‘The Palestine Papers’: ultime rivelazioni? Ostracismo Anp al rapporto Goldstone, guerra ad ‘al-Jazeera’, diffidenza araba

“The Palestine Papers” – al-Jazeera.

 

Il muro dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) contro il voto al rapporto Goldstone.

“Dietro la spinta statunitense, l'Anp decide di posticipare il voto che avrebbe reso giustizia alle vittime palestinesi della guerra israeliana: il Rapporto Goldstone”.

“Ottobre 2009: Il Consiglio per i diritti umani dell'Onu deve discutere il Rapporto Goldstone, conclusioni di un'indagine sui crimini di guerra commessi da Israele nella Striscia di Gaza tra dicembre 2008 e gennaio 2009.

Il Consiglio decide di posticipare il voto a marzo 2010; il presidente dell'Anp, Mahmoud 'Abbas, di concerto con Stati Uniti e Israele, ha espresso alcune riserve.

Qualora il Consiglio lo avesse votato, sarebbe stato il mezzo esecutivo per perseguire gli ufficiali israeliani davanti ad un tribunale di guerra. Molti palestinesi erano ansiosi di vedere cosa sarebbe successo, o meglio, se fosse successo davvero.

“The Palestinian Papers” rivelano che 'Abbas ha preferito sacrificare la potenziale vittoria per le vittime palestinesi in cambio di assicurazioni da parte statunitense e, magari, anche dagli israeliani.

Nello specifico, il rapporto Goldstone, documento formale Onu, incaricava di indagare sulla guerra contro Gaza. Fu rilasciato a settembre 2009 e metteva in primo piano le pratiche utilizzate da Israele in quella guerra. A capo dell'indagine, Richard Goldstone, ex giudice sudafricano il quale trovò che nell'operazione “Piombo Fuso” erano stati commessi crimini, anzitutto dall'esercito israeliano. In misura minore anche Hamas veniva incriminato.

“…in cattiva fede”. Intanto, Usa e Israele esprimono parole di biasimo e di critica al rapporto; “se fosse stato approvato, avrebbe messo a repentaglio il 'processo di pace'”, sostengono.

'Abbas ammette di essere artefice della proroga del voto, ma si giustifica con il voler essere sicuro che il rapporto goda del maggior sostegno internazionale possibile (ottobre 2009).

In “The Palestine Papers” viene rivelato che, già settimane prima dell'annunciata data per il voto, gli Usa avevano esercitato una qualche forma di pressione sull'Anp, affinché s'impegnasse a creare una situazione di rallentamento nel processo di voto allo “scopo di riprendere i negoziati con Israele”.

24 Settembre 2009: in un incontro tra 'Erekaat, capo dei negoziatori palestinesi, George Mitchell, inviato Usa per la pace in Medio Oriente e David Hale, i rappresentanti americani avvertono il negoziatore palestinese sulla necessità di riprendere i negoziati, “un loro posticipo potrebbe rappresentare un rischio (…), gli Usa non vogliono correre questo rischio e questo è soprattutto un forte desiderio del Presidente Obama”.

Nella stessa occasione, Mitchell offre a 'Erekaat un pacchetto di sostegno, di varia natura, all'Anp. Si parla di finanziamenti e della disponibilità americana ad ammorbidire alcune relazioni Anp- terzi (il Kuwait). Queste generose intenzioni saranno manifestate da Mitchell anche nell'incontro del 1° ottobre 2009, a Washington.

Mitchell insiste per invitare a Washington 'Erekaat e vorrebbe che il capo dei negoziatori palestinesi lo raggiungesse esattamente il giorno che precede il voto al Consiglio Onu. Mitchell insiste perché la visita non sia fatta dopo la data del voto.

