Rassegna stampa ‘cultura e attualità’.

Rassegna stampa “cultura e attualità”.

A cura di Chiara Purgato.

http://www.panorama.it/

Maratona della pace: quando lo sport abbatte muri e check point

Ci sono anche una decina di corridori israeliani sulla piazza di Betlemme alla partenza della maratona per la pace dedicata a Giovanni Paolo II, organizzata dal Centro Sportivo Italiano e dall’Opera Romana Pellegrinaggi.

La cittadina palestinese è mobilitata per l’evento: centinaia di poliziotti e militari palestinesi, giovani arrivati da tutta regione con indosso la tuta e la maglietta della maratona e poi centinaia di pellegrini-maratoneti italiani tra cui il presidente del Coni, Gianni Petrucci, il presidente del Centro Sportivo Italiano Massimo Achini e della Federazione Italiana Pallavolo,Carlo Magri ai quali si è aggiunto, in maglietta e calzoncini anche il presidente della Commissione Bilancio della Camera, il leghista Giancarlo Giorgetti accompagnato dalla famiglia. Con loro anche molti campioni dello sport tra i quali il pallavolista Andrea Zorzi con la nazionale femminile di pallavolo under 18 e la nuotatrice Cristina Chiuso con numerosi campioni e campionesse italiane di nuoto. In testa al gruppo la fiaccola della pace portata dal presidente del Coni, Petrucci.

Ore 9.30: il folto gruppo dei maratoneti attraversa il check-point Rachele, alla periferia di Betlemme. Sotto gli occhi dei poliziotti israeliani che, per una volta, evitano di controllare i documenti, gli atleti passano al di là del muro di divisione tra Israele e Cisgiordania. Li attendono dall’altra parte il direttore generale del turismo israeliano, Rafi Ben Hur e altre autorità dell’amministrazione israeliana. Appena attraversato il confine gli atleti israeliani e palestinesi si abbracciano, sotto le telecamere e i flash dei fotografi. E’ una gioia genuina. Qualche giovane palestinese si commuove: è la prima volta che ottiene il permesso di varcare il check-point ed entrare in suolo israeliano.
Ore 10: La festa dello sport non è finita. All’ombra del muro, sotto le torrette e il filo spinato, inizia la partita di pallavolo tra la nazionale italiana e le rappresentative israeliana e palestinese. La differenza tecnica è evidente ma non importa, quello che conta è il messaggio lanciato al mondo.

Ore 11: la maratona riprende tra le strade di Gerusalemme, nel gruppo anche diversi bambini e ragazzi palestinesi un po’ spaesati, perché è la prima volta che entrano nella città santa. Il traguardo è al Davidson Center di Gerusalemme, questa volta all’ombra delle mura antiche della città. Nel grande anfiteatro emerso dagli scavi archeologici si radunano partecipanti e a autorità per le premiazioni. Nel pomeriggio i giochi continuano con le staffette di nuoto. L’indomani è prevista la corsa ciclistica lunga la riva del lago di Tiberiade.

Unica nota stonata: a 50 ragazzi di Gaza non è stato dato il permesso di uscire per partecipare alla maratona: per loro, anche questa volta, la festa è rimanda

 

 

http://www.agenziami.it/index.php

TORNANA IN MARE LA FLOTTA DELLA FREE GAZA MOVEMENT

Medio Oriente, la MV Rachel Corrie contro l'assedio di Gaza

Anche quest'anno salperanno le navi della Free Gaza Movement. Comprata una imbarcazione che porta il nome dell'attivista uccisa nel 2003

Contro l'assedio di Gaza sulla MV Rachel Corrie. Anche quest'anno la Free Gaza Movement tornerà nelle acque antistanti la città palestinese assediata nel tentativo di fornire la popolazioni di tutti i beni che l'embargo blocca. Cemento per la ricostruzione, medicinali per l'assistenza sanitaria, ma anche quaderni e libri per le scuole sono il carico di otto navi guidate dalla MV Rachel Corrie. Questo il nome di una imbarcazione comprata il 31 marzo scorso per 70mila euro. La nave languiva dal 2009 nel porto irlandese di Dundalk a seguito di un sequestro. Adesso gli attivisti la stanno riparando e dipingendo. L'imbarcazione è stata ribattezzata con il nome dell' attivista ventitrenne dell'International Solidarity Movementuccisa da una ruspa israeliana nel 2003.

