Arabcenterdc.org. Di Suravi Kumar. Piuttosto che guardare in silenzio mentre Israele, India e Pakistan continuano a opprimere violentemente palestinesi e Kashmiri, il mondo arabo, gli Stati Uniti e il resto della comunità internazionale dovrebbero condannare tutti e tre per le loro politiche e pratiche oppressive in Palestina e Kashmir e resistere con gli occupati nella loro lotta per la statualità. (Da InvictaPalestina.org).
Per decenni, la Palestina e il Kashmir hanno combattuto per un proprio stato indipendente, per la sovranità sulle rispettive terre e per la libertà dal dominio esterno. Ma nel corso degli anni, entrambi i territori hanno vissuto conflitti, instabilità e violenze senza fine, poiché Israele, India e Pakistan hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per esercitare e mantenere il controllo su di essi. Poiché i loro occupanti hanno continuato a crescere fino a diventare sostanziali potenze regionali, la possibilità di libertà per la Palestina e il Kashmir è diminuita, specialmente da quando il mondo arabo e il resto della comunità internazionale hanno cominciato a perseguire accordi con Israele, India e Pakistan a spese della continua oppressione dei Palestinesi e dei Kashmiri e dell’occupazione della loro terra.
È importante ricordare che sia la Palestina che il Kashmir godono di un ampio sostegno internazionale all’autodeterminazione. Pertanto, gli Stati Uniti, il mondo arabo e il resto della comunità internazionale dovrebbero sostenerli nelle loro lotte per i diritti e la statualità. Alla luce dell’imminente vertice del G20 a Nuova Delhi e dei recenti sforzi del governo indiano che mira a utilizzare tale incontro per veicolare un senso di normalità nel Kashmir occupato, tale sostegno sarebbe opportuno.
Storie simili, sfide diverse.
Esistono diversi parallelismi nelle rispettive storie della Palestina e del Kashmir, nelle loro condizioni attuali di territori occupati e nella loro resistenza all’occupazione. Anche prima del termine del dominio britannico in Medio Oriente e nell’Asia meridionale, alla fine degli anni ’40, sia il Kashmir che la Palestina espressero le loro aspirazioni nazionali per la statualità e l’autodeterminazione, sperando che la partenza britannica avrebbe aperto la strada alla creazione della Palestina e Kashmir come stati indipendenti. In quasi otto decenni, la determinazione a raggiungere l’indipendenza del Kashmir e della Palestina non ha vacillato. Sono stati condotti molti sondaggi sulle opinioni dei Kashmiri e un sondaggio del 2007 che chiedeva se volessero rimanere con l’India o il Pakistan o diventare una nazione indipendente, ha rilevato che “quasi il 90 percento delle persone che vivono nella capitale estiva del Kashmir indiano [Srinagar] vogliono un paese indipendente”. La situazione non è diversa in Palestina, dove la maggior parte dei palestinesi vuole ancora uno stato, anche se ottenerlo sembra sempre più difficile.
Tuttavia, nonostante le numerose somiglianze tra la Palestina e il Kashmir, c’è una differenza determinante tra i due: il loro status ai sensi del diritto internazionale. Le Nazioni Unite e la maggior parte della comunità internazionale considerano la Palestina, che oggi è in gran parte definita come Cisgiordania, Gerusalemme Est e Striscia di Gaza assediata, come territorio occupato da Israele sin dalla Guerra dei Sei Giorni nel 1967. Ma questo non è il caso del Kashmir. Le Nazioni Unite riconoscono tutti i territori che fanno parte del Kashmir (valle del Kashmir, Jammu, Gilgit-Baltistan, Azad Kashmir e Ladakh) come territorio conteso tra India e Pakistan, e non come territorio occupato. A seguito della spartizione dell’India, al Kashmir è stato promesso un referendum sul suo futuro, voto che finora non si è verificato, lasciando il territorio in uno stato di limbo, parzialmente occupato da India, Pakistan e, in misura minore, Cina. E nonostante gli Accordi di Oslo degli anni ’90 sembravano offrire ai palestinesi un percorso verso la statualità, coloro che vivono in Cisgiordania e nellla Striscia di Gaza sono fino ad oggi rimasti soggetti alla bellicosa occupazione militare israeliana.
Gli occupanti faranno tutto ciò che è in loro potere per esercitare il controllo e tentare di veicolare un falso senso di normalità.