Nelle ore cruciali della votazione, 'Erekaat è a Washington in richiesta di nuove garanzie dagli Stati Uniti.
I contenuti degli incontri di Washington: Mitchell ribadisce la posizione americana su Gerusalemme (non si riconosce l'annessione israeliana e neanche azioni ad essa connesse come le demolizioni di proprietà palestinesi, i lavori di scavo, ecc.). Qualora Israele compirà atti provocatori, gli Stati Uniti garantiscono ad 'Erekaat “le considereremo azioni che minano il processo di pace e che Israele agisce in 'cattiva fede'”.

Da quell'incontro, 'Erekaat indossa nuovamente gli abiti di un forte sostenitore dei negoziati.
E mentre il 2 ottobre 2009 'Abbas è a New York per pronunciarsi a favore di un posticipo del voto, 'Erekaat è a Washington.

Sembra che Mitchell non tenga in considerazione le pressioni alle quali sono sottoposti i leader palestinesi quando riferisce ad 'Erekaat: “Per 60 anni, le scelte a disposizione del popolo palestinese sono diventate sempre più scarse e meno attrattive (…) mentre le circostanze in cui vivono i palestinesi sono peggiorate progressivamente…Mi creda, questo è il momento opportuno”.

'Erekaat non nasconde la propria paura, cosa farà, infatti, se Israele, proprio nel momento cruciale, non dovesse raggiungere nessun accordo con i palestinesi?

Riprendere i negoziati è lo scopo dell'invito di Mitchell a 'Erekaat, ma perché, allora, proprio in quell'occasione l'inviato statunitense esibisce al capo negoziatore palestinese un documento che, qualora respinto dai palestinesi, avrebbe annullato l'unica importante arma a disposizione di palestinesi in quel momento, per perseguire legalmente gli ufficiali israeliani responsabili di crimini di guerra a Gaza davanti ad una Corte penale interazione (Aja)?

Nel documento si legge “L'Anp farà di tutto per creare un'atmosfera favorevole alla conduzione dei negoziati. Nello specifico, essa si asterrà dal sostenere – direttamente o indirettamente – qualunque forum legale internazionale che minerebbe detta atmosfera”.

'Erekaat e 'Abbas accettano il linguaggio proposto/imposto da Mitchell e si assumono la responsabilità diretta di proporre un posticipo del voto presso il Consiglio delle Nazioni Unite.
La condanna nel mondo arabo e tra i palestinesi è forte.

Israele gradisce e, in un incontro con il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, James Jones, l'americano ringrazia il rappresentante palestinese ('Erekaat) “per il coraggio dimostrato” (21 ottobre 2009).

Lieberman dirà che i palestinesi lo hanno fatto dietro minaccia, perché Israele li aveva ammoniti di essere in grado di svelare tutta la complicità e il coordinamento tra Anp e Israele nella guerra contro la Striscia di Gaza.

'Erekaat torna da Mitchell ansioso di accertarsi che le garanzie promesse dall'America siano reali. Per tutti insomma, questa storia è una questione di puro e semplice business, come sempre, d'altra parte.

Lo spauracchio di un “Stato unico” dei negoziatori palestinesi: derisione israeliana e critica statunitense. Si sa, il rischio di rivendicare uno Stato unico minaccia Israele, e in questi documenti pare che i negoziatori palestinesi lo abbiano avanzato simile richiesta in più di un'occasione. In particolare, sembra che da Annapolis (2007) i palestinesi abbiano fatto frequente ricorso a questa minaccia davanti a israeliani e statunitensi.

Stessa cosa fu detta nell'aprile 2008 quando Qurei' incontra Livni. L'ex premier palestinese chiede all'allora premier israeliano se davvero fosse del parere che, le frontiere rivendicate dai palestinesi – quelle occupate da Israele nel 1967 – fossero troppo. Livni risponderà: “Non ho detto che sono troppo per voi”.

Nel frattempo le colonie nella Cisgiordania occupata crescono rapidamente mentre la sovranità territoriale palestinese viene minata ogni giorno di più.

In un promemoria palestinese risalente al 2009, si propone all'Anp di correre (nei negoziati) per l'idea di uno Stato unico e non più due.

