Gerusalemme-MEMO. Dal 1967 alla fine del 2016, ben 14.595 palestinesi di Gerusalemme Est hanno visto la revoca del loro status di residenza.
Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, nel 2019 le autorità israeliane hanno accelerato drasticamente l’elaborazione delle domande di cittadinanza dei residenti palestinesi della Gerusalemme est occupata, respingendo la maggior parte di queste richieste.
L’anno scorso sono state respinte ben 1.361 domande, rispetto alle 340 del 2018, mentre il numero di candidati palestinesi che hanno ottenuto con successo la cittadinanza è salito a 1.200, dai 362 del 2018.
Quest’ultima risulta essere la cifra più alta da quando, nel 1967, l’occupazione militare di Israele ha avuto inizio nel territorio. Sempre Haaretz riferisce che “entrambi gli aumenti derivano dal fatto che l’Autorità per la Popolazione e l’Immigrazione del Ministero dell’Interno abbia accelerato la gestione di queste domande a seguito delle critiche ricevute dall’Alta Corte di giustizia [la Corte suprema] in merito alla sua lentezza a svolgere tale lavoro.
Quando Israele ha annesso illegalmente la parte orientale della città, le autorità hanno concesso agli abitanti palestinesi una “residenza permanente”, piuttosto che la cittadinanza, e il 95% dei palestinesi a Gerusalemme est ha tuttora lo stesso status.
Come notava il rapporto, “come residenti permanenti, non hanno il passaporto e nessun diritto di voto alle elezioni della Knesset e possono perdere le loro prestazioni di sicurezza sociale o persino la loro residenza se lo stato sospetta che il centro della loro vita sia in Cisgiordania piuttosto che in Israele ”.
Dal 2009, circa 800-1000 palestinesi presentano domande di cittadinanza ogni anno, ma in media solo 400 di questi ricevono effettivamente la cittadinanza.
I motivi addotti dall’Autorità per la Popolazione per il rifiuto della cittadinanza includono “una conoscenza insufficiente dell’ebraico, il sospetto che il centro di vita del richiedente non sia in Israele (ad esempio, se il richiedente possiede proprietà in Cisgiordania) o una stretta relazione con qualcuno coinvolto nelle attività di terrorismo”.
Haaretz ha affermato che “secondo gli avvocati che gestiscono le domande, con l’accelerazione del processo di candidatura si sono moltiplicati anche i motivi del rifiuto”. Infatti, diversi ne sono stati gli esempi: a un richiedente “è stata respinta la domanda poiché vive in una baracca senza acqua corrente o elettricità”, mentre ad un’altra donna palestinese nata a Gerusalemme Est “perché suo suocero una volta possedeva un appartamento fuori Gerusalemme”, un altro candidato ha invece dichiarato che la sua richiesta è stata declinata “per non aver superato il test ebraico”.
(Nella foto: Ramallah (Cisgiordania), 10 maggio 2019. I palestinesi attraversano il posto di blocco di Qalandiya per svolgere la prima preghiera del venerdì del santo mese islamico del Ramadan nella moschea di Al-Aqsa. Foto di Issam Rimawi/Anadolu Agency).
Traduzione per InfoPal di Rachele Manna