Programmi per il miglioramento dei campi: la percezione dei profughi

Programmi per il miglioramento dei campi: la percezione dei profughi

Di Noah Browning

Betlemme – Ma’an. Tre generazioni di palestinesi sfollati a causa della fondazione dello Stato di Israele, nel 1948, conoscono esclusivamente la vita in un campo profughi Onu, frequentano scuole con le bandiere blu, sempre dell’Onu, e prelevano alimenti dai magazzini, ancora dell’Onu.

Per questi palestinesi, il cui obiettivo tanto rincorso è quello di fare ritorno sulla propria terra persa 64 anni fa, i campi profughi rappresentano una sistemazione temporanea e non importa quanto permanenti i campi possano essere nella visione degli altri.

Questo spiega perché l’ultimo programma dell’Agenzia Onu, Unrwa, atto a migliorare le fatiscenti strutture dei campi sia da considerarsi un’operazione estremamente delicata.

Senza raggiungere una soluzione definitiva, per decenni le Nazioni Unite e altre agenzie hanno lavorato al fine di fornire servizi di base nei campi profughi palestinesi. Ad un certo punto, queste agenzie hanno deciso che bisognava, invece, intervenire per lo sviluppo dei palestinesi che vi resiedono, andando oltre la semplice assistenza.

“La gente ha il diritto di sentirsi orgogliosa del posto in cui vive”, dice Sandi Hilal, direttore del programma Unrwa, strategicamente denominato “programma per il miglioramento del campo” in Cisgiordania, e aggiunge che “provvedere unicamente ai servizi di base non basta se si pensa che la gente abita nei campi profughi da 60 anni”.

A sua parere “migliorare il livello della quotidianità dei rifugiati palestinesi non pregiudica il loro Diritto al Ritorno nelle proprie case”, e dice: “Vivere in dignità è l’obiettivo principale del programma di sviluppo dei campi”.

Campo profughi di Nahar al-Bared. Libano.

Circa 700mila palestinesi furono espulsi dalle proprie case quando lo Stato di Israele si fondò nel 1948, e oggi, 5milioni di rifugiati vivono con i loro discendenti in Libano, Siria, Giordania, Striscia di Gaza e Cisgiordania. Molti di essi vivono in squallidi campi.

Fondata del 1949, l’Unrwa ha quasi la stessa età delle Nazioni Unite (istituite nel 1945) e, nell’incertezza di raggiungere un giorno un soluzione con Israele, l’Agenzia potrebbe avere ancora lunga vita.

Con il sostegno finanziario del governo tedesco, l’Unrwa ha lavorato al miglioramento delle cliniche, dei settori sanitario e dell’istruzione avanzata in coordinamento con i comitati locali in 5 campi in Cisgiordania e in Giordania.

Aggrapparsi alla speranza. I 13mila residenti del campo profughi di Deheishe, un labirinto di tuguri fatti di blocchi di cemento con fili elettrici ovunque scoperti, sono al centro del programma dell’Unrwa.

L’Agenzia prese in affitto il sito pochi mesi dopo che 2mila rifugiati palestinesi furono espulsi dalle proprie città e villaggi nel 1949.

La questione del Diritto al Ritorno è quanto più ha tenuto indaffarati i negoziatori durante i 20 anni di colloqui che si erano posti l’obiettivo di fondare uno Stato palestinese indipendente su Gaza e Cisgiordania.

Per Israele il Diritto al Ritorno è una questione che vanifica quanlunque accordo di pace, e sostiene che permettere il Ritorno produrrebbe una predominanza quantitativa di palestinesi all’interno delle sue frontiere, minando in tal modo la natura ebraica dello Stato.

Campo profughi di al-Baqa'a, il più grande dei campi palestinesi con oltre 100mila rifugiati. Giordania.

Inoltre, Israele solleva le basi legali del Diritto al Ritorno, quello affermato nella risoluzione 194 del dicembre 1948, e oppone l’indifferenza del mondo per la dipartita forzata di ebrei dai Paesi arabi negli ultimi 65 anni.

I colloqui di pace sono stati congelati nel 2010, quando i palestinesi decisero di fermarsi fino a che Israele non avesse fermato la colonizzazione della terra palestinese, con l’incessante costruzione di insediamenti illegali.

