Rassegna stampa del 6 febbraio

Rassegna stampa del 6 febbraio.
A cura di Chiara Purgato (*)

Economia | 06/02/2010 | ore 12.08 »

(Adnkronos) – Tre progetti vertono infine sul Medio Oriente, due in Palestina e uno in Libano. In Palestina il primo riguarda un intervento reso possibile dalla collaborazione con l'associazione di Terra Santa che punta ad aiutare le famiglie piu' povere di Gerusalemme con la costruzione di nuovi edifici e la sistemazione di case fatiscenti. Un contributo di 70.000 euro a seguito di missione istituzionale.

Il secondo invece concerne la ristrutturazione di una casa di accoglienza per minori nei pressi di Nazareth, in localita' Seforis, con corsi per bambini dai 3 anni alla maggiore eta' con il coinvolgimento delle famiglie. Un intervento in sinergia con Hope onlus, che da' corso a una missione istituzionale, e prevede un finanziamento di 90.000 euro.

In Libano infine si tratta della riqualificazione, insieme ad Avsi, del sistema irriguo della Piana di Marjayoun, realizzando opere infrastrutturali per razionalizzare l'uso dell'acqua e migliorando la produttivita' agricola in ottica Expo 2015. Su questo progetto e' previsto anche un coinvolgimento della Fao. Il finanziamento e' di 90.000 euro.

 

 

http://www.reset-italia.net/

Oltre il Muro Ma dov’è casa mia?

sabato 6 febbraio 2010

di Doriana Goracci

Una carrellata di foto sul Muro in Palestina ,ce lo presenta l’Ami (agenzia multimediale italiana).  Da sempre l’uomo ha graffitato rocce e caverne, per comunicare la sua vita, la paura, la gioia.L’ha fatto anche con il sangue. Di Muro abbattuto, ne rammento uno, quello di Berlino. Faccio parte di quel pezzo di mondo fortunato che non ha visto la guerra: così mi dicevano da bambina. Non ho privazioni di sorta, mi sposto, ho una terra dove camminare, ho studiato e posso fare studiare chi mi è caro, mangio bevo dormo e guardo senza muri che possano limitare il panorama. Allora cos’è questa smania internazionalista di sentirsi parte anche di chi è lontano?  La negazione del presidente del Consiglio  Silvio Berlusconi, che  dichiara di non aver visto il Muro che separa Betlemme da Gerusalemme, afferma l’esistenza che la guerra c’è, portata dove io non vivo. Ed è fonte di affari e di morte, quotidiana. “Il Muro ? Non l’ho visto!” . Ci hanno raccontato da piccoli che furono in molti grandi a non vedere gli orrori. Io non vorrei ripetere  quel  modo di  non usare i 5 sensi:shalom, io vado via. Ma dov’è casa mia? Per la stessa ragione, pubblico delle riflessioni sullaGaza Freedom March, scritte da Enrico Contenti, che era  a Torino ad un’iniziativa al centro culturale italo-arabo con Mohamed Halabi, responsabile delle relazioni con l’estero della municipalità di Gaza. Da qualcuno in sala, lui scrive, le riflessioni sono state interpretate come discredito alla Marcia stessa.: “Solo da qualcuno, perchè sono evidenti i meriti e le ripercussioni positive che quell’iniziativa ha prodotto, basta leggere le decine di dichiarazioni “trionfalistiche” che si trovano sulla rete. Pur sottolineando, nell’intervento, gli aspetti positivi più importanti di quello che sono convinto sia stato un grande evento, ritengo che ora occorra partire dalle sue criticità se vogliamo tentare di costruire per il futuro confronti ed azioni più efficaci nel campo del sostegno umano e politico ai palestinesi.” Ho seguito solo da lontano, partecipando  con la comunicazione  web e l’Ism Italia, le tappe forzate della Marcia, fermata in Egitto.Vede e dice delle cose l’amico Enrico, che non piaceranno a certo mondo pacifista nostrano e internazionale ma non piacciono anche a me tante cose.Non mi piace prestarmi alaboratori di morte sia pure  con partecipazioni “ragionevoli”.Amo la Musica di strada.Convengo oggi  come ieri: Tutti o nessuno. Gaza mon amour, dovunque regni l’oppressione .

