzione degli insediamenti e di offerta di strutture che attirino i coloni attraverso i molteplici ministeri che ha diretto finora. È uno dei sostenitori dell’annessione della Cisgiordania e ha causato crisi con i governi europei facendo dichiarazioni sprezzanti sul popolo belga e polacco.

La “Marcia delle bandiere” rappresenta il tentativo di occupare Gerusalemme moralmente, dopo che è stata occupata militarmente dall’esercito, un obiettivo perseguito anche dalla propaganda israeliana attraverso la giustificazione dell’occupazione con l’uso di falsi miti, come avviene nei cortometraggi e nei video promozionali volti a negare l’identità arabo-palestinese e islamo-cristiana della città.

Il ministero degli Affari Esteri israeliano ha spesso diffuso brevi clip promozionali di questo tipo per giustificare l’occupazione di Gerusalemme, nel tentativo di imporre la propria avventata narrazione. Uno di questi filmati, ad esempio, ritrae una giovane e affascinante famiglia israeliana, utilizzando una tecnica teatrale che imita le commedie familiari hollywoodiane, che vive in un piccolo appartamento nuovo che simboleggia il concetto di “piccolo stato che ci invidiano”. Ben presto gruppi di persone iniziano a bussare alla porta rivendicando la proprietà dell’appartamento, e poi arrivano gli arabi come ultimo di questi gruppi, ovviamente accompagnati da insinuazioni sprezzanti nei loro confronti, senza però fare alcun riferimento ai palestinesi.

Ci si aspetta che il pubblico si diverta con l’arte dell’inganno pieno di effetti, senza cercare di impegnare la propria mente con domande come: perché non hanno invece rappresentato la realtà per quella che è veramente, cioè mostrando la sofferenza di un’anziana famiglia palestinese nel luogo in cui i coloni provenienti dagli Stati Uniti, con la testa piena di leggende storiche e le tasche piene di denaro, bussano alla loro porta?!

La propaganda israeliana investe enormi quantità di denaro in questo campo, ma alla fine l’inganno non vince, soprattutto nell’era delle immagini, di internet e delle trasmissioni in diretta. Le scene più autentiche provengono dall’interno di Gerusalemme, trasmesse dagli smartphone al mondo, e questi fatti visivi ma concreti sono in grado di smuovere le basi della sprovveduta propaganda dell’occupazione.

La “Marcia delle Bandiere” richiama l’attenzione sul fatto che la bandiera israeliana viene issata a Gerusalemme con la forza delle armi, il potere dell’oppressione e le politiche di persecuzione imposte ai residenti della città. Nel frattempo, le forze di occupazione ostacolano ogni tentativo di innalzare la bandiera palestinese, come si è visto durante la marcia. Le paure delle autorità di occupazione non si fermano alla bandiera palestinese, ma si estendono al divieto di qualsiasi attività culturale e civile e ad altri aspetti della vita quotidiana. Ciò è apparso evidente anche quando le forze di occupazione hanno brutalmente attaccato il corteo funebre della giornalista Shireen Abu Akleh, uccisa dai soldati israeliani l’11 maggio 2022 mentre stava svolgendo il suo lavoro. La paura dell’occupazione che da questa città il mondo potesse assistere al reale scenario palestinese, ha portato le forze dell’occupazione ad inseguire la bara della giornalista, trasportata dalla gente di Gerusalemme dopo l’uscita dalla chiesa. La bara stava per cadere a terra nonostante fossero presenti alla cerimonia funebre anche i rappresentanti delle missioni diplomatiche occidentali.

È divenuto del tutto normale, inoltre, assistere a scene di aggressioni, abusi e inseguimenti contro i palestinesi nei quartieri di Gerusalemme e persino in occasione di eventi religiosi e nei luoghi sacri. Ad esempio, le forze di occupazione hanno attaccato i fedeli, tra cui donne, bambini e clero cristiano, che si stavano recando alla Chiesa della Resurrezione per celebrare il Sabato Santo prima di Pasqua, il 15 aprile 2023, mentre gli attacchi ai fedeli della Moschea di Al-Aqsa sono continuati durante tutto il mese di Ramadan, che coincideva con la festività dei cristiani.

Il concetto di “Noi siamo qui” che la “Marcia delle bandiere” cerca di esprimere, appare in realtà come una prova dell’incapacità israeliana a Gerusalemme. Questa marcia, che arriva 56 anni dopo l’occupazione di Gerusalemme Est, rimane condizionata dall’imposizione di misure coercitive straordinarie che si intensificano, anno dopo anno, fino a paralizzare la vita quotidiana della città. L’obiettivo è semplicemente quello di eliminare i cittadini palestinesi dalla scena. Durante la marcia del 18 maggio, le forze di occupazione hanno assalito i cittadini palestinesi nei pressi della Porta di Damasco, uno degli accessi principali della Gerusalemme storica, e li hanno aggrediti all’interno della Città Vecchia, costringendoli ad allontanarsi dall’area per preservare lo scenario di pura propaganda israeliana. Questa rimane comunque una “procedura di routine”. I coloni e gli estremisti hanno dimostrato un comportamento provocatorio anche durante i loro spostamenti, supportati dalle forze di occupazione lungo i vicoli di Gerusalemme, e si sono scontrati con i palestinesi che uscivano dalle porte e dalle finestre. E ogni volta che lungo il percorso scoppiava una rissa, le forze di occupazione sono intervenute per reprimere i palestinesi a favore dei coloni. La marcia ha cercato di dimostrare un’estrema sicurezza di sé, ma la realtà della falsa sceneggiata è stata smascherata ogni volta che una piccola bandiera palestinese appariva sul suo percorso o è stata sollevata in aria da un palloncino lanciato da un bambino di Gerusalemme. Le forze di occupazione si sono affrettate a soffocare questi segni di vita, attraverso i quali i residenti perseguitati di Gerusalemme affermano “Noi siamo qui”.

La “Marcia delle Bandiere” ha cercato di rappresentare un’immagine mitica, mentre i palestinesi continuano a rimanere aggrappati alla loro città e ai loro quartieri residenziali, minacciati di sfollamento forzato. Il mondo ne è stato testimone nel quartiere di Sheikh Jarrah o nell’emarginato villaggio di Khan Al-Ahmar, privato dei beni di prima necessità. Al contrario, queste folle di coloni sono arrivate a Gerusalemme solo grazie al patrocinio ufficiale di un regime di occupazione che concede loro generosi privilegi economici, una rigorosa protezione e armi che indossano giorno e notte, sperando che queste generazioni vengano in città e nella Cisgiordania occupata e vi si stabiliscano, in pieno contrasto con il diritto internazionale.

Qual è il significato di marce cerimoniali che non richiedono sacrifici, marce che vengono effettuate da un pubblico di coloni ed estremisti con un enorme ed eccezionale sostegno da parte delle forze di occupazione? Durante queste marce, i militari conducono arresti, misure oppressive e severe restrizioni contro la popolazione di Gerusalemme, al fine di fabbricare il falso scenario che desiderano. Solo i palestinesi di Gerusalemme continuano il poema epico ormai da molti decenni, affrontando continue rappresaglie da parte delle forze di occupazione e pagandone il prezzo con la loro libertà e le loro vite. Esiste un’autentica marcia delle bandiere a Gerusalemme che merita il sostegno di tutto il mondo. È il poema epico che i palestinesi disarmati di Gerusalemme stanno portando avanti sotto l’occupazione, chiedendo libertà, diritti e giustizia, nonostante i sacrifici e i rischi che devono affrontare.

(Foto: [Mostafa Alkharouf – Anadolu Agency]).

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi