Su Israele e lo stupro

The Cradle. Di Robert Inlakesh. Le dubbie accuse di stupro mosse da Tel Aviv contro Hamas nascondono la scioccante crisi di violenza sessuale interna in Israele, nella quale ogni giorno 260 donne e minorenni israeliane/i vengono stuprati.

Mentre le accuse infondate di stupro da parte di Israele il 7 ottobre hanno dominato i titoli dei media occidentali, i casi attendibili e documentati di stupro contro palestinesi e di violenza sessuale da parte di israeliani su israeliani hanno ricevuto molta meno attenzione.

La piaga israeliana della violenza sessuale e di episodi di stupro non ha avuto origine cinque mesi fa: le sue radici vanno più in profondità e più indietro nel tempo, ed esiste un contesto cruciale essenziale per comprendere l’ambiente di abusi interno del paese.

Il massiccio problema della violenza sessuale in Israele.

L’8 febbraio Haaretz ha portato alla luce una rivelazione straziante: 116 fascicoli separati che dettagliavano casi di violenza sessuale e violenza interna contro donne e minori tra gli israeliani “sfollati” dai loro insediamenti illegali a causa dei conflitti militari in corso con Gaza e Libano.

I casi sono emersi durante una commissione speciale della Knesset sullo status delle donne e l’uguaglianza di genere, dove “il presidente della commissione, la parlamentare Pnina Tamano-Shata [Partito di Unità Nazionale], ha rimproverato ai rappresentanti della polizia di non aver raccolto dati accurati da ciascun hotel riguardo alla violenza e agli attacchi sessuali”.

Sebbene ci siano state polemiche per la mancanza di dati completi, sono stati segnalati episodi inquietanti, tra cui un caso di pedofilia che ha coinvolto un 23enne che ha instaurato una “relazione con una ragazza di 13 anni, che vivevano entrambi nello stesso albergo” e un stupro commesso dopo che un uomo ha seguito una donna nella sua stanza. È inoltre stato osservato che si sono verificati aggressioni sessuali negli ascensori delle strutture.

I casi di violenza sessuale non si sono limitati ai circa 200mila coloni “sfollati”. Ci sono state anche affermazioni credibili da parte di una donna soldato di essere stata violentata da un commilitone durante il brutale attacco militare in corso a Gaza.

Le molestie sessuali e la violenza non sono una novità tra le forze armate israeliane. Secondo un rapporto di Haaretz, “un terzo delle donne di leva nell’esercito aveva subito molestie sessuali almeno una volta nell’anno precedente [2022]”.

Haaretz ha osservato che la maggior parte delle vittime evita di denunciare l’accaduto e che “il 70% delle giovani donne che hanno denunciato ciò che è loro accaduto hanno affermato che la loro denuncia non è stata gestita affatto, o non è stata gestita sufficientemente.”

Nel 2020 la crisi di violenza sessuale dell’esercito israeliano è stata riconosciuta dopo che sono state presentate solo 31 accuse su 1542 denunce di violenza sessuale registrate all’interno dell’establishment militare.

Si tratta di uno stupefacente atto d’accusa contro “l’esercito più morale del mondo”. E non è solo l’establishment bellico israeliano ad essere affetto dal virus dello stupro.

Stupro normalizzato in Israele.

Oltre a essere un centro regionale per la tratta di esseri umani e un rifugio per i pedofili, Israele è costantemente al primo posto nell’Asia occidentale per casi documentati di stupro e aggressioni sessuali.

Nel 2020, sono scoppiate proteste in tutto Israele dopo che 30 uomini hanno stuprato in gruppo una ragazza di 16 anni ubriaca, cosa che ha spinto Ilana Weizman, del gruppo israeliano per i diritti delle donne HaStickeriot, a rivelare che una donna israeliana su cinque è stata violentata durante la sua vita, con 260 casi segnalati ogni giorno.

Nel marzo 2021 una serie di stupri di gruppo contro minori, la cui vittima più giovane aveva appena 10 anni, ha suscitato una diffusa preoccupazione in Israele per la diffusione delle violenze sessuali. L’APCCI ha affermato che il tasso di reati sessuali violenti in Israele è superiore del 10% rispetto alla media dei paesi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), etichettando il fenomeno una “epidemia”. Un rapporto della Knesset dello stesso anno ha rivelato che quasi la metà dei casi di abusi sessuali tra il 2019 e il 2020 riguardavano ragazze minorenni.