RIFLESSIONI SULLA GAZA FREEDOM MARCH
– incontro a Torino con Mohamed Halabi –
PREMESSA.
Prima di tutto voglio esprimere il mio sdegno e la mia vergogna per le
parole pronunciate dal sig. Berlusconi di fronte alla Knesset. Dovrebbe
essere denunciato per apologia di reato. Reati che il rapporto
Goldstone descrive come crimini di guerra e contro l’umanità!

Nel corso dei giorni che portavano a conclusione il 2009 e accompagnavano l’inizio di quest’anno ricorreva un anno esatto dal deliberato massacro della popolazione della Striscia di Gaza voluto dal governo israeliano. Per ricordare ed evidenziare al mondo
quel crimine così crudele, ultimo fra tanti, per portare ai palestinesi la solidarietà di chi non vuole piegarsi al silenzio, persone provenienti da 42 paesi diversi si sono date appuntamento al Cairo per partecipare a una grande, pacifica marcia con la popolazione di Gaza, la Gaza Freedom March, com’è stata intitolata dall’organizzazione promotrice americana, un’impresa difficile ma che ci sembrava fattibile. Fattibile sulla base del lavoro preparatorio che era stato condotto nei mesi precedenti sia sotto il profilo burocratico, organizzativo e politico sia sulla base dei contatti che erano stati presi con le
istituzioni e sulle precedenti esperienze, seppure in scala più ridotta. E, invece, dal primo giorno del nostro arrivo al Cairo, ci è stato eretto davanti un muro invalicabile.
Ogni passo, fisico o simbolico, verso Gaza ci stato contrastato in ogni modo. Quanti muri esistono ancora! E che potere riproduttivo hanno!
L’impressione più forte che ho avuto al ritorno in Italia è stata quella di essere andato alla ricerca di una terra e di un popolo negati, di un’isola che non c’è. Nessuno esca da quella terra! Nessuno entri in quella terra! Nessuno si diriga verso quella terra! E nessuno parli di quella terra! Non c’è.
La pulizia etnica iniziata nel 1948 continua nel suo obiettivo di dearabizzare il suolo della Palestina. Quei brandelli di terra che non hanno ancora subito questo processo devono essere svuotati fisicamente e, in ogni caso, devono cadere nell’oblio della comunità internazionale.

Ammetto di avere una certa difficoltà nell’esporre le mie riflessioni su questa esperienza. Eppure provo anche una specie di nostalgia. Nostalgia per le persone che si incontrano per le strade e che lì vivono, persone umili e rispettose che vorrebbero comunicarti la loro vicinanza e lo fanno, timorose, con un lieve sorriso o uno sguardo.  Tutti ormai conoscete la cronaca di quei giorni. Mi limito ad alcune riflessioni su eventi particolari e ad alcune considerazioni generali, mescolando aspetti che considero positivi con altri che giudico negativi.

Indubbiamente l’impegno profuso da un numero così grande di attivisti provenienti da così tanti paesi del mondo fornisce l’occasione e la spinta necessaria per tentare di innescare un processo di ricostruzione di quel tessuto di solidarietà internazionale al popolo palestinese che, dopo gli anni ’70 e ’80, è andato disgregandosi come conseguenza
dell’evaporazione dei movimenti e della progressiva dissoluzione del campo della sinistra storica. Ripartire dai grandi temi del diritto internazionale e dei diritti dell’uomo costituisce l’elemento base che ci può unire per una nuova solidarietà, oltre che un dovere morale.

