La silenziosa annessione israeliana delle alture del Golan

Eglish.alaraby.co.uk/. Di Emad Moussa. Con poca resistenza internazionale, il primo ministro Naftali Bennett sta cercando di rafforzare il controllo israeliano sulle alture del Golan in modo che la presenza di Israele diventi un punto di non ritorno. (Da InvictaPalestina.org).

A dicembre, alla vigilia di un incontro speciale guidato dal primo ministro Naftali Bennett, i membri del gabinetto israeliano hanno posato per una foto su di una rupe nel kibbutz Mevo Hama, insediamento israeliano  sulle alture del Golan.

Dietro di loro c’era lo splendido e nebbioso orizzonte in cui l’altopiano del Golan, occupato da Israele, incontra la Siria vera e propria. Lo scenario dava un senso di congruenza geografica e serenità naturale, ma nascondeva una cupa realtà politica.

Subito dopo l’incontro, Bennett ha dichiarato che il suo governo prevede di investire milioni di dollari per raddoppiare il numero di coloni ebrei nelle alture del Golan entro cinque anni.

“Un’aggiunta di 23.000 persone”, secondo una dichiarazione rilasciata dall’ufficio di Bennett, superando in tal modo i circa 27.000 nativi arabi, per lo più drusi siriani.

Un progetto approvato dal governo ha rivelato che la maggior parte delle nuove unità abitative sarà concentrata a Katzrin, il principale insediamento israeliano nell’area.

 “Il riconoscimento della sovranità di Israele sull’area da parte dell’amministrazione Trump – e l’apparente riluttanza di Biden a ribaltare la decisione – ha incoraggiato nuovi investimenti nel Golan”.

I piani arrivano come parziale adempimento degli impegni presi da Bennett sei settimane prima alla Conferenza di Makor Rishon, nell’insediamento di Hispin, sempre sul Golan, dove ha promesso di quadruplicare la popolazione di coloni ebrei nel territorio occupato, inizialmente da 27.000 a 50.000 e infine a 100.000.

Dopo l’incontro di Mevo Hama, Bennett si è espresso sul fatto che il riconoscimento della sovranità di Israele sull’area da parte dell’amministrazione Trump – e l’apparente riluttanza dell’amministrazione Biden a ribaltare la decisione – aveva incoraggiato il nuovo investimento.

Nel febbraio dello scorso anno, poco dopo che Joe Biden aveva prestato giuramento come presidente, il Segretario di Stato Anthony Blinken aveva affermato che le alture del Golan erano di “reale importanza per la sicurezza di Israele”, sottintendendo che la nuova amministrazione non avrebbe cercato di cambiare il nuovo status quo.

Bennett ha aggiunto che la guerra in Siria ha reso il controllo israeliano del territorio più accettabile per gli alleati internazionali del suo paese e che l’alternativa sarebbe stata molto peggiore. Tuttavia, alla Conferenza di Makor Rishon, il Primo Ministro israeliano aveva affermato: “la nostra posizione sulle alture del Golan non ha alcun collegamento con la situazione in Siria”.

All’interno della coalizione di governo, solo Eissawi Freij, il ministro della cooperazione regionale israelo-palestinese del partito di sinistra Meretz, era assente dalla riunione di gabinetto, per protesta contro il piano. Il suo compagno di partito, Nitzan Horowitz, il ministro della Salute, ha invece dichiarato il suo sostegno.

Bennett è anche fiducioso del fatto che una reazione regionale e internazionale sarebbe minima e inefficace. Il suo annuncio è arrivato solo un mese dopo che le Nazioni Unite avevano adottato a larga maggioranza una risoluzione che condannava le attività di insediamento di Israele nei territori occupati, comprese le alture del Golan.

La risposta del governo siriano non è andata oltre le solite e reiterate condanne e il ribadire che il Golan fa parte della Siria secondo il diritto internazionale, descrivendo i piani di Bennett come “un’escalation senza precedenti… che equivale a crimini di guerra”.

La situazione attuale.

Gli insediamenti ebraici nella Cisgiordania palestinese occupata, a Gerusalemme est e nelle alture del Golan siriano sono ugualmente illegali secondo il diritto internazionale. Dal punto di vista israeliano, i due territori hanno status legali diversi e servono a scopi alquanto diversi.