Nel 2016 gli attivisti di Jewish Community Watch avevano avvertito che Israele stava diventando un “rifugio sicuro per i pedofili”, sottolineando che gli autori di reati sessuali stavano utilizzando la Legge israeliana del ritorno, che consente a qualsiasi ebreo di rivendicare la cittadinanza e vivere nella Palestina occupata. Anni dopo, nel 2020, CBS News ha pubblicato un rapporto intitolato “Come i pedofili ebrei americani si nascondono dalla giustizia in Israele“, che dimostrava come le persone ricercate vivessero libere in Israele, lasciandosi dietro un’ondata di casi penali irrisolti.

Per aggiungere la beffa al danno, i media ebraici hanno riferito che il 92% delle indagini sugli stupri civili sono state chiuse senza accuse in Israele.

Secondo l’Associazione dei Centri di Crisi dello Stupro in Israele (ARCCI), nonostante le “buone leggi” del paese sulla violenza sessuale, un’applicazione inadeguata di queste leggi significa che le persone usano “trucchi legali” per evitare ritorsioni per le aggressioni, con molti aggressori che evitano il processo. In breve, “le persone non hanno paura di commettere il reato. Non c’è paura o punizione”.

Occasionalmente, in casi di alto profilo di stupro e violenza sessuale, è noto che il sistema giudiziario israeliano è intervenuto, come dimostrato dalla condanna dell’ex presidente israeliano Moshe Katsav nel 2010 per aver violentato un’assistente e molestato sessualmente altre due donne.

Tuttavia, il rilascio di Katsav dopo aver scontato solo cinque dei sette anni di condanna ha acceso un dibattito sul rilascio anticipato degli autori di reati sessuali. Nel 2022 l’APCCI ha riferito che il 75% degli autori di reati sessuali in Israele viene rilasciato prima di aver completato l’intera pena.

Israele utilizza lo stupro contro i palestinesi come arma.

Sin dai tempi della fondazione di Israele, lo stupro è stato ampiamente documentato nel suo utilizzo come arma di guerra contro i palestinesi. In un documentario del 2022 intitolato richiamando il massacro israeliano nel villaggio palestinese di Tantura, le orribili ammissioni di stupro commesse dalla Brigata Alexandroni sono state riconosciute per la prima volta davanti alla telecamera.

Vengono segnalati anche diversi altri casi di stupro risalenti a quel periodo: almeno tre di questi casi, tra cui uno commesso contro una ragazza palestinese di 14 anni, avvennero durante il massacro di Safsaf nell’ottobre del 1948.

Poiché lo stupro e altre forme di violenza sessuale sono spesso difficili da dimostrare in modo definitivo, è essenziale notare che anche i primi sionisti usarono come arma la minaccia della violenza sessuale, soprattutto in occasione del massacro di Deir Yassin nel 1948.

Come documentato dallo storico israeliano Ilan Pappe nel suo libro “La pulizia etnica della Palestina”, storie di esplicite atrocità di genere furono deliberatamente diffuse per incoraggiare i residenti di altri villaggi a fuggire. In una recente serie di interviste condotte con due sopravvissuti alla Nakba, entrambi hanno rivelato di essere fuggiti dai loro villaggi proprio a causa delle atrocità di stupro nel villaggio di Deir Yassin.

Oggi lo stesso atteggiamento di sessualizzazione di palestinesi vulnerabili è evidente negli innumerevoli snuff film ampiamente pubblicati sui social media con l’approvazione dell’esercito israeliano, in cui i soldati israeliani frugano nei cassetti della biancheria intima delle donne palestinesi e indossano persino in modo beffardo la loro lingerie.

Ciò, unito a quelle che un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha recentemente definito “accuse credibili” di violenza sessuale contro donne palestinesi da parte di soldati israeliani che operano a Gaza, indica un chiaro modello di violenza di genere in atto durante la guerra.

Sono stati inoltre registrati almeno due casi di stupro, insieme a numerosi casi di umiliazione sessuale e minacce di stupro. Reem Alsalem, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne e le ragazze, ha osservato che “potremmo non sapere per molto tempo quale sia il numero effettivo delle vittime”.

