Perché il destino della guerra di Israele contro Gaza sarà deciso nelle prossime settimane

The Palestine Chronicle. Nonostante le ambiziose affermazioni secondo cui Israele sarebbe pronto a combattere per molti anni a venire, una semplice analisi del dibattito, insieme a una logica ancor più lineare, ci dicono che non è così.

La radio dell’esercito israeliano ha informato mercoledì che, secondo la valutazione militare di Israele, “le operazioni di terra a Gaza dureranno per un altro mese”.

Questa valutazione, riportata da Al-Jazeera, coincide con quanto riportato anche dai media statunitensi, secondo cui la guerra israeliana contro la Striscia di Gaza assediata continuerà fino ai primi giorni di gennaio. 

“I funzionari statunitensi si aspettano che l’attuale fase dell’invasione di terra di Israele a Gaza, che ha come obiettivo l’estremità meridionale della Striscia, duri diverse settimane prima che Israele passi, possibilmente entro gennaio, ad una strategia a bassa intensità e iper-localizzata, che prenderà di mira specifici militanti e leader di Hamas”, ha riferito la CNN citando diversi funzionari di alto livello.

Ciò solleva molte domande, tra cui la principale è “Perché Israele non ha eliminato nessun leader di spicco della Resistenza nei primi 60 giorni di guerra?” Infatti, perché si rendono necessari altri 30 giorni, all’incirca, prima che l’esercito israeliano possa entrare nella fase di eliminazione della leadership della Resistenza?

Settimane, mesi, anni? 

Ciò è abbastanza sconcertante perché Israele, e anche tutti gli altri, sanno bene che si tratta di una guerra asimmetrica e che la leadership della Resistenza non è localizzata permanentemente in un posto fisso.

A parte la continua confusione della narrazione israeliana sulla guerra, si è comunque costretti a cimentarsi con un’altra domanda: “Perché un mese in più?”

Il 30 novembre, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant aveva dichiarato che probabilmente Israele impiegherà ancora mesi per vincere la guerra a Gaza. “Combatteremo Hamas fino a quando non avremo la meglio, non importa quanto tempo ci vorrà”, aveva dichiarato durante un incontro avuto col Segretario di Stato americano Antony Blinken.

Questa enfasi sui mesi – o sugli anni, come hanno affermato altri funzionari israeliani – è con probabilità finalizzata ad inviare un messaggio alla Resistenza palestinese: l’operazione militare israeliana, e il conseguente genocidio a Gaza, continueranno senza sosta finché la Resistenza non sarà eliminata.

Ma un altro pubblico di riferimento è quello israeliano, che ancora non vede nessun segno del raggiungimento degli obiettivi militari, o addirittura strategici, di Israele.

È importante ricordare che l’8 novembre il portavoce militare israeliano Daniel Hagari aveva già dichiarato la vittoria nel nord di Gaza. “Hamas ha perso il controllo e continua a perderlo nel nord”, aveva dichiarato.

Per quanto esagerata fosse sembrata questa affermazione, si è poi rivelata non somigliare neppure a nessuna versione vicina alla verità. 

A parte l’area di Khan Yunis, nel sud di Gaza, la maggior parte delle battaglie della Resistenza, ben documentate, si svolgono ancora nel nord di Gaza, vicino al confine tra Israele e Gaza.

Perché un mese? 

Ma perché Israele ha stabilito un periodo di un mese per sconfiggere prevedibilmente la Resistenza a Gaza?

Uno: il fatto che anche i funzionari statunitensi stiano fornendo stime temporali simili a quelle israeliane, suggerisce che Israele ha ricevuto il via libera da Washington per fare ciò che vuole a Gaza per almeno un altro mese. 

In secondo luogo, per vendere al proprio pubblico l’idea che l’esercito israeliano stia seguendo un progetto chiaro, una strategia verso un obiettivo specifico e, presumibilmente, una vittoria imminente. Questo argomento è rafforzato dai continui riferimenti da parte dell’esercito israeliano al fatto che si è passati dalla fase uno, alla fase due e poi alla fase tre della guerra, senza però fornire alcuna prova concreta che queste fasi siano state effettivamente raggiunte. 

Tre: per discendere dall’alta scala sulla quale i leader israeliani si sono arrampicati all’inizio della guerra, facendo promesse altisonanti, tra cui non solo la sconfitta della Resistenza, ma anche di determinare il futuro stesso di Gaza, in realtà del popolo palestinese, attraverso le loro prestazioni in campo militare in una sola guerra.

Quattro, infine, esistono delle impossibilità puramente matematiche.

Carenza di armamenti.

Citando informazioni riguardanti la difesa israeliana, AXIOS ha dichiarato che Israele possiede quasi 2.200 carri armati. Altre fonti affermano che 1.750 di questi carri armati sono pronti al combattimento.

Naturalmente, questi carri armati sono distribuiti equamente tra il nord, il sud, il centro e i confini orientali del Paese, ovvero la regione della Valle del Giordano. 

È importante tener presente che molti di questi carri armati sono posizionati nel cedevole confine tra Israele e Sinai e che molti di essi non sono entrati in guerra a Gaza per mettere in sicurezza il cosiddetto Gaza Envelope. 

Secondo le affermazioni della Resistenza palestinese, sempre supportate da prove video, Israele ha perso finora tra i 400 e i 500 veicoli militari israeliani, la maggior parte dei quali erano carri armati Merkava. 

Una semplice equazione matematica dimostra che Israele non ha chiaramente la capacità militare di sostenere le perdite di armamenti sul campo di battaglia per i mesi a venire, per non parlare degli anni.

Già il 19 novembre, infatti, la fonte giornalistica israeliana Calcalistech aveva riferito che l’esercito israeliano aveva interrotto le esportazioni dei suoi carri armati Merkava più avanzati in Europa a causa della guerra a Gaza.

Altre fonti hanno parlato della decisione di Israele di incorporare modelli di Merkava più vecchi per compensare le pesanti perdite militari subite a Gaza. 

A parte la propaganda israeliana, la logica ci dice che il destino dell’operazione militare israeliana a Gaza sarà determinato nelle prossime settimane e che gli alleati di Israele, soprattutto quelli di Washington, lo sanno bene. 

Anche la resistenza palestinese è consapevole di questo fatto e sembra pronta e preparata a tutte le possibilità.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi