Morto Colin Powell, colui che inventò la menzogna come giustificazione di guerra

Di L.P. Se n’è andato, a 84 anni, Colin Powel, ex- Segretario di Stato per George W. Bush e il più giovane a ricoprire la carica di Capo di Stato Maggiore della Difesa, oltre ad essere stato il primo uomo di colore negli USA a diventarlo.
Ha passato la sua vita tra la carriera militare e le amministrazione presidenziali statunitensi ed è morto lunedì a causa di complicanze legate al Covid, nonostante fosse vaccinato con seconda dose.

La sua notorietà è rimasta nella storia per il suo intervento di fronte al Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite tenutosi il 5 febbraio 2003 a New York, durante il quale sventolò una provetta di polvere bianca nella quale sosteneva vi fossero  le prove dell’esistenza delle armi chimiche di distruzione di massa a base di antrace detenute da Saddam Hussein.

Questo fu l’evento scatenante e che portò l’opinione pubblica occidentale a giustificare la necessità dell’invasione dell’Iraq nel 2003 con la conseguente guerra imperialista.

Dal Dopoguerra in poi, fu il primo ad applicare sfacciatamente il motto nazista di Joseph Goebbels: “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà verità”. Così fu. 

La sua scena, quasi teatrale, all’ONU dal 2003 fino al 2016 convinse tutto l’Occidente che quell’intervento era stato “giusto” in quanto un dittatore terribile come Saddam Hussein doveva essere fermato e che sarebbe stata una conquista per l’umanità.

In Italia, giornalisti, politologi e  opinionisti (categoria emergente con la nascita della televisione commerciale) presero come vera notizia il fatto che quelle fossero le prove dell’esistenza di bombe chimiche e che fosse necessario l’intervento militare per “esportare democrazia e diritti umani”. Chi in Occidente si opponeva a questa vulgata e, ancora una volta, sosteneva che fosse una giustificazione senza alcuna evidenza creata ad hoc per invade l’Iraq per interessi economici legati al petrolio e sbattersene altamente dei diritti umani della popolazione iraqena, veniva stigmatizzato come “pacifista”, “comunista”, “utopista”, “sostenitore del terrorismo” o “sostenitore di Saddam”. Come se essere contro una guerra è dubitare delle affermazioni improvvise ed immediate volesse dire sostenere Saddam Hussein. Eppure, quegli epiteti, esattamente come venivano usati dai media, veniva usati dalla gente per etichettare chi la pensava in modo diverso, escludendolo dal dibattito.

Per 13 anni i media occidentali hanno diffuso questa credenza senza prove, con tanto di sostenuti dibattiti edulcurati e coloriti ricchi di enfasi da parte di “esperti” che non sapevano neanche loro cosa stava succedendo, veicolando messaggi falsi, sbagliati, senza certezze e impegnati di fideismo verso i funzionari dell’amministrazione statunitense. Esattamente come avviene adesso e come è successo con la Guerra in Afghanistan e in Siria. 

Solo nel giugno 2016, con la pubblicazione del Rapporto Chilcot, si scoprì che ad aver ragione erano proprio coloro che erano stati delegittimati e buttati fuori dal dibattito: i pacifisti, i comunisti, gli antimilitaristi e gli “utopisti”. Il Rapporto Chilcot svelò che il criminale di guerra non fu Saddam Hussein, che la guerra con l’Occidente non la voleva, ma bensì Tony Blair e George W. Bush che invece avevano creato la giustificazione dell’esistenza delle armi chimiche di Saddam per dare inizio ad un guerra imperialista con fini economici e non “umanitari”.

Colin Powell fu la persona che fabbricò quella “prova” ad arte per giustificare l’intervento militare americano, un falso storico e politico che, come ammise anche Colin in seguito, provocò una guerra sanguinosa, le cui conseguenze sulla popolazione civile e sul futuro del Paese sono evidenti ancora oggi.

Così nacque la menzogna mediatica come prassi per giustificare qualsiasi guerra imperialista, creando i nemici necessari indispensabili ai propri necessari interessi. 

(Foto: CBS news)