'Erekaat lo propone anche a Mitchell quel 2 ottobre 2009. Qui il capo negoziatore palestinese parlerà anche di Batna (best alternative to a negotiated agreement) nel caso in cui i lavori edilizi israeliani sui Territori palestinesi dovessero proseguire. Mitchell riporta i palestinesi alla realtà dei negoziati con Israele, anche di fronte all'espansione coloniale.

La frustrazione di 'Erekaat viene affrontata da un Mitchell fedele alla volontà del suo presidente, Barak Obama, e quasi le parole del negoziatore palestinese vengono considerate deliranti mentre dall'altra parte vi è un premier israeliano particolarmente aggressivo e pericoloso (colonie ed ebraicizzazione di Gerusalemme), il quale se ne va in giro a rilasciare dichiarazioni di intenti che non corrispondono ai fatti sul campo (la colonizzazione). Al Cairo, infatti, Netanyahu assicura di voler congelare le attività edilizie.

Il 13 ottobre 2009 – poi il 21 ottobre di nuovo con Mitchell – 'Erekaat incontra Robert Serry, inviato Usa nei Territori palestinesi occupati al quale, il palestinese esprime le proprie frustrazioni: “State ponendo in vantaggio Netanyahu, che potrebbe andare ben oltre di quanto non fece Sharon e state liquidando Livni”, si sfogherò con i suoi interlocutori.

“Dovete cambiare approccio nei negoziati, altrimenti opteremo per 'Batna' (…) Non rifaremo gli errori commessi da 'Arafat. Semmai proseguiremo nel mantenimento della sicurezza, una sola autorità, un'arma, un principio di legalità, ma in tutto questo è la parità di diritti in uno Stato…che chiediamo”. Mitchell è sempre determinato ad alzare lo spettro di Obama “…se continuerete in questa direzione, il Presidente abbandonerà il proprio ruolo nei negoziati e l'idea dei 'due Stati'”, (21 ottobre).

Statistiche prodotte da “Jerusalem Media and Communication Centre“, pubblicate nell'aprile 2010, mostrano che il 34% chiedeva uno Stato bi-nazionale mentre, un anno prima (giungo 2009), era il 21%. Ad ottobre 2010, il “Palestine Center for Policy and Survey Research” dimostra che il 27% è ora per uno Stato unico mentre, nel maggio 2009 erano il 23%.

Già nel 2003, Muammar Gheddafi aveva proposto uno Stato chiamato “Isratine” (un mix linguistico tra Israele e Palestina), perché due Stati avrebbero comunque visto un Israele forte e una Palestina debole senza aver risolto la questione dei rifugiati. All'epoca, la proposta di Gheddafi non ebbe molto successo.

Sbirciare nelle “private stanze”. E' risaputo che ciò che solitamente si annuncia in pubblico, relativamente ad un processo di pace o a negoziati, non includa mai i contenuti di incontri politici che si svolgono in privato.

“The Palestine Papers” prova a svelare quei contenuti: ad Annapolis si scherza, si raccontano barzellette e aneddoti, e si avanzano mille presunzioni.

Nonostante la complicità che caratterizza tutti questi incontri tra negoziatori israeliani e palestinesi, sarà ancora Gerusalemme a riportare in superficie i reali ostacoli tra le parti. In un incontro del 29 maggio 2008, presso l'Hotel King David (Gerusalemme ovest), il consigliere di Olmert, Udi Dekel, si rifiuterà di porre sul tavolo dei negoziati la sorte della città santa come aveva “osato chiedere” Samih al-'Abid, esperto mappe per i palestinesi.

Dekel ammette: “Non posso accettare di discuterne fintanto non avrò ricevuto ordini in conformità ai piani (israeliani) sulla città”.

“Ma ora pranziamo insieme e lasciamo la questione ai nostri leader….”, dirà Dekel ad al-'Abid.

