Una settimana senza precedenti: con il vergognoso comportamento di Washington, l’amministrazione Biden ha nuovamente toccato il fondo

Unz.com. Di Philip Giraldi. La prima settimana di dicembre di quest’anno è stata all’insegna dell’apparente amore inestinguibile degli Stati Uniti per lo Stato di Israele. Dopo una breve pausa per lo scambio di ostaggi con prigionieri, gli israeliani hanno rilanciato la loro azione di sterminio dei gazawi e il furto di ciò che resta delle loro terre e proprietà. Il presidente Joe Biden, abilmente assistito dalla sua immancabile spalla Antony Blinken, capo del Dipartimento di Stato, ha accolto con favore l’assalto dello Stato ebraico, spingendo sull’acceleratore per aiutare il simpatico Bibi Netanyahu e suggerendo allo stesso tempo che ventimila palestinesi morti e il loro conteggio potrebbero essere un po’ esagerati. Naturalmente, il suggerimento si limitava a dimostrare quanto sia grande il filantropo, in corsa per la rielezione, che ora siede nello Studio Ovale, e che Israele non avrebbe subito alcuna reale conseguenza se avesse ignorato il consiglio, cosa che ha fatto. Biden ha poi dimostrato cosa pensasse realmente, accelerando, attraverso il Dipartimento di Stato, una nuova spedizione di munizioni, un gesto compiuto chiaramente per aiutare lo sforzo bellico, con alcune notizie che suggeriscono che circa duecento aerei militari statunitensi hanno già effettuato consegne per oltre 15.000 bombe al fine di aiutare Bibi ad uccidere sempre più palestinesi.

La decisione di fornire più armi a Israele coincide con la raccomandazione del vicesindaco di destra di Gerusalemme di seppellire vivi i palestinesi catturati, da lui definiti subumani, affermazione che non ha suscitato alcun commento da parte della Casa Bianca. L’amministrazione americana ha spiegato la consegna frettolosa delle munizioni per carri armati, aggirando le procedure di revisione stabilite dal Congresso, affermando che Israele aveva urgentemente bisogno del materiale per difendersi e che soddisfare le richieste israeliane è “vitale per gli interessi nazionali degli Stati Uniti”. Un comunicato stampa del Dipartimento di Stato ha descritto l’insolita procedura come “determinata e fornita con una giustificazione dettagliata al Congresso secondo la quale esiste un’emergenza che richiede la vendita immediata al governo di Israele dei suddetti articoli e servizi di difesa nell’interesse della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, rinunciando così ai requisiti di revisione del Congresso ai sensi della sezione 36(b) della legge sul controllo delle esportazioni di armi, come modificata. Gli Stati Uniti sono impegnati nella sicurezza di Israele ed è vitale per gli interessi nazionali degli Stati Uniti assistere Israele nello sviluppo e nel mantenimento di una forte e pronta capacità di autodifesa. La vendita proposta è coerente con questi obiettivi. Israele utilizzerà questa maggiore capacità come deterrente per le minacce regionali e per rafforzare la propria difesa interna”.

Poiché Hamas non dispone di armi pesanti e non sta occupando o penetrando in territorio israeliano, la spiegazione sembrerebbe piuttosto essere un’altra “grande” bugia governativa, in qualche modo simile al discorso del Segretario di Stato Colin Powell davanti alle Nazioni Unite nel 2003, in cui si affermava che l’iracheno Saddam Hussein aveva armi di distruzione di massa e si stava preparando ad usarle. E sfida anche coloro che credono che gli Stati Uniti stiano realmente facendo uno sforzo per ridurre le vittime tra i civili. Josh Paul, l’ex funzionario del Dipartimento di Stato che si è dimesso per protestare contro la fornitura di armi americane da usare contro la popolazione di Gaza, ha reagito alla notizia dichiarando che “…questa fornitura accelerata di armi letali a Israele dovrebbe far riflettere seriamente sulla sincerità delle ripetute affermazioni del segretario secondo cui gli Stati Uniti cercano di ridurre al minimo le vittime civili nelle operazioni di Israele a Gaza”.

Quindi, cosa ha reso la prima settimana di dicembre diversa da tutte le altre in cui la Casa Bianca si volta dall’altra parte e fornisce a Netanyahu tutto ciò che vuole mentre Israele uccide, uccide e ancora uccide? Beh, c’è stato molto di più della semplice fornitura di tredicimilanovecentoottantuno (13.981) cartucce anticarro M830A1 da 120 mm ad alto esplosivo multiuso con tracciante (MPAT), per un valore irrisorio di 106,5 milioni di dollari. C’è stato anche qualche problemino alle Nazioni Unite, dove è stata votata una mozione che chiedeva un cessate il fuoco immediato a Gaza per consentire i negoziati che mettano fine al genocidio che Israele sta portando avanti nel tentativo di chiudere per sempre il problema palestinese. La mozione era stata approvata all’inizio della settimana dal Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres, che ha invocato un articolo della Carta delle Nazioni Unite raramente utilizzato per sollecitare il Consiglio di Sicurezza a “fare pressione per evitare una catastrofe umanitaria” e ad approvare una risoluzione per un “cessate il fuoco umanitario tra Israele e i militanti palestinesi”.