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Una nave per rompere l'embargo economico che attanaglia la popolazione di Gaza, una nave che porta il nome di Rachel Corrie. Questa l'ultima iniziativa del Free Gaza Movement che ha acquistato una nave cargo di 1200 tonnellate abbandonata nel 2009 sulle coste irlandesi. L'imbarcazione, varata 42 anni fa, era stata posta sotto sequestro dopo un' ispezione della Itf (Federazione Internazionale dei Trasporti). L'ente internazionale aveva appurato che era prassi dell'armatore sfruttare l'equipaggio lituano che vantava numerosi stipendi arretrati e che veniva inoltre sottoposto a maltrattamenti. L'imbarcazione è stata quindi acquistata il 31 marzo dalla Free Gaza Movement per 70mila euro e da MV Linda è stata ribattezzata MV Rachel Corrie, in memoria dell'attivista 23enne ammazzata da una ruspa dell'esercito israeliano durante un'operazione di demolizione di una abitazione palestinese. Da giorni numerosi volontari lavorano alla riverniciatura e all'ammodernamento della nave in attesa di salpare, dopo il primo maggio, alla volta di Gaza con un carico di cemento, medicinali e altri beni di prima necessità. «Abbiamo il piacere di annunciare che questa imbarcazione, che era usata per una sorta di schiavitù moderna, ora sarà usata per proteggere i diritti umani della gente della Palestina», ha annunciato Ken Fleming dell'Itf. 
Derek Graham, del Free Gaza Movement ha raccontato che «stiamo facendo tutto questo per mostrare alla gente di Gaza che che non sono soli. Niente riesce ad entrare a Gaza, nessun tipo di aiuto. Noi siamo pronti per provare a forzare l'assedio e portare dentro gli aiuti. L'abbiamo già fatto. Di otto dei nostri tentativi precedenti, cinque hanno avuto successo».

Pronti a salpare

La Free Gaza Movement insieme con l'organizzazione umanitaria turca, IHH, la European Campaign to End the Siege of Gaza e la Greek and Swedish Boat to Gaza salperanno in tutto con otto imbarcazioni cariche di materiale per la ricostruzione di Gaza in seguito alla nefasta operazione guerra israeliana denominata “Piombo fuso”. Sulle navi in 600 tra attivisti e giornalisti. In questi giorni carovane di autoveicoli si recano nei pressi della MV Rachel Corrie per consegnare tutti i beni di cui necessita Gaza. Caoimhe Butterly, tra le organizzatrici ha raccontato che «la risposta della gente alla partenza del cargo è stata grandiosa e noi speriamo che nelle ultime tre settimane prima della partenza la gente dell'Irlanda continui a mobilitarsi e a portare materiali. La crisi umanitaria a Gaza è un sintomo dell' assedio e dell'occupazione e questa flotta farà luce sulla devastante punizione collettiva cui è sottoposta la Palestina nella Striscia di Gaza».

 

 

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Maratona della pace: quando lo sport abbatte muri e check point

Ci sono anche una decina di corridori israeliani sulla piazza di Betlemme alla partenza della maratona per la pace dedicata a Giovanni Paolo II, organizzata dal Centro Sportivo Italiano e dall’Opera Romana Pellegrinaggi.