La Gaza Freedom March ha fatto emergere con grande evidenza il ruolo nuovo dell’Egitto. Non più comprimario, diventa protagonista nell’assedio e nell’isolamento criminale di quella striscia di terra. La prova più tangibile di questo passaggio è la costruzione del muro di acciaio al confine di Rafah che chiude completamente la gabbia della Striscia. Ma la voce della protesta è stata così forte da scuotere l’opinione pubblica e i mezzi di informazione locali ed è stata così forte da trasformarsi in un abbraccio ideale a distanza, il cui calore è stato avvertito ed apprezzato dalla popolazione palestinese. Non è stata la voce dei leader e dei rappresentanti istituzionali, è stata la voce di persone comuni, della
stragrande maggioranza degli attivisti presenti al Cairo. Persone che non aderivano in modo aprioristico alla linea dei vertici, ma spontaneamente agivano da protagonisti e si confrontavano cercando unità.
Ma chi sono questi leader?
Spesso si tratta di individui che non sono realmente rappresentativi dei gruppi cui appartengono. Individui dai meriti e dalle competenze misteriosi. Estranei alla pratica quotidiana del confronto democratico dalla quale scaturisce la fiducia reciproca. Il confronto, all’interno del gruppo italiano, è stato insufficiente sia prima sia dopo la partenza per la marcia. La stessa carenza si è verificata nel confronto con le altre
delegazioni. Spinte autoreferenziali e dirigismi sotterranei hanno creato debolezze, aggressività e, a volte, un clima di sospetto. A questo si aggiunga l’assenza di una rete di comunicazione efficiente, sia al nostro interno sia tra noi e i rappresentanti degli altri paesi. Sostanzialmente si è trattato di un diffuso difetto di democrazia che paradossalmente, ha messo in luce la compattezza della base, cioè della stragrande maggioranza degli attivisti giunti al Cairo. E’ stata questa maggioranza che ha travolto la decisione dei leader di diversi movimenti, in primis quello americano e non ultimo quello italiano, di trattare “privatamente” e segretamente con la moglie del faraone, la signora Mubarak, per una soluzione di compromesso che snaturava completamente il significato politico dell’iniziativa. Quella decisione, che avrebbe voluto ridurre tutta la marcia a poche decine di “eletti”, eletti ed autoeletti dal vertice, i quali avrebbero dovuto
portare un pugno di aiuti umanitari dentro la Striscia, salvando così la faccia al governo egiziano, ha dovuto scontrarsi con la netta ed immediata opposizione della quasi totalità dei partecipanti: il movimento non aveva alcuna intenzione di spaccarsi in buoni (così erano stati definiti gli “eletti” dal governo egiziano) e cattivi (tutti gli altri). Se non potevamo dirigerci tutti verso Gaza ed eravamo sequestrati al Cairo, saremmo restati tutti al Cairo per far sentire la nostra voce e quella della popolazione locale, repressa da un regime poliziesco, ma che, con coraggio o con timore, ci manifestava solidarietà.
C’è stato un momento, una giornata, in cui un consistente numero di coraggiosi cairoti,
palestinesi e non, ha deciso di unirsi ad una delle manifestazioni che si è svolta, con tutte le delegazioni presenti, davanti alla sede del sindacato dei giornalisti, in pieno centro cittadino. Erano contenti, liberi di urlare le LORO ragioni, circondati dalla polizia, ma protetti dalla nostra presenza. Quella giornata è stata significativa grazie al loro protagonismo che quasi non ci aspettavamo. In altre occasioni, però, quella solidarietà si percepiva come proveniente da chi è dietro le sbarre e guarda, fuori, chi manifesta per loro.  In tutta questa vicenda penso che il difetto di fondo sia stato quello di voler “esportare” forme di protesta tutte esterne al coinvolgimento diretto delle comunità verso le quali si intende portare solidarietà. L’occidente “democratico” che propone manifestazioni politiche ad un popolo oppresso, farebbe bene a mettere da parte
protagonismi e narcisismi. Occorre un atteggiamento di maggiore ascolto e collaborazione con la popolazione e le comunità che si dichiara di sostenere, accettando il loro protagonismo e le loro scelte. Emblematica mi sembra, a questo proposito, la posizione di alcuni cosiddetti leader, nonché di personaggi “istituzionali”
presenti (molto presenti) al Cairo, i quali, in merito al BDS o al boicottaggio accademico e culturale, richiesti direttamente dalla società civile palestinese, fanno tanta difficoltà ad aderire ufficialmente (e, se aderiscono, lo fanno con mille distinguo), o, peggio, …non ne conoscono l’esistenza. La stessa decisione, da parte dei 100 “eletti”, di partire in ogni caso da soli per Gaza, è avvenuta in totale mancanza di rispetto per la posizione nettamente critica espressa proprio da quella società civile palestinese cui si dichiara di far riferimento e prova ne è il messaggio inviato da Haidar Eid e Omar Barghouti, nella quale affermano testualmente: – Vi scriviamo per chiedervi di rifiutare il “mercato” cui siete arrivati con la dirigenza egiziana (attraverso la sig.ra Mubarak). Questo è un cattivo accordo per noi e, ne siamo profondamente persuasi, terribile per il movimento di solidarietà. Ed emblematica mi sembra, per contro, l’esperienza positiva del convoy di Viva Palestina, organizzato dal deputato inglese Galloway che ha avuto l’intelligenza e la sensibilità di coinvolgere e rendere protagonisti, non signore americane saltellanti di rosa
vestite, ma direttamente le comunità arabe e musulmane dei paesi di origine e dei paesi che hanno attraversato, comunità che hanno avuto la forza e la tenacia di tenere unito l’obiettivo fino al suo raggiungimento.