Guterres ha avvertito che il bilancio delle vittime civili si sta avvicinando a quello che ha definito un livello “apocalittico” a causa dei bombardamenti delle infrastrutture, della fame e delle malattie. Ha chiesto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di fermare le uccisioni a Gaza come dovere fondamentale ai sensi della Carta delle Nazioni Unite. Ogni giorno, i funzionari delle Nazioni Unite sul campo a Gaza lottano eroicamente per sfamare, riparare e proteggere la popolazione dalle bombe israeliane e oltre 100 membri del personale delle Nazioni Unite sono stati uccisi, un numero di vittime superiore a quello di qualsiasi altra situazione di guerra. La mozione avrebbe potuto passare all’unanimità, ma c’è stato un piccolo problema: gli Stati Uniti hanno posto il veto, agendo chiaramente su ordine di Netanyahu, che ha poi ringraziato Biden. Il voto finale è stato di 13 a 1, con la Gran Bretagna che si è astenuta. Blinken ha difeso la decisione di porre il veto nei talk show domenicali, affermando che lo sforzo di Israele di eliminare Hamas è un “obiettivo legittimo”. Ha aggiunto inoltre che “se si tratta di un cessate il fuoco in questo momento, con Hamas ancora vivo, ancora intatto, e ancora, con l’intento dichiarato di ripetere il 7 ottobre ancora e ancora e ancora, questo semplicemente perpetuerebbe il problema”.

Il vice rappresentante degli Stati Uniti all’ONU Robert Wood, agendo chiaramente agli ordini della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato, ha spiegato il suo veto dichiarando che “…gli autori della risoluzione hanno rifiutato di condannare l’attacco di Hamas del 7 ottobre che ha ucciso 1.200 persone, tra cui donne, bambini e anziani”. Wood ha aggiunto che la bozza “non ha riconosciuto che Israele ha il diritto di difendersi dal terrorismo”. L’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Gilad Erdan ha ringraziato la Casa Bianca “per essere rimasta fermamente al nostro fianco”.

Frustrata dal veto degli Stati Uniti in Consiglio di Sicurezza, il 12 dicembre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha votato la stessa risoluzione che chiedeva un cessate il fuoco immediato nel conflitto tra Israele e Gaza. Il risultato dei è stato schiacciante: 153, con 10 no e 23 astenuti. Gli Stati Uniti hanno nuovamente votato “no”, insieme a Israele e ai soliti territori insulari consociati del Pacifico meridionale, oltre all’Austria, Papua Nuova Guinea, Repubblica Ceca, Guatemala, Liberia e Paraguay. Il voto è avvenuto durante una “sessione speciale d’emergenza”, in base alla risoluzione “Unirsi per la pace” introdotta quando il Consiglio di Sicurezza non riesce ad agire a causa del veto di un membro permanente, e sono state avanzate argomentazioni legali secondo cui tali voti, come quelli del Consiglio di Sicurezza, possono essere interpretati come legalmente vincolanti. Naturalmente, ciò può essere considerato irrilevante, dal momento che Israele ha raramente, se non mai, rispettato qualsiasi risoluzione delle Nazioni Unite a cui si è opposto, sia essa “vincolante” o meno, e dal momento che l’effettivo controllo di Israele sul governo degli Stati Uniti ha garantito che la sua sfida non produrrà alcuna conseguenza negativa.

Secondo quanto riferito, è stata la quarantacinquesima volta che Washington ha usato il suo veto per proteggere lo Stato di Israele all’ONU, motivo per cui lo Stato ebraico non è mai stato chiamato a rispondere di nulla. Nemmeno gli Stati Uniti, che dalla fondazione dell’ONU hanno iniziato più guerre di chiunque altro contro Paesi che in realtà non li minacciavano e, presumibilmente, potrebbero sempre usare il loro veto per bloccare una simile mozione anche contro se stessi. Il risultato è che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite esiste solo per agire contro i Paesi che non sono membri permanenti del Consiglio o contro Israele, che è protetto da Washington.

