Gaza – MEMO. Di Jehan Alfarra. Dal momento che i leader israeliani stanno diventando sempre più e pubblicamente sprezzanti nei confronti dell’idea di uno Stato palestinese indipendente e dei diritti dei palestinesi alle loro terre, e che le colonie per soli ebrei continuano a inghiottire le terre palestinesi nella Cisgiordania occupata, il perseguimento di un Grande Israele, esplicitamente o implicitamente, è nell’agenda politica dello Stato ebraico? E un’aspirazione nazionale sionista?
La Grande Israele.
Il termine “Grande Israele” si riferisce all’idea di espandere il territorio e la sovranità di Israele fino a comprendere quella che molti israeliani descrivono come la loro storica terra biblica. Per molti, ciò include i Territori palestinesi occupati e le alture del Golan occupate.
C’è chi sostiene che l’intera regione tra il fiume Giordano ed il Mar Mediterraneo sia la Terra Promessa degli ebrei e che sia loro per diritto divino, a prescindere da chi vive sulla terra e dai loro diritti all’autodeterminazione. Altri la considerano una pericolosa ideologia incentrata sull’etnosupremazia e sull’emarginazione della popolazione palestinese autoctona della terra. La considerano una minaccia ai principi di giustizia, uguaglianza e diritti umani e, di conseguenza, un ostacolo alla pace.
Agli occhi di molti palestinesi, l’idea di un “Grande Israele” sta diventando una cruda realtà.
Espansione illegale degli insediamenti.
Uno dei fattori principali che spianano la strada alla “Grande Israele” è l’espansione delle colonie israeliane nella Cisgiordania occupata. Le colonie sono illegali secondo il diritto internazionale – come da risoluzioni 242, 338 e 446 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e, più recentemente, dalla risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – adottata nel 2016 – che afferma chiaramente che l‘attività coloniale di Israele costituisce una “flagrante violazione” del diritto internazionale e non ha “alcuna validità legale”, invitando Israele a fermare l’espansione delle colonie e ad adempiere ai suoi obblighi di potenza occupante ai sensi della Quarta Convenzione di Ginevra.
I funzionari israeliani non solo hanno respinto completamente tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite riguardanti la fine delle attività coloniali illegali ed il ritiro dai territori occupati, ma hanno cercato attivamente di incoraggiare la costruzione e la legittimazione di un numero sempre maggiore di colonie per soli ebrei in terra palestinese.
Dati demografici.
Secondo le Nazioni Unite, almeno 700 mila israeliani vivono in colonie nella Gerusalemme Est e nella Cisgiordania occupate, territori destinati ad un futuro Stato palestinese secondo la soluzione a due Stati sostenuta a livello internazionale. Nel frattempo, molti palestinesi nei Territori palestinesi occupati vengono espulsi dalle loro case e dalle loro terre, da Sheikh Jarrah, a Gerusalemme, e dai quartieri palestinesi in prossimità del sito della moschea di al-Aqsa – chiamata dagli israeliani Monte del Tempio – alle colline meridionali di Hebron e alle aree di tutta la Cisgiordania.
In base alla Legge del Ritorno, un atto legislativo sionista fondamentale promulgato dal primo governo israeliano negli anni ’50, qualsiasi ebreo nato in qualsiasi parte del mondo ha il diritto di immigrare in Israele e di diventarne automaticamente cittadino. Ha anche il diritto di vivere in una delle colonie nei Territori palestinesi occupati. D’altro canto, ai rifugiati palestinesi e ai loro discendenti, che sono almeno cinque milioni solo nella diaspora, Israele non permette di tornare alle case e alle terre da cui sono stati costretti a fuggire durante la Nakba e la creazione dello Stato israeliano nel 1948, nonostante il loro diritto riconosciuto a livello internazionale, come previsto dalla Risoluzione di sicurezza 194 delle Nazioni Unite.
Nessun percorso di pace?
A parte l’assenza di un serio perseguimento e di una fattibilità pratica di una soluzione a due Stati, basata su uno Stato israeliano ed uno palestinese esistenti fianco a fianco, c’è un’ampia disapprovazione israeliana per l’approccio sempre più supportato della soluzione ad uno Stato, che sostiene un unico Stato democratico tra il fiume Giordano e il Mare Mediterraneo, con pari diritti per tutti i suoi cittadini e il ritorno di tutti i rifugiati palestinesi. A questo si contrappone uno status quo che mantiene l’occupazione militare israeliana sui palestinesi ed un sistema d’Apartheid, come riconosciuto dalle principali organizzazioni per i diritti umani del mondo, tra cui l’israeliana B’Tselem, incoraggiando e consolidando al contempo la creazione di colonie israeliane.
In questo contesto, con grande preoccupazione dei palestinesi di tutto il mondo, la nozione di “Grande Israele” emerge non solo come una trasformazione fisica della mappa, ma anche come un simbolo carico che racchiude le complessità che definiscono la lotta dei palestinesi per la libertà.
Traduzione per InfoPal di F.H.L.