Linguaggi ed espressioni utilizzati: “Oltre il danno, la beffa”. In un incontro del 30 luglio 2008, Rice chiede alle parti di stilare una bozza che esponga la fase a cui si è giunti nei colloqui. Livni ammette che le questioni principali (tra cui anche quali forma e modalità di funzionamento riconoscere al futuro Stato palestinese) non sono state raggiunte. Sarà qui che Rice e Livni, discutendo di spazio aereo con Qurei', gli suggeriranno di utilizzare quello della Giordania perché quello palestinese sarebbe fin troppo esiguo.

Simili “stravaganze linguistiche” si registrano in un incontro dell'agosto 2008 sui rifugiati palestinesi. Qui Tal Becker, consigliere legale di Livni, dirà al collega palestinese Ziyad di non capacitarsi della debolezza con cui la questione viene affrontata dagli ufficiali palestinesi. “Dopo aver visto le modalità con cui affrontare il problema dei rifugiati palestinesi, quasi avrei voluto essere io stesso un profugo”…si scuserà.

Il sarcasmo di Livni era stato descritto già nel primo round di rivelazioni di “The Palestine Papers”: “Alla Giordania chiedo uno Stato palestinese”, risponde l'allora ministro degli Esteri israeliano a Qurei' (11 febbraio).

Mentre offese si registrano riguardo alla realtà in cui verte la Striscia di Gaza: “'Vai a Gaza', si usa dire nel Paese quando si vuole mandare qualcuno al diavolo'”, confida Livni al rappresentate palestinese, Qurei' il qualqe, da parte sua, rincara la dose della “beffa” ricordando che anche Rabin aveva detto una volta di sognare di svegliarsi un giorno e trovare la Striscia di Gaza sparita dentro una marea.

Si ricorda poi l'ironia del “voterò per te” promesso da Qurei' a Livni, e “hai portato la civiltà nella regione”, che l'ex premier palestinese rivolse a Rice in visita nel Paese.

La rilevanza degli avvenimenti storici di cui sono protagonisti non sfugge mai agli attori dei negoziati di pace: 'Erekaat, ad esempio, dirà: “Colui che sarà in grado di raggiungere un accordo nella regione seguirà Gesù Cristo per importanza”.

Settimane dopo (11 maggio 2008), 'Erakaat confiderà ai dirigenti israeliani di sentire il peso delle proprie menzogne dette in giro per il mondo riguardo al processo di pace.

La guerra dell'Anp contro “al-Jazeera”. L'Anp è convinta di avere nemici nella regione mediorientale: Hamas, Hezbollah, Iran ed altri Stati arabi.

A questa lista, si potrebbe aggiungere l'emittente televisiva del Qatar, “al-Jazeera”, responsabile del lancio del caso della complicità tra le parti con “The Palestine Papers”.

Al-Jazeera viene accusata di essere una forte sostenitrice di Hamas e un ostacolo al “processo di pace”. E' vero che nei documenti si sentono anche critiche rivolte ad altre fonti d'informazione arabe, ma, a differenza di al-Jazeera, solo di rado se ne cita esplicitamente il nome.

Mesi dopo Annapolis (2008), i leader palestinesi manifestano la propria disapprovazione per i contenuti di al-Jazeera. Qurei' lo farà nel febbraio, rivolgendosi a Livni. Sostiene che il canale del Qatar abbia salutato con favore la vittoria elettorale di Hamas e che i leader politici palestinesi siano in diretto contatto con l'emittente.

'Erekaat la accuserà pubblicamente il 18 agosto 2008: “Sono in primo piano in tutto il mondo arabo”, mentre Qurei' farà la seguente ammissione: “Non siamo in buoni rapporti con al-Jazeera, l'emittente stringe buone relazioni con Hamas e, così facendo, non fanno più giornalismo, bensì politica”.
Le azioni dell'Anp contro al-Jazeera sono state numerose: il 19 novembre 2008, un consigliere di 'Abbas chiede al presidente dell'Anp di “boicottare” la visita in Qatar.