La cittadina palestinese è mobilitata per l’evento: centinaia di poliziotti e militari palestinesi, giovani arrivati da tutta regione con indosso la tuta e la maglietta della maratona e poi centinaia di pellegrini-maratoneti italiani tra cui il presidente del Coni, Gianni Petrucci, il presidente del Centro Sportivo Italiano Massimo Achini e della Federazione Italiana Pallavolo,Carlo Magri ai quali si è aggiunto, in maglietta e calzoncini anche il presidente della Commissione Bilancio della Camera, il leghista Giancarlo Giorgetti accompagnato dalla famiglia. Con loro anche molti campioni dello sport tra i quali il pallavolista Andrea Zorzi con la nazionale femminile di pallavolo under 18 e la nuotatrice Cristina Chiuso con numerosi campioni e campionesse italiane di nuoto. In testa al gruppo la fiaccola della pace portata dal presidente del Coni, Petrucci.

 

Ore 9.30: il folto gruppo dei maratoneti attraversa il check-point Rachele, alla periferia di Betlemme. Sotto gli occhi dei poliziotti israeliani che, per una volta, evitano di controllare i documenti, gli atleti passano al di là del muro di divisione tra Israele e Cisgiordania. Li attendono dall’altra parte il direttore generale del turismo israeliano, Rafi Ben Hur e altre autorità dell’amministrazione israeliana. Appena attraversato il confine gli atleti israeliani e palestinesi si abbracciano, sotto le telecamere e i flash dei fotografi. E’ una gioia genuina. Qualche giovane palestinese si commuove: è la prima volta che ottiene il permesso di varcare il check-point ed entrare in suolo israeliano.
Ore 10: La festa dello sport non è finita. All’ombra del muro, sotto le torrette e il filo spinato, inizia la partita di pallavolo tra la nazionale italiana e le rappresentative israeliana e palestinese. La differenza tecnica è evidente ma non importa, quello che conta è il messaggio lanciato al mondo.

Ore 11: la maratona riprende tra le strade di Gerusalemme, nel gruppo anche diversi bambini e ragazzi palestinesi un po’ spaesati, perché è la prima volta che entrano nella città santa. Il traguardo è al Davidson Center di Gerusalemme, questa volta all’ombra delle mura antiche della città. Nel grande anfiteatro emerso dagli scavi archeologici si radunano partecipanti e a autorità per le premiazioni. Nel pomeriggio i giochi continuano con le staffette di nuoto. L’indomani è prevista la corsa ciclistica lunga la riva del lago di Tiberiade.

Unica nota stonata: a 50 ragazzi di Gaza non è stato dato il permesso di uscire per partecipare alla maratona: per loro, anche questa volta, la festa è rimandata.

 

http://www.telereggio.it/index.php

domenica 25 aprile 2010

Operatori senza frontiere

 

Tareq e Nader vengono da Gerusalemme. Sono a Reggio per imparare ad usare la telecamera, montare il materiale video raccolto e gestire un sito internet. Il loro lavoro sarà indispensabile per la formazione a distanza di circa 200 medici e tecnici che operano negli ospedali di Ramallah, Nablus ed Hebron, in Cisgiordania. Il progetto che li ha portati qui ha l'obiettivo di migliorare le condizioni di salute della popolazione palestinese mediante la laparoscopia, una tecnica chirugica mini invasiva che permette ai medici di operare con una minuscola telecamera. I due giovani palestinesi stanno svolgendo un stage di due settimane a TRVideo e Telereggio, con la collaborazione di Ccpl e Boorea.

Il progetto 'Laparoscopia in Palestina' è coordinato dal dottor Mario Meinero e ha ricevuto un finanziamento Ministero Affari Esteri di 1 milione di euro. E' iniziato nel gennaio scorso, ma Boorea e Ccpl già da due anni sostengono le attività propedeutiche, insieme a diverse organizzazioni non governative, come Gvc.
Boorea contribuirà con una donazione di 40mila euro e l'acquisto uno strumento per simulare le operazioni chirurgiche, molto importante per la formazione dei chirurghi. Un sito internet e l'aggiornamento a distanza sono fondamentali soprattutto in un Paese come la Palestina.

