Wattan, Ocha. Di George Karzam
Il fenomeno che si descrive qui non è nuovo. Sono ormai anni che i coloni israeliani lavorano in maniera predisposta per accaparrarsi le sorgenti d’acqua delle comunità palestinesi nella Cisgiordania occupata.
Ocha, Agenzia per gli Affari Umanitari Onu, divulga un rapporto sulla realtà delle fonti d’acqua dei palestinesi derubate dai coloni israeliani, e lo fa partendo da uno studio commissionato all’esperto Dror Etkes.
Dal documento emerge che il sequestro di sorgenti e pozzi utilizzati da palestinesi per l’agricoltura e per uso domestico, viene condotto dai coloni israeliani con il ricorso a intimidazione e violenza.
Negli ultimi anni le sorgenti d’acqua in prossimità delle colonie israeliane nella Cisgiordania occupata sono state usurpate con regolarità dai coloni israeliani.
56 sorgenti, ubicate in gran parte nell’area C (sotto il pieno controllo di Israele) sono di proprietà privata palestinese.
Nella conduzione dello studio, è risultato che i coloni israeliani esercitano il pieno controllo su 30 sorgenti sulle quali impongono il totale divieto d’accesso ai palestinesi.
I palestinesi non possono accedere ad altre 22 sorgenti per via dei quotidiani atti intimidatori e della violenza praticati dai coloni israeliani armati.
Nell’accedere alle restanti sorgenti, i palestinesi incontrano ostacoli materiali con recinzioni e barriere di varia portata: esse sono state annesse a colonie e ad aree militari.
36 di queste sorgenti si trovano nelle aree dove i coloni effettuano con regolarità sopralluoghi di massa, intenzionati a farne zone di divertimento e parchi turistici. Hanno già avviato i lavori per la costruzione di piscine e di altre strutture verdi, assegnando nomi in lingua ebraica. Essi non hanno avuto il permesso dall’amministrazione civile israeliana (area C), e Israele non fa nulla per vietare loro di procedere con espropri coatti e violenza. Eppure, tale pratica è illegale in base alla legge internazionale, e a quella israeliana.
Ubicazione delle sorgenti del presente studio: 28 a Ramallah, 10 a Nablus, 8 a Betlemme, 4 nell’area B (sotto controllo civile palestinese e di sicurezza di Israele).
Con questa pratica i coloni riescono a:
– guadagnare il controllo territoriale delle colonie;
– creare lavoro ed entrate per i residenti delle colonie;
– normalizzare all’interno della società israeliana la realtà rappresentata dalle colonie.
L’agricoltura palestinese. Unica fonte per l’attività agricola è l’acqua, vitale anche per il consumo, soprattutto in quelle comunità palestinesi prive di rete idrica. In alternativa l’acqua viene acquistata dai privati a prezzi esosi.
L’aggravarsi delle condizioni umanitarie è diretta conseguenza di questa realtà, mentre la frammentazione territoriale della Cisgiordania allontana sempre più la fattibilità dell’autodeterminazione del popolo palestinese.
Di fianco alla richiesta di fermare la colonizzazione della Palestina e l’insediamento di coloni, l’Ocha chiede la restituzione delle sorgenti ai legittimi proprietari palestinesi insieme all’avvio di ingadini sulle violenze perpetrate dai coloni ai danni dei palestinesi.
Dal 1967 Israele ha confiscato 2milioni di ettari di terra palestinese, pubblica e privata, corrispondente al 40% della Cisgiordania.
L’azione “libera e autonoma” dei coloni è un elemento peggiorativo della già grave politica adottata dal governo di Israele nei confronti del popolo palestinese.