Mentre le potenze occupanti (Israele nel caso della Palestina, e India e Pakistan nel caso del Kashmir) fanno tutto ciò che è in loro potere per esercitare il controllo e tentare di veicolare un falso senso di normalità, i palestinesi e i kashmiri fanno tutto ciò che è in loro potere per resistere e per denunciare la realtà di queste occupazioni. La forma più comune di resistenza, sia per i palestinesi che per i kashmiri, include varie modalità di disobbedienza civile, come il lancio di pietre contro le forze militari di occupazione, che a loro volta cercano di sopprimere la resistenza usando una forza sproporzionata, sparando gas lacrimogeni, pallottole e proiettili contro i manifestanti. La resistenza non è un fenomeno nuovo in Kashmir e in Palestina; esiste da decenni. Nel 1987 e nel 2000 si sono verificate due rivolte in Palestina, la Prima e la Seconda Intifada, dove migliaia di persone hanno partecipato a “manifestazioni, azioni nonviolente come boicottaggi di massa, disobbedienza civile, rifiuto di lavorare in Israele e attacchi agli Israeliani (usando sassi, bombe molotov e occasionalmente armi da fuoco)”. La resistenza in Kashmir, nel frattempo, divenne significativa negli anni ’90, quando migliaia di persone presero parte a manifestazioni di massa, lanci di pietre e blocchi autoimposti nel tentativo di danneggiare l’economia del Kashmir.
I metodi repressivi di Israele per controllare i Palestinesi sono stati denunciati da numerosi gruppi per i diritti umani come “un sistema di apartheid”, che molti sostengono includa prove di crimini di guerra e violazioni dei diritti umani, tra cui “estesi sequestri di terre e proprietà palestinesi, uccisioni illegali, drastiche restrizioni di movimento, detenzione amministrativa e negazione della nazionalità e della cittadinanza ai palestinesi”. Nel tentativo di negare ai palestinesi uno stato proprio, il governo israeliano ha anche costruito ed espanso per decenni insediamenti illegali in Cisgiordania, sfrattando i Palestinesi e assicurando contemporaneamente il controllo israeliano permanente sul territorio, modificandone la demografia.
L’India è nota per la sua feroce oppressione in Kashmir e per la sua costante rappresentazione della normalità nella regione. Numerosi casi di “sparizioni forzate, violenze di genere e sessualizzate, sfollamenti, torture, esecuzioni extragiudiziali e sepoltura in fosse comuni di civili non identificati e sconosciuti” si sono verificati in Kashmir dagli anni ’90, accompagnando l’ascesa di gruppi armati che prendono di mira l’esercito indiano e coloro che sostengono il governo indiano. L’oppressione indiana del Kashmir è diventata più evidente nell’agosto 2019, con la revoca dello status autonomo speciale del Kashmir. La revoca degli articoli 370 e 35A della costituzione indiana ha effettivamente rimosso la decennale semi-autonomia del Kashmir e ha imposto una massiccia repressione dei media e della società civile kashmira.
Oppressione e tentativi di veicolare un senso di normalità esistono anche nel Kashmir occupato dal Pakistan, poiché i Kashmiri mancano di autonomia e rappresentanza politica sia nel governo locale che in quello centrale. Come nel Kashmir controllato dall’India, le richieste di un Kashmir indipendente sono soffocate da vessazioni e arresti, proiettando la falsa idea che i Kashmiri siano felici di far parte del Pakistan, propaganda che fa parte del tentativo del Pakistan di presentarsi come il custode più adatto per il Kashmir. Ma la verità è che i kashmiri su entrambi i lati del confine non vogliono far parte dell’India o del Pakistan; vogliono l’indipendenza.
Il prossimo settembre, l’India ospiterà il vertice dei leader del G20 a Nuova Delhi e prevede di utilizzare l’incontro come un’opportunità per pubblicizzare la normalità in Kashmir, cosa che ha già dimostrato ospitando una riunione del gruppo di lavoro sul turismo a Srinagar. Sebbene il governo indiano voglia utilizzare sia l’incontro sul turismo che il prossimo vertice per dimostrare i presunti sviluppi positivi nella regione da quando è stato revocato lo status speciale del Kashmir controllato dall’India, l’immagine in mostra per i funzionari in visita non è la realtà che devono affrontare i Kashmiri. In Kashmir esistono ancora limiti estremi alla società civile, all’opposizione politica, all’informazione e ai media, indipendentemente dal fatto che coloro che partecipano agli eventi del G20 li vedano o meno. Dati i mutevoli approcci geostrategici degli Stati Uniti e del mondo arabo sulla scena globale, è necessario analizzare le rispettive politiche sia nei confronti del Kashmir che della Palestina.
Gli Stati Uniti e il mondo arabo.