 

http://www.ilvelino.it/

SPE – M.O., Cooperazione e Terre des hommes insieme per i giovani a Hebron

 

Roma, 26 apr (Il Velino) – Nel centro giovanile di Beit Ula (Hebron), si è svolta la cerimonia di chiusura della seconda annualità del progetto relativo allo sviluppo di attività educative e ricreative a favore dei bambini e degli adolescenti dell’area, affidato a Terre des hommes Italia e finanziato dalla direzione generale per la Cooperazione allo sviluppo (Dgcs) della Farnesina. Vi partecipa anche l’Unità tecnica locale (Utl) della Dgcs a Gerusalemme, che coordina e monitora le attività. Per quanto riguarda il progetto, Tdh ha organizzato una serie di attività quali campi estivi, proiezioni di film, tornei sportivi, gite conoscitive, esposizioni di lavori manuali, esibizioni teatrali e laboratori artistici. La cerimonia, svoltasi nel teatro del Beit Ula Cultural center, ha avuto il suo momento più importante nello spettacolo teatrale organizzato dai giovani, che sono da considerare i veri protagonisti della giornata. Erano presenti – tra gli altri – il dottor Ranya Kabajah, in rappresentanza del ministero degli Interni dell’Autorità nazionale palestinese (Anp); il dottor Jamal Talab, direttore del Beit Ula Cultural center, e la dottoressa Rita Ricci, in rappresentanza dell’Utl di Gerusalemme.


La condizione dei minori palestinesi è estremamente difficile, vivendo in un contesto caratterizzato da violenza e costrizione, dove i movimenti sono molto limitati ed è difficile per un giovane poter esprimersi liberamente. Da questo concetto è nato il progetto che si svolge nel Centro, costituito da quattro locali, dove si svolgono le attività invernali e in un giardino alla periferia della cittadina che Terre des Hommes ha creato nei due anni, nel quale vengono condotte quelle estive. Fra le attività regolari del centro c'è anche un programma di Educazione alla salute appositamente studiato per gli insegnanti delle scuole cittadine e per gli operatori del centro, nonché un programma Artistico-educativo che ha coinvolto anche un’altra organizzazione locale, il Palestinian Child Art Center.


Oltre a queste, il Centro organizza attività aperte a tutti i giovani e i ragazzi della cittadina. Per garantire la sostenibilità futura del centro sono previsti anche corsi diretti al consiglio direttivo del centro in modo che i suoi membri diventino capaci di raccogliere i fondi minimi indispensabili per sostenere il centro quando non potrà contare sul finanziamento esterno e di ideare e gestire piccole attività generatrici di reddito.

 

 

http://www.terranews.it/

Un apolide nel deserto

LA STORIA. Esce di prigione ma una legge di Tel Aviv lo inquadra come palestinese “infiltrato” in Cisgiordania. Ahmad è deportato a Gaza, qui il governo non lo accetta per denunciare il caso alle associazioni umanitarie.

Di tutti i sogni che poteva coltivare, questo era l’ultimo degli epiloghi per il giorno del suo rilascio. Nove anni di prigionia, di interrogatori, di pasti freddi, punizioni corporali e giornate interminabili a guardare gli scarafaggi che esploravano gli angoli della sua cella, per poi ritrovarsi con le dita infilate fra le maglie di una rete di sicurezza, a cielo aperto, con una tenda per dormire e nessuna notizia della famiglia. È successo a Ahmad Sabah.

 
Nativo di Tulkarem (Cisgiordania), Ahmad aspettava solo di uscire dal carcere per tornare dalla famiglia. Peccato che ad attenderlo ci fosse il famigerato ordine israeliano, entrato in vigore lo scorso 13 aprile, che permette all’amministrazione di Tel Aviv di deportare a Gaza qualsiasi “infiltrato”, insomma qualsiasi palestinese scomodo. Scaricato, invece che dai suoi in Cisgiordania, a Gaza dove non è stato fatto entrare. 
 