Lo stato di degrado che si incontra nel campo profughi di Deheishe non è migliorato nell’ambito degli sforzi dell’Unrwa, né delle venti Organizzazioni non governative (Ong) che lavorano su 1Km quadrato del campo.
Muri pericolanti da decenni e case ammassate l‘una sull’altra, asfissiano l’esistenza della comunità palestinese tra le anguste strade. Non esiste un parco per l’infanzia e sono disponibili appena pochi posti di lavoro per i giovani. I residenti vivono insieme tra le viuzze affollate.

“I livelli di vita qui peggiorano – lamenta mentre fuma una sigaretta, ‘Othman Abu ‘Omar, operaio part-time -, speriamo che un giorno, con l’indipendenza, tutti saranno in grado di pensare a se stessi”.

La speranza….’di scomparire’. Alcuni dei residenti lamentano “per decenni il ‘patronato Onu’ non ha fatto altro che carità, senza mai svolgere il proprio ruolo conformemente alla natura politica della questione.

“Abbiamo ricevuto servizi sanitari e di base, senza mai riuscire a mettere fine alla crisi”, commenta Habis al-‘Aisa, residente nel campo, proveniente da Zakariyya, cittadina al centro di Israele (Territori palestinesi occupati nel 1948, ndr).

Campo profughi di Deheishe. Betlemme.

“Siamo rifugiati e le Nazioni Unite dovrebbero ritenersi pienamente responsabili delle nostre esigenze e della situazione nel complesso, perchè il nostro status è un questione politica internazionale”.

L’Onu riconosce lo status di rifugiati a coloro che furono iscritti nelle sue liste dalla data in cui furono espulsi dalle loro case, e sono inclusi i loro discendenti. Essi rientrano nel mandato derivante dalle risoluzioni Onu e hanno il diritto a ricevere i servizi forniti dall’Agenzia, anche se non risidedono in un campo profughi. Non sono più titolari di questi diritti nel momento in cui ottengono la cittadinanza o l’asilo in un Paese terzo.

La debolezza della storia e la penuria finanziaria dei governi palestinesi di Gaza e della Cisgiordania hanno potuto fare molto poco in termini di interventi sussidiari alle infrastrutture nei campi e rivolti ai residenti. Molti profughi palestinesi continuano a vivere nel campo perchè non hanno un’alternativa migliore.

L’Unrwa è la sola organizzazione Onu responsabile del problema dei rifugiati palestinesi. Il suo portavoce, Chris Gunness, afferma che non si dispone di una politica chiara sul destino dei rifugiati palestinesi, e tanto meno si ha un’idea di come la crisi verrà si risolta la crisi in Medio Oriente.

“L’Unrwa non desidera nient’altro che dissolversi, sparire e non essere più necessria. Essa fornisce servizi in attesa di una soluzione permanente del conflitto”.

Oggi il piano di miglioramento dell’Agenzia, con un budget di 19,5milioni di euro donati dal governo tedesco, si svolge con su una stretta collaborazione con le parti locali.

Una clinica nuova di zecca fornirà servizi ai diabetici e ai sofferenti di ipertensione; entrambe patologie che colpiscono 1/6 dei rifugiati in Cisgiordania, i quali, prima di oggi, non avevano opzioni per il trattamento.

Le condizioni di vita saranno migliori; si puntelleranno le abitazioni pericolanti, si ripareranno i tetti, si costruirà un sistema fognario e per lo smaltimento dei rifiuti.

Nell’ambito di un programma per l’alta formazione che richiama la “Casa della saggezza” che fu della biblioteca islamica di Baghdad nell’epoca aurea, giovani residenti del campo potranno scegliere il proprio corso di studi e potranno essere protagonisti di seminari.

194, 242, 338,” ripete lo studente Alaa al-Homuz, citando le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza Onu sulla questione dei rifugiati palestinesi, che sta approfondendo nel corso di diritto internazionale.

Questi studenti non credono che il programma di miglioramento dei campi influisca negativamente sul Diritto al Ritorno, né che attenui la loro determinazione a fare Ritorno sulle proprie terre originarie.

“Quando vivi meglio e non ti manca nulla, hai la possibilità di appropriarti di un modo di pensare migliore e di trovare la migliore strategia per riconquistare i propri diritti”, dice al-Homuz.