Qualcuno proverà ad utilizzare i suoi operatori locali, come avvenne con la corrispondente Shireen Abu Aklen, per intercedere con la redazione centrale, mentre al-Jazeera è impegnata a tempo pieno a svelare tutto l'orrore e le responsabilità della guerra su Gaza.

Alle accuse mosse dall'establishment di Ramallah, la redazione risponderà con puntualità e, oggi, pubblica questi documenti includendo anche la corrispondenza contenente quegli attacchi.

Intanto, il monitoraggio sulle fonti dell'informazione dell'Anp (Tv e testate giornalistiche) ne mostrano l'approccio debole, contraddittorio e poco chiaro, espressione della volontà dei dirigenti palestinesi. Questo completa l'immagine negativa dell'Anp tra palestinesi, del mondo arabo e delle realtà internazionali di solidarietà.

L'attività di monitoraggio può essere visitata in un documento risalente al gennaio 2009, dal quale emerge che il linguaggio utilizzato dalla stampa controllata dall'Anp coincide esattamente con quello dei leader israeliani in termini di “moderazione” e “violenza”.

Ma anche molti Stati arabi non apprezzano questo linguaggio. In “The Palestine Papers” si presenta una fitta casistica dell'ostilità che i leader dell'Anp hanno verso l'Egitto, facilmente attaccabile per 'Erekaat quando rimanda tutta la responsabilità alla stampa firmata dalla “Fratellanza musulmana”.

'Erekaat giunge a rivolgersi a Mitchell sulla questione al-Jazeera. Il rifiuto di 'Abbas di presentarsi ai colloqui di Doha per la riconciliazione tra Fatah e Hamas è stato ampiamente riportato dall'emittente televisiva. 'Erekaat si lamenta con Mitchell del fatto che il suo presidente sia divenuto bersaglio di una campagna denigratoria.

In un altro incontro (20 ottobre 2009), 'Erekaat ritorna sulla questione, ma questa volta protesta contro le buone relazioni tra il re saudita, Hamas e la dirigenza politica in Siria con Khaled Meshaal.

La frustrazioni per 'Erekaat derivano dal fatto che il suo governo riceve finanziamenti dall'Arabia Saudita solo grazie alla esplicita richiesta statunitense, mentre, dall'altra parte, l'esistenza di relazioni positive e naturali sembrano essere spontanee e questo vale per Hamas come per l'Iran, Hezbollah e la Siria.
La regione si sta sperdendo, come sabbia tra le mani“, dirà 'Erekaat.

Sulla riconciliazione 'Erekaat non sembra gradire il modello regionale (Egitto, Arabia Saudita, Siria), il quale, da Ryad (marzo 2009) a Doha, il mese successivo, avrebbe dovuto sancire un riavvicinamento arabo.

'Erekaat avrebbe voluto annullare quel modello e rifuggirne per cercare un rifugio ancora una volta dagli statunitensi.
Anche nell'estate 2008, quanto la Turchia interviene tra Siria e Israele, Qurei' dimostra di non gradire e protesta davanti agli americani. Stessa protesta si riporta in un verbale datato 29 luglio 2008, durante un incontro con il consigliere per la sicurezza nazionale Usa, Stephen Hadley.

Il ruolo egiziano però rivela la posizione degli ufficiali dell'Anp ancor più chiaramente: nell'ottobre 2009 l'Egitto rende noto un “Accordo di riconciliazione nazionale palestinese”.