Le lezioni che traggo da questa esperienza sono queste.

– Meno protagonismo.
– Più coerenza e disponibilità al confronto
per un lavoro faticoso e nobile che ci aspetta QUI, nel nostro paese.
Un lavoro di studio, di informazione e di sensibilizzazione.
– Più ascolto alle ragioni e alle richieste dei palestinesi.

L’adesione al boicottaggio nei confronti di Israele ci è stata chiesta direttamente dalla società civile palestinese. Se volete ascoltare la loro richiesta lasciate il vostro indirizzo e-mail alla fine di questo incontro. Come ISM Italia ci impegneremo ad inviarvi la documentazione originale palestinese e, in questo modo, pensiamo di fare la cosa più efficace per difendere i diritti di quel popolo, calpestati da più di 60 anni.

Torino, 4/2/2010 Enrico Contenti
ISM Italia

 

 

http://notizie.virgilio.it/

M.O./ Botta e risposta Siria-Israele,mentre si ricerca il dialogo

Netanyahu ha affidato a Berlusconi messaggio per Assad

Roma, 6 feb. (Apcom) – Continua il botta e risposta tra Israele e Siria, mentre dietro le quinte le diplomazie – inclusa quella italiana – sarebbero al lavoro per cercare di rilanciare il negoziato di pace, interrotto dopo l'offensiva israeliana nella Striscia di Gaza del gennaio 2009.

In un editoriale, il quotidiano ufficiale siriano Tishree – citao da Haaretz -scrive oggi che la Siria è pronta “sia alla pace che alla guerra” con Israele, replicando alle sferzanti dichiarazioni di due giorni fa del ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman.

Il capo della diplomazia israeliana aveva alzato i toni con la Siria affermando che in caso di guerra il presidente siriano Bashar al Assad non solo verrebbe sconfitto ma perderebbe anche il potere. Il governo israeliano aveva poi cercato di riportare la calma diffondendo un comunicato in cui si ribadiva la volontà di Israele di sedersi al tavolo del negoziato con la Siria senza precondizioni, per giungere a un accordo di pace.

