Gerusalemme/al-Quds – The Palestine Chronicle. Di Tamar Fleishman. “Scatta delle foto!”, mi hanno esortato i giovani palestinesi mentre venivano inseguiti dai soldati israeliani. I giovani speravano di attraversare il posto di blocco israeliano per raggiungere la moschea di al-Aqsa, a Gerusalemme, per pregare durante l’ultimo venerdì del mese del Ramadan.
“Fai delle foto!”, ha urlato una donna palestinese, mentre si accalcava, con altre, sul lato opposto del complesso militare israeliano.
Ho fotografato entrambi i gruppi, così come le donne che sono apparse sulla mia strada verso il checkpoint militare di Qalandiya, come un miraggio in questa mattina nebbiosa.
L’ultimo venerdì del Ramadan è stato come il culmine di tutte le terribili esperienze delle settimane precedenti, tutte istigate dalla matrice di controllo militare israeliana imposta ai palestinesi comuni che stavano cercando di condurre una vita normale, nonostante l’occupazione.
Ho visto un’amica in fila per attraversare il checkpoint e le ho suggerito di sgattaiolare attraverso un percorso alternativo. Lei mi ha guardato, ha scosso la testa e ha detto: “Se mi vedessero, mi sparerebbero alla testa”.
Quello che vedo sempre al checkpoint militare israeliano di Qalandiya è una tipica scena orwelliana.
L’unico brandello di umanità viene, come al solito, dai volontari palestinesi che aiutano anziani e disabili, cercano di prendere in braccio neonati e bambini e di tenerli finché le loro madri non attraversano il checkpoint.
Purtroppo, ero l’unico ebreo a non impugnare un’arma. Un giovane palestinese ha urlato: “Sei arabo, qui ci sono solo arabi”. Mentre lo diceva, mi ha sorriso, esprimendo sentimenti di amicizia e calore.
Ho ricambiato il sorriso.
Foto di Tamar Fleishman.