I contenuti di quell'accordo: formazione di un governo di unità nazionale e riforma degli apparati di sicurezza sia nella Striscia di Gaza che in Cisgiordania. Quest'ultimo punto concedeva comunque dei vantaggi in materia di controllo sulla sicurezza agli apparati di 'Abbas. Si condannava il ricorso alle armi al di fuori dei ruoli riconosciuti agli apparati di sicurezza qui riformati (quindi si condannava la resistenza palestinese) e s'inseriva la formazione di un comitato del quale, a fianco alle altre formazioni, avrebbero dovuto far parte anche Hamas e il Jihad islamico . Questi avrebbero portato Gaza sotto il cappello politico di 'Abbas, fino alle elezioni, programmate per gennaio 2010. Sebbene si trattata di un organo privo di potere d'imposizione, si sanciva qui la legittimità di Hamas e del Jihad islamico nella Striscia di Gaza.

Il 2 ottobre 2009 'Erekaat dirà a Mitchell che 'Abbas – che da lì a breve avrebbe incontrato il presidente egiziano Moubarak – avrebbe respinto qualunque accordo rischiasse di portare a un assedio.

Ma di quale assedio parlava 'Erekaat? Di quello imposto da Israele sulla Striscia di Gaza da oltre quattro anni, con il beneplacito delle Nazioni del mondo?

Certamente no! L'assedio, secondo 'Erekaat, era il rischio che un governo di unità nazionale palestinese – nel quale sarebbe entrato a far parte anche Hamas, con la conseguenza di abbassare il livello dei finanziamenti esteri – potesse realizzarsi davvero.

Si ricorda che, dopo la vittoria elettorale di Hamas nel 2006, il Quartetto per il Medio Oriente (Usa, UE, Russia e Onu) decretò sanzioni economiche sui palestinesi, poi rimosse dopo la lotta intestina tra i due principali movimenti politici palestinesi (Fatah e Hamas) a Gaza nel giugno 2007.

Ma 'Erekaat spinge perché Mitchell garantisca sui contenuti dell'accordo egiziano, chiedendo esplicitamente agli Stati Uniti di fare da supervisore al lavoro di elaborazione e stesura egiziani perché, in materia di riconciliazione nazionale, prevedeva un “disastro”, ovvero prevedeva una “soluzione”.
Alla diffidenza verso l'Egitto, 'Erekaat aggiunge poi una serie di dichiarazioni volte a sminuire e a denigrare l'immagine degli ufficiali di Mubarak.

Il 24 giungo 2007, e poi ancora il 3 febbraio 2008, dirà che l'Egitto permette l'esistenza e il traffico nei tunnel al confine con Gaza.  Il segretario generale della Lega araba, 'Amr Musa, non viene risparmiato per il criticismo espresso verso tutte le parti politiche palestinesi, Anp compresa. Il biasimo dei rappresentanti dell'Anp per le posizioni di Musa viene fuori in vari incontri statunitensi (17 gennaio 2008, 2 dicembre 2008). Questi ultimi particolari sono riferiti dalla giornalista egiziana Amira Howeidy, impegnata nel riportare la situazione dei diritti umani e delle libertà civili dei palestinesi.

La dispersione dell'intera regione. “Fratellanza araba” o “diffidenza”? In ambienti Anp, qualcuno ha affermato che gli Stati arabi sono sempre stati messi al corrente sullo stato di colloqui con Israele e Stati Uniti, tuttavia, in “The Palestine Papers” questo non emerge.

Emergono invece, diffidenza e critica, a denotazione del linguaggio usato quando viene chiamata in causa l'azione dei Paesi arabi sulla questione isarelo-palestiense.

'Erekaat chiederà al coordinatore per la sicurezza Usa, Keith Dayton, di indebolire Hamas e di fare pressione sui regimi arabi perché taglino i ponti con il Movimento di resistenza islamica (luglio 2007).
Dopo le critiche rivolte all'Arabia Saudita, è la volta del governo del Qatar: “Sta conducendo una campagna contro di me”, accusa 'Erekaat a Mitchell il 20 ottobre 2009; “è un vostro alleato”, dice a Mitchell e lo ribadisce anche incontrando il consigliere legale di Obama, Gamal Bilal.

“Hamas è finanziato dal Qatar”, dirà a Livni il capo della polizia palestinese in Cisgiordania, Hazem 'Atallah nell'aprile 2008.