È fondamentale analizzare la posizione e le politiche degli Stati Uniti nei confronti della Palestina e del Kashmir in quanto è una grande potenza globale con stretti legami politici e militari con Israele, India e Pakistan. La politica e la retorica degli Stati Uniti nei confronti delle due occupazioni sono simili, sebbene gli Stati Uniti siano più coinvolti nel conflitto israelo-palestinese poiché Israele è per loro un alleato estremamente cruciale. Per quanto riguarda i palestinesi, gli Stati Uniti affermano di “rimanere impegnati in una soluzione negoziata del conflitto israelo-palestinese e ritengono che israeliani e palestinesi allo stesso modo meritino uguali misure di libertà, sicurezza e prosperità”, e storicamente sono stati il principale mediatore negli sforzi di pace. Tuttavia, l’America offre abitualmente sostegno incondizionato a Israele nonostante la sua occupazione illegale e le violazioni contro i palestinesi, e questo sostegno è un ostacolo significativo al successo del processo di pace israelo-palestinese e alla potenziale creazione di uno stato palestinese.
Il sostegno degli Stati Uniti a Israele è un ostacolo significativo al successo del processo di pace israelo-palestinese e alla potenziale creazione di uno stato palestinese.
Come le Nazioni Unite, gli Stati Uniti riconoscono il Kashmir nel suo insieme come territorio conteso il cui status deve essere risolto nei negoziati tra le due potenze occupanti, tenendo conto anche dei desideri del popolo del Kashmir. Gli Stati Uniti non svolgono un ruolo attivo nei negoziati di pace tra India e Pakistan sul Kashmir, ma hanno un interesse acquisito nel Kashmir poiché entrambe le potenze occupanti possiedono armi nucleari e qualsiasi forma di conflitto tra le due nazioni ha il potenziale per produrre conseguenze distruttive per la regione e il resto del mondo. Ma per non turbare il delicato equilibrio delle sue alleanze con India e Pakistan, gli Stati Uniti hanno scelto di restare fuori dal Kashmir, a spese dei kashmiri.
Gli Stati Uniti hanno ignorato le evidenti violazioni dei diritti umani commesse in Palestina e Kashmir in nome delle loro alleanze strategiche, e ciò non riflette i loro dichiarati valori democratici e morali. Gli Stati Uniti hanno da tempo sancito “la promozione del rispetto dei diritti umani” come un aspetto vitale della loro politica estera, ma l’attuazione di questa politica è ed è stata selettiva, soprattutto quando si tratta degli interessi strategici ed economici dell’America. È tempo che gli Stati Uniti si impegnino veramente nei propri ideali e inizino a ritenere Israele, India e Pakistan responsabili delle loro azioni in Palestina e in Kashmir. Gli Stati Uniti devono capire che una Palestina e un Kashmir liberi probabilmente ridurrebbero l’instabilità e l’insicurezza nel Medio Oriente e nell’Asia meridionale, cosa molto importante per gli interessi statunitensi. E proprio come gli Stati Uniti stanno usando la loro posizione di potenza globale per spingere il mondo arabo a normalizzare le relazioni con Israele, dovrebbero anche usare la loro influenza per spingere i governi arabi e altri governi internazionali a difendere la libertà sia in Palestina che in Kashmir.
Molti analisti politici sostengono che alcuni governi arabi hanno sostanzialmente abbandonato il loro sostegno a uno stato palestinese. Nei primi decenni del conflitto israelo-palestinese, il mondo arabo si era schierato con il popolo palestinese nella sua lotta per uno stato. La Lega Araba, una confederazione di 22 paesi ed entità, ad esempio, nel 1948 applicò il boicottaggio di beni e servizi israeliani, e in seguito alla Guerra dei Sei Giorni,nel 1967, emise la Risoluzione di Khartoum, che delineava il suo rifiuto di impegnarsi con Israele, dichiarando che non ci sarebbe stata pace con Israele, nessun riconoscimento e nessun negoziato. Oggi numerosi stati arabi stanno ignorando queste politiche e stanno normalizzando le relazioni con Israele. Ad oggi, Israele ha stabilito relazioni diplomatiche con sei Stati arabi: Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco. Le decisioni degli ultimi quattro paesi sono state influenzate soprattutto dalle promesse fatte dagli Stati Uniti in materia di benefici diplomatici e militari. Tuttavia, la questione della statualità palestinese è stata a malapena un punto di discussione in questo processo, e i palestinesi – così come la stragrande maggioranza del pubblico arabo – considerano quindi la normalizzazione araba con Israele come una totale delusione .
Gli Stati Uniti dovrebbero usare la loro influenza per sostenere la libertà sia in Palestina che in Kashmir.
Il coinvolgimento del mondo arabo in Kashmir, nel frattempo, è stato minimo, nonostante gli stretti legami dei governi arabi con il Pakistan a causa della presenza di questi nell’Organizzazione per la cooperazione islamica. Mentre il Pakistan ha condannato la revoca degli articoli 370 e 35A da parte dell’India nel 2019, il mondo arabo è rimasto per lo più in silenzio, scegliendo in gran parte di non condannare la decisione. L’ambasciatore degli Emirati Arabi Uniti in India, ad esempio, ha affermato che lo status di Jammu e Kashmir è “una questione interna come previsto dalla Costituzione indiana” e il primo ministro indiano Narendra Modi ha persino ricevuto l’Ordine di Zayed, la più alta onorificenza civile degli Emirati Arabi Uniti, proprio dopo la decisione di cambiare lo status del Kashmir. L’Arabia Saudita, nel frattempo, ha espresso la sua preoccupazione per la mossa, ma si è fermata prima di condannarla. Sebbene queste posizioni sul Kashmir non siano particolarmente sorprendenti data la storica mancanza di coinvolgimento nel conflitto dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, esse si inseriscono però nel contesto di maggiori legami economici e diplomatici con l’India.
