Gaza – The Palestine Chronicle. Uno studio indipendente commissionato da Meta ha mostrato che il gigante dei social media ha ripetutamente privato i palestinesi della libertà d’espressione, ha trattato i contenuti in lingua araba più duramente di quelli in ebraico e ha bloccato i giornalisti palestinesi dalle loro piattaforme.
La società madre di Facebook ed Instagram ha riscontrato “una mancanza di supervisione in Meta che ha consentito il verificarsi di errori nella politica dei contenuti, con conseguenze significative” durante uno studio sulla loro risposta al brutale assalto israeliano a Gaza nel maggio 2021.
“Le azioni di Meta nel maggio 2021 sembrano aver avuto un impatto negativo sui diritti degli utenti palestinesi alla libertà di espressione, di riunione, partecipazione politica e non discriminazione”, affermano i risultati del rapporto pubblicati venerdì.
In particolare, l’hashtag #AlAqsa è stato aggiunto ad un elenco di parole bloccate da un dipendente Meta, facendo sì che #AlAqsa fosse nascosto dai risultati di ricerca.
Al-Aqsa è il terzo luogo più sacro dell’Islam, situato nel centro di Gerusalemme, che è stato oggetto di ripetuti attacchi da parte delle forze israeliane durante il Ramadan dello scorso anno.
Il rapporto, tuttavia, “non ha identificato pregiudizi intenzionali ed espliciti presso Meta o tra i suoi dipendenti […]”.
Nonostante ciò, lo studio BSR ha evidenziato problemi, come il software di rilevamento dell’incitamento all’odio, che è stato sviluppato per i contenuti arabi, ma non è stato implementato per l’ebraico.
Poiché l’attenzione internazionale si è concentrata sulle espulsioni forzate di palestinesi da Gerusalemme e sul brutale bombardamento di Gaza durato 11 giorni da parte di Israele, molti utenti dei social media hanno accusato Facebook di censurare i contenuti sulla piattaforma e su Instagram.
Alla fine di maggio 2021, almeno 30 dipendenti di Facebook hanno presentato ricorso interno chiedendo il ripristino dei contenuti sulle piattaforme che secondo loro erano stati bloccati o rimossi in modo improprio. Un mese dopo, 200 dipendenti di Facebook hanno firmato una petizione in cui esortavano la piattaforma ad agire contro la censura.