Nella Cisgiordania occupata, gli insediamenti sono visti attraverso due lenti principali: quella religiosa/ideologica e quella geopolitica/strategica. Si stima che almeno un quarto dei coloni della Cisgiordania, una minoranza altamente esplicita e visibile, siano fanatici religiosi che vedono la loro presenza nel territorio come un adempimento della volontà di Dio in “Giudea e Samaria”, presumibilmente il cuore dell’antica Eretz Yisrael (Terra d’Israele).

Per altri, questa motivazione è affiancata da incentivi economici. Il governo israeliano incoraggia gli israeliani a trasferirsi in Cisgiordania sovvenzionando il 50% dei costi di sviluppo del territorio e fornendo agevolazioni fiscali e accesso a manodopera a basso costo.

Nel 2019, gli Stati Uniti sono diventati il ​​primo paese a riconoscere la sovranità israeliana sulle alture del Golan occupate. [Getty]

In definitiva, una crescente presenza ebraica nel territorio serve a fornire a Israele profondità strategica, compensando la parte centrale ristretta e presumibilmente vulnerabile del Paese.

L’elemento religioso/ideologico nelle alture del Golan, tuttavia, raramente suscita consensi tra gli israeliani, nonostante l’esistenza di alcuni, anche se deboli, riferimenti biblici all’area. Invece, la sicurezza è vista come la spinta principale nell’insistenza di Israele nel mantenere l’altopiano.

Alla fine del XIX secolo, poco dopo il primo congresso sionista del 1897 a Basilea, in Svizzera, gruppi di immigrati ebrei tentarono senza successo di stabilirsi nella parte meridionale della regione. Nel 1919, il movimento sionista fece pressioni sulla Conferenza di pace di Versailles del primo dopoguerra per fare includere il Golan nel futuro stato ebraico. Citarono come motivo il valore strategico dell’altopiano come barriera naturale e ricca fonte d’acqua.

Nonostante le rivendicazioni territoriali sioniste, l’altopiano di 1.750 kmq fu posto sotto la custodia francese e, successivamente, sotto il dominio siriano quando il paese ottenne finalmente l’indipendenza dalla Francia nel 1946. L’accordo di armistizio siriano-israeliano del 1949, dopo la guerra del 1948 e la nascita di Israele, pose le alture del Golan fuori dal territorio sovrano riconosciuto di Israele.

Tra il 1948 e il 1967, gran parte delle tensioni israelo-siriane si concentrarono lungo i confini delle alture del Golan. I cittadini israeliani del vicino Kibbutzim chiedevano costantemente al governo israeliano di pacificare il Golan, nonostante fosse un’area prevalentemente civile.

 “Bennett ha dichiarato che il suo governo prevede di investire milioni di dollari per raddoppiare il numero di coloni ebrei nelle alture del Golan entro cinque anni”

In quanto tali, le preoccupazioni per la sicurezza divennero un importante pretesto in vista della guerra israeliana del 1967 e dell’occupazione dell’altopiano siriano. Alla fine della guerra, Israele aveva occupato un totale di 1.250 kmq di territorio. Circa 100 kmq furono restituiti alla Siria dopo la guerra del 1973.

Alla vigilia della guerra del 1967, l’altopiano aveva una popolazione etnicamente diversificata, poco meno di 150.000 persone, distribuita in 163 villaggi. La maggior parte erano musulmani arabi sunniti ma con minoranze alawite, druse e curde, oltre a 9.000 rifugiati palestinesi fuggiti nella regione dopo la Nakba del 1948.

Due mesi dopo l’occupazione, un censimento condotto da Israele rilevò che erano rimasti solo 6.396 residenti, per lo più drusi. È incerta la percentuale di coloro che fuggirono rispetto a coloro che furono cacciati dall’esercito israeliano. Quel che è certo, tuttavia, è che ci  furono casi documentati di residenti siriani a cui  fu negato il diritto di tornare alle loro case.

Nel settembre 1967, Haaretz riferì che in seguito al cessate il fuoco di luglio, le persone furono costrette a lasciare Quneitra, la principale provincia del Golan, dopo aver firmato moduli di “partenza volontaria”. In altri casi, gli abitanti si rifugiarono nel villaggio druso di Majdal Shams, che era in qualche modo al riparo dagli attacchi israeliani.

Dopo settimane di richieste, il governo israeliano permise agli abitanti del villaggio di tornare, solo per essere attaccati dall’esercito israeliano, che costrinse la maggior parte degli abitanti a fuggire in Siria.