L’India è un partner economico vitale per il mondo arabo, con 100 miliardi di dollari di scambi annuali solo con le nazioni del Golfo. Gli Emirati Arabi Uniti hanno recentemente portato i loro legami economici con l’India a un altro livello, investendo 60 milioni di dollari nel Kashmir occupato dall’India nell’aprile 2023. E a febbraio 2022, l’Arabia Saudita era il quarto partner commerciale dell’India. E mentre l’Arabia Saudita (insieme alla Cina) ha deciso di non partecipare alla riunione del gruppo turistico del G20 a Srinagar a maggio, è possibile solo ipotizzare se lo abbia fatto a causa del luogo controverso della riunione. Se lo fosse, questo potrebbe essere uno sviluppo significativo, soprattutto considerando le violazioni dei diritti umani dell’Arabia Saudita. Ma a prescindere, la mossa si ferma ancora prima della retorica definitiva a sostegno del Kashmir occupato.
I pericoli dell’abbandono.
Alcuni leader arabi probabilmente affermerebbero che sostenere attivamente la causa palestinese o quella del Kashmir non serve ai ristretti interessi dei loro paesi. Tuttavia, l’abbandono del sostegno alla Palestina e il rifiuto di parlare apertamente del Kashmir hanno entrambi delle conseguenze per il mondo arabo. I due conflitti in corso hanno trasformato il Medio Oriente e l’Asia meridionale in regioni instabili.
Israele continua a costruire illegalmente insediamenti in Palestina e a commettere crimini contro i palestinesi, ulteriormente destabilizzando le già inasprite tensioni tra Israele e i palestinesi, provocando un numero crescente di scontri a Gerusalemme Est, in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Se questa situazione continuerà a deteriorarsi, ciò potrebbe potenzialmente esacerbare la crisi dei rifugiati palestinesi, poiché i palestinesi potrebbero essere sfollati con la forza dalle loro case verso paesi vicini come la Giordania e il Libano, e potenzialmente anche nel mondo arabo, aggiungendosi ai circa sei milioni di palestinesi profughi già sparsi nel mondo arabo. La continuazione dell’oppressione e della violenza nella Palestina occupata per mano del governo israeliano creerà quindi una serie di problemi economici, di sicurezza e umanitari per il mondo arabo, nonostante la normalizzazione in corso con alcuni paesi arabi.
L’abbandono del sostegno alla Palestina e al Kashmir avrà serie conseguenze per il mondo arabo.
Molti politici e analisti politici arabi presumano che, poiché India, Pakistan e Kashmir non sono particolarmente vicini al mondo arabo, non ci si debba preoccupare di un’escalation di violenza che possa ripercuotersi sui loro paesi. Tuttavia, un’escalation tra India e Pakistan per il Kashmir rappresenterebbe una seria minaccia per la stabilità e la sicurezza dell’Asia meridionale e delle regioni limitrofe. Poiché sia l’India che il Pakistan sono nazioni dotate di armi nucleari, la violenza tra i due ha un’altissima possibilità di degenerare in un conflitto nucleare, che naturalmente influenzerebbe il mondo intero. È quindi nel migliore interesse del mondo arabo e del resto della comunità internazionale sostenere un Kashmir libero, poiché l’indipendenza del Kashmir placherebbe in modo significativo le tensioni tra India e Pakistan e ridurrebbe la probabilità di un conflitto nucleare nell’Asia meridionale.
L’attuale silenzio del mondo arabo sulla Palestina e sul Kashmir è un’indicazione di dove si trovi veramente la statualità per entrambi i territori occupati. La scelta di alcuni Stati arabi di schierarsi con i rispettivi occupanti dei due territori normalizzando i rapporti diplomatici e firmando accordi economici, è un tradimento di coloro che sono oppressi. Piuttosto che guardare in silenzio mentre Israele, India e Pakistan continuano a opprimere violentemente palestinesi e Kashmiri, il mondo arabo, gli Stati Uniti e il resto della comunità internazionale dovrebbero condannare tutti e tre per le loro politiche e pratiche oppressive in Palestina e Kashmir e resistere con gli occupati nella loro lotta per la statualità.
Traduzione di Grazia Parolari per Invictapalestina.org.