L'Anp sapeva dei preparativi israeliani dell'operazione “Piombo Fuso” contro la Striscia di Gaza? 

“The Palestine Papers” non forniscono risposte che possano dirsi “soddisfacenti”, altrimenti “esaustive”.
'Abbas ha sempre sostenuto di aver avuto premura nel mettere in allerta Hamas (a Gaza come in Siria) di un attacco israeliano.

Ma le informazioni alla base delle raccomandazioni che il presidente dell'Anp avrebbe indirizzato ad Hamas erano basate esclusivamente su rapporti  israeliani.

Poi “The Palestine Papers” – che arrivano con la forza di un ciclone (verbali di incontri tra i leader di entrambe le parti), tracciano invece un altro corso degli eventi.

Il 21 ottobre 2009, 'Erekaat confida a Mitchell che il direttore dell'Intelligence israeliana, Amos Gilad aveva avvertito anticipatamente il presidente di un attacco su Gaza.

Stando alle parole di 'Erekaat, 'Abbas si sarebbe limitato a rispondere a Gilad che “non sarebbe andato a Gaza su un carro armato israeliano”.

Stessi contenuti erano emersi dalle rivelazioni di WikiLeaks lo scorso dicembre (2010). In un documento risalente al giugno 2009, Bob Casey, senatore Usa, Gary Ackerman, rappresentante americano ed Ehud Barak, ministro delle Difesa israeliano viene svelata una confidenza di Barak. “Egitto e Fatah erano stati avvisati della guerra di Israele su Gaza ben prima dell'attacco. Egiziani e Fatah aveva respinto la proposta israeliana di prendere il controllo della Striscia di Gaza una volta che lo Stato ebraico avrebbe sconfitto Hamas”.

'Erekaat intanto, si ostina a fornire alla stampa altre versioni, e dichiara: “Sapevamo della guerra su Gaza perché Israele non ne faceva mistero”.

Tuttavia, il 21 marzo 2008, ad Annapolis, Qurei' incontra Livni e Gilad, i quali gli espongono la visione del proprio governo “sconfiggere Hamas e tuttavia non intendere riprendere il controllo sul territorio palestinese. Garantire che gli aiuti umanitari facciano ingresso a Gaza”.

Qui, i due leader israeliani ammoniscono Qurei': “Ma bisogna agire quanto prima, altrimenti ne uscirete indeboliti”.

La linea mantenuta da Anp sarà sempre la stessa: “Sull'attacco israeliano contro Gaza non sapevano nulla di più di quanto non sapesse l'opinione pubblica”, e, in un'intervista rilasciata ad al-Jazeera nel novembre 2010, 'Erekaat dirà: “La stampa israeliana aveva reso pubblici piani, mappe e altri documenti. 'Abbas aveva incontrato Olmert il quale lamentava il lancio di missili dalla Striscia di Gaza contro Israele”.
In “The Palestine Papers” resi pubblici il 25 gennaio (3° round) da al-Jazeera, tuttavia, era emersa una complicità Anp-Israele senza precedenti.

Negli incontri che 'Erekaat terrà con Mitchell (ottobre 2009), il capo negoziatore palestinese gli confiderà tutta la personale delusione per quanto poco Israele ed Egitto stanno facendo a Gaza, e affermerà: “Non si sta facendo nulla per mantenere l'assedio su Gaza”.

Dell'Egitto in particolare, gli ufficiali dell'Anp sospettavano stesse conducendo una doppia partita.

Ad Amos Gilad, 'Erekaat aveva detto: “Tu sei un uomo egiziano. Solo 11 km! (Il riferimento è all'estensione della frontiera tra Egitto e Striscia di Gaza). Cosa si sta facendo con i 23 milioni di dollari donati da Usaid (United States Agency for International Development) per arrestare l'attività nei tunnel. E'proprio lì che si gioca l'economia di Hamas (…)”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.