Nell'editoriale, il quotidiano Tishree afferma che qualsiasi “strada intraprenda Israele, la Siria sarà pronta sia alla guerra che alla pace”, precisando però che Israele “non sembra avere reali intenzioni di pace”.Ma secondo quanto rivela oggi il quotidiano La Stampa citando fonti qualificate, il premier israeliano Benjamin Netanyahu avrebbe in realtà consegnato al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, durante la sua visita a Gerusalemme, “un messaggio destinato al presidente Bashar Assad in cui viene ribadita la volontà israeliana di rilanciare negoziati di pace con la Siria, senza precondizioni”.

“In parallelo – scrive la Stampa – Netanyahu ha consegnato un analogo messaggio al ministro degli Esteri spagnolo Miguel Moratinos, che l'ha subito recapitato a Damasco”.

 

M.O./ Due bambini israeliani feriti da una mina nel Golan

Stavano facendo una gita con la loro famiglia

Gerusalemme, 6 feb. (Ap) – Due bambini di 11 e 12 anni sono rimasti feriti in modo serio per l'esplosione di una mina mentre stavano facendo una gita con la loro famiglia nella regione delle Alture del Golan. Lo hanno riferito i servizi di soccorso israeliani. I bambini sono entrati per errore in un campo minato.

Israele ha occupato il Golan dalla Siria nella guerra dei Sei giorni del 1967. Ci sono ancora alcuni campi minati nell'area circondata dal filo spinato, ma raramente sono stati segnalati incidenti. L'esercito israeliano ha riferito che i campi minati sono adeguatamente segnalati.

 

 

 

 

http://periodicoitaliano.info/

Hamas ritratta le scuse per i danni provocati dai razzi lanciati su Israele

 Feb 7th, 2010

Il governo di Hamas nella Striscia di Gaza, contraddicendosi, prende le distanze da una sua stessa affermazione, contenuta nella lettera di scuse inviata alle Nazioni Unite, in cui esprime rammarico per avere provocato danni ai civili con l’attacco di razzi.

Le scuse sono contenute nella risposta al rapporto del capo della missione delle Nazioni Unite, il giudice Richard Goldstone, il quale accusa sia Hamas, sia Israele, di aver commessocrimini di guerra durante l’offensiva di Gaza nello scorso inverno.

In particolare, il resoconto ONU incolpa Hamas di aver lanciato indiscriminatamente razzi sui civili Israeliani. Hamas, in risposta alle accuse, ha scritto alle Nazioni Unite e, riferendosi ai lanci in questione, ha aggiunto: “Ci scusiamo per qualsiasi danno possiamo aver causato ai civili Israeliani”. Però poi, nella stessa lettera, riafferma il diritto di resistere all’occupazione Israeliana. Il governo di Gaza ha ora confermato quest’ultimo diritto, ma non ha ammesso che la relazione contenga scuse.

Come è noto, a seguito della Battaglia di Gaza (2007) Hamas ha preso il controllo completo dell’omonima striscia, che si trova ai confini tra l’Egitto eIsraele e si affaccia sul Mar Mediterraneo.

Nell’inverno a cavallo tra il 2008 e il 2009, allo scadere del ‘cessate il fuoco’ siglato sei mesi prima tra Israele e Hamas, non avendo le due parti raggiunto l’accordo per una sua estensione, Israele ha chiuso i confini bloccando gli aiuti umanitari diretti nella Striscia di Gaza.

Questo ha provocato la reazione dei Palestinesi che hanno attaccato con razziIsraele che, a sua volta, ha risposto al fuoco con attacchi aerei provocando ingenti danni. Hamas in risposta ha intensificato i lanci colpendo bersagli civili e, per la prima volta, le città di Beersheba e Ashold.

La guerra, nota come ‘Operazione Colata di Piombo‘ (Operation Cast Lead), ma meglio conosciuta come il ‘massacro di Gaza‘, è durata tre settimane. E’ terminata il 18 gennaio 2009 con il ritiro delle truppe Israeliane e la dichiarazione, inizialmente unilaterale, del “cessate il fuoco” subito seguita daHamas.