Dei 163 villaggi, oggi ne rimangono solo quattro – tutti a maggioranza drusa. Per indebolire la comunità rimanente – in un modo simile a ciò che venne fatto ai palestinesi rimasti nelle loro case dopo la nascita di Israele – le terre dei villaggi sono state confiscate obbligando la popolazione a spostarsi negli altri villaggi,  causando ulteriori partenze.

In effetti, impiegando la tattica dell’”eliminazione fisica dai siti pubblici” usata contro i villaggi palestinesi etnicamente ripuliti già dal 1948, il governo israeliano ha investito molto nel rifacimento del paesaggio e nella trasformazione dell’altopiano in un’attrazione turistica, rimuovendo le tracce della popolazione araba nativa.

L’occupazione come sicurezza.

Fin dall’inizio, il governo israeliano ha sottolineato il valore delle alture del Golan come riserva di sicurezza e risorsa strategica. Il controllo israeliano dell’altipiano fornisce teoricamente protezione alla sottile striscia di territorio della Galilea lungo il confine israelo-libanese e dell’area intorno al lago di Tiberiade. Inoltre, scoraggia qualsiasi ostilità siriana e garantisce l’accesso israeliano alle ricche risorse idriche dell’altopiano.

Ignorando le risoluzioni ONU 242 e 338 del 1967 e 1973, rispettivamente, che chiedevano il completo ritiro israeliano dai territori, nel 1981 il governo di Menachem Begin fu esplicito  nell’annettere il Golan e nell’estendere il diritto civile israeliano a esso e alla sua popolazione nativa, a differenza della West Bank palestinese, che – a parte Gerusalemme est – deve ancora essere ufficialmente riconosciuta come parte sovrana dello stato israeliano.

Da allora, giocando sul trauma collettivo e sulla paura, i governi israeliani hanno utilizzato il ritiro di Israele dalla penisola egiziana del Sinai, avvenuto in seguito ai colloqui di pace del 1979 con l’Egitto, per sottolineare il prezzo elevato della possibile rinuncia alle alture del Golan.

Subito dopo che Egitto e Israele avevano firmato l’accordo di pace provvisorio del 1975, Rabin disse alla BBC che il Golan, a differenza del Sinai, aveva una portata molto limitata di manovrabilità. Il primo ministro Begin aveva infatti messo a dura prova la mossa dell’allora presidente egiziano Anwar Sadat di collegare il problema del Golan con quello del Sinai.

Basandosi su questa tradizione politica e armato oggi del riconoscimento statunitense della sovranità di Israele sul Golan, il primo ministro Bennett cerca di rafforzare  il controllo israeliano del territorio in un modo che segni la presenza di Israele come un punto di non ritorno.

 “Per i più vicini al conflitto, i palestinesi, questo è un segnala di come l’annessione di zone della Cisgiordania occupata potrebbe essere solo una questione di tempo”

L’approccio di Bennett ha ulteriore credibilità – agli occhi di Israele – una volta messo sullo sfondo dei falliti negoziati israelo-siriani degli anni ’90 e dell’attuale guerra civile siriana, oltre che dalla crescente presenza iraniana ai confini immediati di Israele sul lato siriano dell’altopiano.

Queste considerazioni forniscono allo Stato ebraico non solo i pretesti per perpetuare la sua occupazione del territorio, ma anche per legittimare ulteriormente la nozione di “occupazione come sicurezza”.

Da questo punto di vista, la legittimità è concettualizzata come superiore alla questione della legalità. Ciò è anche aiutato dalla convinzione israeliana che il sistema legale internazionale sia prevenuto nei confronti dello stato ebraico, dipingendo la comunità internazionale come priva di un mandato morale e, allo stesso tempo, aggiungendo una dimensione morale alle politiche espansionistiche di Israele.

In effetti  si teme che le misure israeliane possano avere conseguenze dannose per il sistema legale internazionale. Stabiliscono infatti  una pericolosa precedenza per altre controversie territoriali. Si pensi alle ambizioni dell’India nel Kashmir e alle rivendicazioni della Cina sulle isole nel Mar Cinese Meridionale.

Per i più vicini al conflitto, i palestinesi, questo è un segnala di come l’annessione di zone della Cisgiordania occupata potrebbe essere solo una questione di tempo” Dopotutto, è quasi successo nel 2020 con la benedizione dell’allora presidente Trump.

Il dottor Emad Moussa è  ricercatore e scrittore specializzato in politica e psicologia politica di Palestina/Israele.

Traduzione di Grazia Parolari per Invictapalestina.org