Al valico di Eretz, Ahmad si è trovato  di fronte all’ennesima porta chiusa: a Gaza non lo facevano entrare. Ordine di Ismail Haniyye, premier del governo de facto della Striscia, che ha deciso di opporre una strenua resistenza all’ordinanza israeliana. E che, nell’apparente speranza di costringere le associazioni per i diritti umani ad occuparsi del caso, gli ha spedito una tenda e l’ha lasciato al valico, fra un ingresso e l’altro, fra i qassam di Gaza e i cacciabombardieri di Tel Aviv. Così Ahmad si è ritrovato intrappolato in questa strana congiunzione in cui ciascuno fa  la sua parte: le autorità israeliane si difendono dagli infiltrati, il governo de facto di Gaza si difende dalle ordinanze delle autorità israeliane. Intanto lui rimane bloccato e con meno speranze di quando stava in carcere.
 
Perché se dovesse entrare una volta per tutte nella Striscia, sventrata dalla guerra dell’anno scorso e affamata dal blocco, perderebbe ogni speranza di uscirne o, per lo meno, di farsi raggiungere dalla famiglia. E dopo di lui, ce ne sarebbero altri 70mila – fra Cisgiordania e Territorio israeliano – a rischio. Sono queste le storie di ordinaria amministrazione per il Medio Oriente che George Mitchell, inviato speciale dalla Casa Bianca, dovrebbe riuscire a pacificare. Un’impresa talmente disperata che il suo tanto rimandato arrivo, giovedì, ha fatto a malapena notizia. Tranne che per l’accoglienza del premier israeliano Benjamin Netaniahu, che ha subito messo le mani avanti dichiarando in televisione; «Nessuna precondizione per i negoziati di pace. E nessun congelamento per gli insediamenti a Gerusalemme est (la parte araba della città santa)».
 
Un’immediata battuta d’arresto. Il congelamento delle colonie israeliane in Gisgiordania è la prima, minima richiesta avanzata dal governo di Ramallah per sedersi a trattare. Il massimo che gli israeliani offrono è un principio di accordo che riconosca uno stato palestinese “temporaneo” entro confini da rivedere. Troppo poco per la pace che il presidente americano Barack Obama aveva promesso. È l’ennesimo schiaffo da parte di un governo, quello di Netanyahu, che probabilmente prende tempo per prepararsi a ben altro. 
 

Con Washington che ha appena installato il proprio ambasciatore a Damasco dopo anni di gelo, e il Libano immerso in una stagione di riconciliazione nazionale ed elezioni, il Medio Oriente sembrava instradato verso giorni tranquilli. Ma la coalizione di Netanyahu è in crisi di consensi da ogni parte, e l’unica via d’uscita sembra quella di innescare un nuovo conflitto. Le precondizioni le ha create la settimana scorsa lo scandalo degli scud: una partita di missili che, secondo Israele, la Siria starebbe inviando a Hezbollah in violazione del cessate il fuoco.
 
Accusa che il premier libanese ha ampiamente smentito, ma che sarebbe sufficiente, secondo Tel Aviv,  per giustificare un attacco contro il Libano. E Hezbollah ha già risposto di essere pronto a tutto. «La verità è che ci sono conflitti ai quali gli Usa non possono imporre soluzione», aveva giusto anticipato il presidente Obama prima dell’arrivo del suo inviato di pace a Tel Aviv. Altrove, l’Iraq è dilaniato dalle bombe e l’Iran sembra di nuovo esposto a ritorsioni militari. Anche stavolta Mitchell se ne ripartirà a mani vuote, se non con la proverbiale lavata di mani. Alle sue spalle, il Medio Oriente scivola rapido verso una nuova estate calda.  

 

 

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