I dati del conflitto sono impressionanti. In meno di due mesi sono morti circa 1.500 palestinesi (il dato numerico non è certo, ma si stima che sia compreso tra i 1.167 e 1.417) e 13 israeliani; 400 mila abitanti della Striscia di Gaza sono stati lasciati senz’acqua, 4 mila case distrutte o seriamente danneggiate e decine di migliaia di persone senza tetto.
 
La missione ONU, guidata dal giudice Richard Goldstone, istituita nell’aprile del 2009, dopo cinque mesi di indagini ha prodotto un rapporto in cui accusano sia i Palestinesi, sia gli Israeliani di crimini di guerra e di possibili crimini contro l’umanità, proponendo che di tali responsabilità le due parti siano giudicate da un apposito tribunale. Il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Uniteha approvato il rapporto con 25 voti a favore, 6 contrari e 16 astenuti/voti nulli, ma biasimando esclusivamente Israele, senza menzionare ad Hamas.

Vito Di Ventura

 

 

http://www.womenews.net/spip3/

A proposito delle dichiarazioni di Berlusconi durante la visita in Israele

Non in nostro nome qualunque giustificazione per la strage di Gaza

C’è ancora qualcuno che ha interesse a conoscere gli eventi, a guardare in faccia la verità? Sembra di no, se ancora il “premier” italiano osa affermare che l’ attacco a Gaza nel dicembre 2008 fu “una giusta difesa” del popolo israeliano mentre mostra senza imbarazzo il più grande disprezzo dell’ONU.

Allora consideriamo alcuni fatti: il 19 giugno 2008 fu firmata una tregua di 6 mesi fra Hamas e Israele che prevedeva la sospensione dei razzi Qassam su Sderot in cambio dell’ apertura dei valichi di accesso alla striscia di Gaza per il passaggio di beni e persone. __ Ma l’ apertura dei valichi avvenne solo parzialmente e a singhiozzo e ne fecero le spese soprattutto molti malati bloccati ai valichi e privi di cure. 
Inoltre il 5 novembre l’ aviazione israeliana compì un raid sulla striscia uccidendo 5 palestinesi. Puntualmente riprese il lancio dei missili. Il 19 dicembre Hamas dichiarò che non avrebbe rinnovato la tregua.

E’ interessante sapere che già prima di firmare la tregua concordata il ministro della difesa Ehud Barak aveva dato ordini all’ esercito di preparare l’ offensiva… 
E che nella stessa Sderot ben 500 israeliani del gruppo “Voci diverse” firmarono un appello per chiedere di fermare le operazioni nella striscia. Dunque una tregua violata dal governo, un massacro non voluto da tanti israeliani coinvolti in prima linea.

Questo smentisce l’ affermazione che Tel Aviv esercita il diritto di difesa della sua popolazione: si è trattato di una aggressione sproporzionata, che ha causato tante sofferenze e la morte di centinaia di bambini, oltre a donne e civili, che è stata duramente condannata dall’ ONU dopo una attenta indagine.

Più volte l’ esercito israeliano ha rotto anche la tregua concordata nel gennaio 2009, sparando sui pescatori ecc. Questo la dice lunga sulle bugie del governo israeliano, infinite deformazioni della realtà, che discendono da quella prima bugia “fondante”: “Una terra senza popolo per un popolo senza terra”.

Ormai sembra passato nella testa di tanti, politici in primo luogo, che crimini, illegalità, disprezzo del diritto internazionale e di ogni diritto umano siano perfettamente legali e rientranti nel diritto alla difesa: l’illegalità diventata legale.

Questo è il punto che noi, amiche dei due popoli, non ci stancheremo di contrastare.

Gabriella Cappelletti per le Donne in Nero di Bologna

(*) Presidente associazione editrice Infopal

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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