“Palestina libera! Però Hamas…” il “terzo campo” è subalternità alla propaganda sionista

L’AntiDiplomatico. Di Leonardo Sinigaglia. La logica vorrebbe che chi grida “Palestina libera!” poi supportasse, o per lo meno non osteggiasse, chi è materialmente coinvolto nella liberazione di quella terra. Purtroppo, logica e coerenza non sono di casa in Occidente, né all’interno della classe dirigente, né nella pittoresca galassia contestatrice e disobbediente.

La nuova brutale aggressione sionista alla Striscia di Gaza e a tutto il popolo palestinese ha giustamente suscitato una forte reazione a livello internazionale, portando nelle piazze milioni di persone, con le massime punte in paesi musulmani come la Turchia, la Giordania e il Libano, dove si è assistito ad un vero e proprio assedio delle strutture diplomatiche e militari connesse a Washington e Tel Aviv. Ma anche in Occidente si sono svolte poderose manifestazioni, da New York a Milano, da Londra a Barcellona, animate sia dalle comunità straniere, sia dai cittadini locali.

È però tra questi ultimi che si è avuta la reazione più curiosa: se tutti gridavano a sostegno della libertà del popolo palestinese, molti, troppi, al contempo attaccavano ferocemente chi sta lottando materialmente per conquistare quella libertà, perdendo anche la vita.

“Palestina libera! Però Hamas…”: e così si prendono le distanze dal gruppo della resistenza che più di ogni altro ha difeso Gaza negli scorsi anni e che, oggettivamente, in questa fase sta rappresentando il principale ostacolo alle mire genocide del regime sionista. A tal proposito si continua a ribadire ossessivamente il mantra “sostenere la Palestina non significa sostenere Hamas”.

Ciò è semplicemente assurdo, poiché il sostegno alla lotta per la liberazione della Palestina non può prescindere dal supporto a quello che in questo momento è principale soggetto di questa lotta.

Ciò non significa necessariamente identificarsi in toto con questa formazione, con la sua Storia, per certi aspetti sicuramente controversa, o con la sua visione del mondo, ma riconoscergli un ruolo essenzialmente progressivo, un ruolo chiave nella difesa del diritto all’esistenza del popolo palestinese.

Qualsiasi tentativo di smarcarsi, di creare un “terzo campo” inesistente e impossibile, non è solo politicamente inutile, ma una manifestazione di subalternità alla propaganda sionista e all’ideologia di Washington.

Neanche a dirlo, lo stesso accade quando si porta lo sguardo dalla resistenza palestinese alle forze locali e internazionali che la sostengono. Hezbollah, che sta costringendo le forze sioniste a prepararsi ad una guerra su più fronti e che a più riprese ha già umiliato gli imperialisti, viene semplicemente ignorata, come per altro è ignorato tutto l’Asse della Resistenza, dagli Houthi alle milizie popolari irachene.

Come se i missili e i razzi lanciati verso le installazioni nel Nord dei territori palestinesi occupati non esistessero, come se l’addestramento, le armi e il progresso tecnologico della resistenza palestinese non nascessero dalla proficua relazione con le forze libanesi, come se i generali sionisti non stessero tremando per un nemico che giudicano “10 volte più forte di Hamas”, tanto da chiedere al padrone statunitense di inviare ben due gruppi d’attacco portaerei nelle acque antistanti al Levante.

Ancora peggiore è la sorte riservata all’Iran, non solo completamente rimosso dall’equazione, ma costante oggetto di critiche e polemiche che si limitano essenzialmente a ripetere la narrazione occidentale, con continui e stopposi richiami alle “donne iraniane”, che nonostante l’affermazione politica, sociale e culturale comprovata da numerose statistiche sarebbero “oppresse” in quanto portatrici di stili di vita non occidentali, o, ancora peggio, alle milizie curde “perseguitate”, le stesse milizie curde che hanno sgomberato il campo in Siria per permettere l’ingresso delle truppe statunitensi e il furto del petrolio del paese, il tutto sotto le bandiere del “confederalismo democratico” e dell’anarco-femminismo libertario.

Nel governo di Teheran non si vede un soggetto capace di creare forza e prosperità per il proprio paese, con non pochi vantaggi per le masse popolari iraniane, impegnato strenuamente nella lotta al terrorismo e al sanguinoso egemonismo statunitense, no: il “regime dei mull?” rappresenterebbe una civiltà nemica, incomprensibile, aliena, da abbattere, esattamente come propongono il Dipartimento di Stato, Joe Biden, la Lockheed Martin e gli alti comandi NATO, ancora una volta, “stranamente”, sulle stesse posizioni della galassia “disobbediente”.

Se il ruolo dell’Iran nella costruzione di un mondo multipolare, e quindi nell’oggettivo superamento della fase imperialista del capitalismo, non è compreso, non sorprende che anche la Repubblica Popolare Cinese e la Federazione Russa siano svilite. Esse sarebbero parte delle “grandi potenze” intente a “spartirsi il mondo” e per questo vere artefici dei conflitti che stiamo assistendo. Ovviamente, ancora una volta, i fatti non contano. Il mondo sarebbe “in via di spartizione” tra “opposti imperialismi”, e non diviso tra i domini coloniali e semi-coloniali dell’egemonismo USA e quel fronte popolare internazionale che gli si oppone: la totale incomprensione dei rudimenti dell’analisi marxista-leninista impedisce di comprendere la fase attuale, e, per pigrizia, si preferisce trasporre la situazione del 1914 al 2023, in una riproposizione eterna della Prima Guerra Mondiale, quella sì conflitto inter-imperialista.

La realtà, anche se lontana dalle menti dei “compagni” occidentali, è chiara a tutto il mondo, palestinesi compresi: Russia e Cina rappresentano una poderosa forza per il progresso, la pace e la democrazia. Dalle sedi internazionali all’aiuto umanitario, dalla resistenza militare allo sviluppo economico, è a loro che ogni popolo nel mondo guarda come esempio e speranza.

Mentre c’è chi, come i combattenti di Hamas, di Hezbollah, del Fronte Popolare e della Jihad Islamica, sta morendo per la liberazione della Palestina, per strappare dalle grinfie dell’impero quel brandello martoriato di terra, c’è chi dalla comoda Europa pretende di gridare “Palestina libera!” accompagnando quest’urlo con la condanna di tutti coloro che concretamente si battono per libertà e pace. Questo insopportabile distacco dalla realtà è proprio di chi difende sì la Palestina, ma una “Palestina” immaginaria, frutto dell’orizzonte mentale movimentista e della “disobbedienza” trotskista, una “Palestina” che ha catturato le loro attenzioni non per una valutazione politica, ma per il fascino estetico dell’eterno sconfitto, una “Palestina” che viene inventata di sana pianta nelle loro teste, una “Palestina” queer, anarcoide, bohémien, fricchettona.

Una “Palestina” che non esiste, che non è mai esistita, che non esisterà mai, e che, ovviamente, non può che scontrarsi con la Palestina reale, quella che difendono i combattenti di Hamas e di tutte le altre forze della resistenza, quella per cui stanno morendo gli uomini di Hezbollah, quella che nell’ONU è oggetto delle preoccupazioni di Cina e Russia, quella che ha come alleati regionali la Siria, il Libano e l’Iran. Gridare “Palestina libera!” comprende necessariamente il sostegno aperto a chi lotta per la sua liberazione, per un mondo multipolare e per la costruzione di una comunità umana dal futuro condiviso. Altrimenti è solo un’altra bandiera israeliana, anche se camuffata.