Umiliazione sessuale sistematica

Nel 2002, durante la Seconda Intifada, i soldati di occupazione israeliani presero il controllo delle reti televisive palestinesi nella città di Ramallah in Cisgiordania per trasmettere materiale pornografico su diversi canali. Sapendo che la società palestinese è socialmente conservatrice, è chiaro che ciò è stato fatto con l’intento di umiliare.

Un caso importante di recente umiliazione sessuale in Cisgiordania si è verificato proprio l’anno scorso vicino alla città di Al-Khalil (Hebron) ed è stato indagato in un rapporto congiunto Haaretz-B’Tselem. Il 10 luglio, tra i 25 e i 30 soldati israeliani hanno fatto irruzione nella casa della famiglia Ajluni, costringendo cinque donne palestinesi a spogliarsi nude sotto la minaccia delle armi e minacciando di scatenare contro di loro i cani da attacco dell’esercito.

Una donna di nome Amal è stata portata in una stanza privata con i suoi figli e costretta a togliersi i vestiti. Il rapporto afferma: “I bambini hanno anche assistito all’ordine dato alla madre di girare su sé stessa nuda mentre singhiozzava per l’umiliazione. Circa 10 minuti dopo lei e i bambini sono stati portati fuori dalla stanza pallidi e tremanti”.

Sebbene non sia possibile registrare ogni singolo caso di violenza sessuale perpetrata contro le donne palestinesi da parte delle forze israeliane, è ben documentato che le detenute sono state soggette ad alcune delle forme peggiori di tale violenza.

Durante la Seconda Intifada, ci sono state innumerevoli denunce di violenza sessuale contro donne e ragazze detenute dai militari israeliani, una tendenza che secondo il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem è di nuovo in aumento. Il gruppo per i diritti umani ha affermato che le detenute palestinesi recentemente rilasciate nello scambio di prigioniere tra Hamas e Israele sono state sottoposte a “minacce di stupro” e “sono state perquisite in modo umiliante più volte” dopo i loro violenti arresti.

Quanto segue è parte della testimonianza di Lama al-Fakhouri, 47 anni, registrata da B’Tselem dopo il suo rilascio dalla detenzione:

Un addetto agli interrogatori è entrato e mi ha chiesto in inglese cosa pensavo di ciò che ha fatto Hamas. Ha imprecato contro di me e mi ha chiamato ‘puttana’. Ha detto che c’erano 20 soldati nella stanza e che mi avrebbero violentata come Hamas e l’ISIS hanno violentato le donne ebree nel sud di Israele. Continuava a insultarmi e a minacciare me e la mia famiglia. Poi è arrivata una soldatessa e mi ha portato in un’altra stanza con altre soldatesse, che mi hanno detto: “Benvenuta all’inferno”. Mi hanno fatto sedere su una sedia e hanno cominciato a ridere di me e a chiamarmi ripetutamente “puttana”.

Parlando ai media dopo il suo rilascio dalla detenzione israeliana alla fine dell’anno scorso, Baraah Abo Ramouz ha detto quanto segue riguardo alle condizioni “devastanti” affrontate dai prigionieri palestinesi:

Vengono costantemente picchiati. Subiscono aggressioni sessuali. Vengono violentati. Non sto esagerando. I prigionieri vengono violentati.

Nel 2022 lo Shin Bet ha archiviato per “mancanza di prove” un caso di violenza sessuale contro una donna palestinese detenuta nel 2015. Ciò nonostante un medico e delle soldatesse avessero ammesso di aver toccato in modo inappropriato le parti intime della donna e il comandante della compagnia in comando avesse ammesso di aver dato l’ordine. Nel ricorso presentato dalla vittima si legge:

In una situazione in cui non c’è dubbio che siano stati commessi atti che costituiscono stupro e sodomia, [in cui] ci sono prove sufficienti, e quando nessuno viene punito, ciò è oltraggioso e insopportabile.

Secondo l’ex funzionario del Dipartimento di Stato americano Josh Paul, dopo che lui e i suoi colleghi hanno ricevuto prove credibili che le forze israeliane avevano violentato un ragazzo palestinese di 14 anni nel centro di detenzione di Al-Moskibiyya, Israele ha fatto irruzione negli uffici del gruppo per i diritti umani che ha passato le informazioni al Dipartimento di Stato, dichiarandolo poi un’organizzazione terroristica.

False narrazioni che alimentano crimini di guerra.

Mentre il governo israeliano diffonde la storia secondo cui Hamas avrebbe attuato una campagna sistematica di stupri pre-pianificata il 7 ottobre, per la quale non sono state condotte indagini indipendenti o prodotte prove, i casi documentati di violenza sessuale vengono indeboliti e ignorati.

Il fatto che il famigerato servizio di soccorso israeliano ZAKA, che ha contato molto sulle testimonianze di stupro del 7 ottobre, sia stato fondato dallo stupratore seriale Yehuda Meshi-Zahav, soprannominato “Haredi Jeffrey Epstein“, è significativo.

Le accuse di stupro del tutto infondate da parte del governo israeliano – ampiamente amplificate e ripetute a pappagallo dai media occidentali – sono impossibili da prendere sul serio quando la fonte è un noto gruppo di propaganda come ZAKA.

L’Ufficio del Rappresentante del Segretario Generale delle Nazioni Unite sulla violenza sessuale nei conflitti ha recentemente pubblicato un rapporto dopo che la sua Rappresentante Speciale, Pramila Patten, ha completato un viaggio di otto giorni su richiesta del governo israeliano.

Il rapporto sulle accuse di violenza sessuale è stato prodotto da un team di nove esperti delle Nazioni Unite che non avevano alcun mandato investigativo. Eppure le loro dichiarazioni hanno fatto notizia sui media occidentali, suggerendo che le Nazioni Unite avevano confermato la narrazione di Israele, sebbene il rapporto stesso non la confermasse in alcun modo.

Nel caso delle accuse di violenza sessuale rivolte al Kibbutz Be’eri, da dove è emersa la maggior parte delle accuse, non è stata trovata alcuna prova. Due casi sono stati smentiti dal team delle Nazioni Unite in quanto “infondati”.

In uno, ampiamente citato come prova di stupro, una donna è stata trovata separata dalla sua famiglia con la biancheria intima abbassata. La squadra delle Nazioni Unite ha affermato che “la scena del crimine è stata alterata da un artificiere e i corpi sono stati spostati”.

Il rapporto delle Nazioni Unite ha inoltre osservato che gli interrogatori dei presunti partecipanti all’operazione Al-Aqsa Flood da parte delle agenzie di intelligence israeliane non sono stati considerati come prova, un altro duro colpo alle affermazioni di Israele.

Nel Kibbutz Kfar Aza, dove il rapporto concludeva che “il modello ricorrente di donne vittime trovate spogliate, 18 legate e uccise – indica che potrebbero essersi verificate violenze sessuali, comprese potenziali torture sessuali o trattamenti crudeli, inumani e degradanti”, si legge anche che “al momento non è stato possibile verificare la violenza sessuale contro queste vittime”.

Dato che il team delle Nazioni Unite ha scoperto che gli israeliani avevano alterato altre scene del crimine, sarebbe necessaria un’indagine indipendente per confermare che le scene del crimine non siano state ugualmente compromesse. 

Il costo umano delle bugie di Israele.

Va anche notato che il recente scandalo del New York Times – la cui indagine sulla violenza sessuale del 7 ottobre è stata screditata dai familiari stessi di una donna che cercavano di sostenere fosse stata violentata – ha inferto un duro colpo alla credibilità della narrazione di Israele.

Durante la conferenza stampa in cui Primila Patten ha illustrato i risultati della sua missione alle Nazioni Unite, ella ha ammesso che non è stata intervistata alcuna vittima né è stata riscontrata una campagna sistematica di violenza sessuale, né il team è stato in grado di attribuire la violenza sessuale ad alcuno specifico gruppo di resistenza palestinese.

A peggiorare le cose, da un thread su X si è rilevato che il capo del Centro nazionale israeliano di prove forensi, Chen Kugel, è stato egli stesso responsabile della condivisione della propaganda di atrocità smentita, come quella dei bambini decapitati.

Nella circolazione ricorrente di affermazioni non verificate prive di indagini indipendenti, queste accuse esplicite e infondate alimentano una diffusa violenza sessuale contro i palestinesi vulnerabili.

Israele, alle prese con i propri problemi interni di violenza sessuale, ha una storia preoccupante di utilizzo della violenza di genere all’interno della sua giurisdizione militare. La sproporzionata mancanza di attenzione verso le atrocità in corso perpetrate dallo stato occupante illustra un chiaro doppio standard perpetuato dai media mainstream occidentali.

Traduzione per InfoPal di Stefano Di Felice