Si potrebbe pensare che già tutto questo rappresenti una settimana infernale di gran lunga superiore alla media, ma c’è di peggio, tra cui l’ennesimo attacco alla libertà di parola messo in atto da politici, media e miliardari ebrei per bloccare ogni e qualsiasi critica ad Israele. Gli attacchi sono iniziati diversi mesi fa, quando gli studenti di alcune università pubbliche e private hanno iniziato a protestare per il fatto che Israele ha deliberatamente preso di mira i civili, provocando oltre 20.000 vittime, considerando anche tutti i cadaveri che si trovano ancora sotto le macerie degli edifici bombardati. Alcuni farabutti politicamente ambiziosi, come il governatore della Florida Ron DeSantis, hanno immediatamente dichiarato che i gruppi studenteschi pro-palestinesi sono “antisemiti” e li hanno banditi dalle università statali della Florida, dichiarando inoltre che nessun rifugiato palestinese dovrebbe essere ammesso negli Stati Uniti perché anche loro “odiano gli ebrei”.

Quando la narrazione anti-palestinese ha preso forma nei circoli politici, mediatici e sionisti, ha adottato un’ipotesi comune che recita più o meno così: Israele è lo Stato ebraico. Chi critica lo Stato ebraico e/o il sionismo è quindi per definizione un antisemita. L’antisemitismo è un “crimine d’odio”. Se si sostiene o si argomenta a favore di un gruppo palestinese come Hamas, che il governo degli Stati Uniti ha etichettato come “terrorista”, si fornisce “assistenza materiale al terrorismo”, un reato per il quale si può essere multati o incarcerati. Anche se vi limitate a criticare i gruppi ebraici che sostengono Israele, siete ugualmente antisemiti e avete commesso un “crimine d’odio”. Il risultato finale è che Israele, che è immune dalle conseguenze delle sue azioni a livello internazionale, sempre più spesso non può essere criticato senza gravi conseguenze per chi lo critica. In altre parole, la libertà di parola negli Stati Uniti esiste, nella misura in cui esiste, solo se non si sta denigrando Israele o addirittura i suoi amici a causa del loro comportamento comprovato.

Alcune di queste conseguenze sono state sperimentate di recente da tre presidenti di importanti università americane, che hanno risposto a un’inchiesta del Congresso nata dall’accusa secondo cui le università sono focolai di antisemitismo e sono responsabili di un forte aumento degli episodi contro gli ebrei. Vi è una certa ironia nelle accuse, dato che gli ebrei in America sono i più ricchi, i più istruiti, i più potenti politicamente, con le professioni più prestigiose e i più protetti dalla Sicurezza Nazionale rispetto a tutti gli altri gruppi etno-religiosi. E non esistono molte prove concrete che gli ebrei siano in qualche modo sempre di più “vittime” negli Stati Uniti o in Europa. Gli incidenti antisemiti che stanno “aumentando” sono spesso basati su critiche a ciò che gli israeliani fanno ai palestinesi e spesso consistono in uno studente universitario ebreo offeso o infastidito da un manifesto o da un oratore che critica il comportamento di Israele. I casi di veri e propri scontri fisici sono rari e vengono immediatamente riportati dai compiacenti media mainstream per diffondere la sensazione che gli ebrei in America e persino in tutto il mondo siano minacciati. Alcuni gruppi, come l’Anti-Defamation League (ADL), sono fortemente impegnati nella promozione della narrazione dell’odio verso gli ebrei, in quanto è nel loro interesse farlo, data la loro base di donatori a cui piace sentirsi dire proprio questo. In altre parole, si tratta in gran parte di un espediente per ottenere vantaggi politici ed economici, nonché un lasciapassare per comportamenti scorretti che altrimenti non sarebbero possibili.

I tre rettori universitari, tutti di sesso femminile, rappresentavano Harvard, l’Università della Pennsylvania e il MIT e tutti e tre erano molto rispettati nelle rispettive professioni anche prima dei loro rettorati. Non si aspettavano che la deputata repubblicana di New York Elise Stefanik, ebrea di Harvard, volesse attaccarle sostenendo che il mondo accademico odia gli ebrei e incoraggia l’antisemitismo. Stefanik è stata sostenuta anche dagli oligarchi ebrei che hanno minacciato di tagliare drasticamente le donazioni alle varie università che non si adeguano alla linea, facendo ciò che gli ebrei sono spesso accusati di fare, cioè usare i loro soldi e il potere che hanno conquistato per bloccare ogni dibattito su argomenti che essi considerano fastidiosi.

Stefanik e quelli come lei sono stati particolarmente infastiditi dagli studenti dimostranti pro-palestinesi che cantavano “Intifada” e “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”. Ha interpretato entrambe le espressioni come appelli alla distruzione di Israele, ma non lo sono. Intifada in arabo significa “scuotere” ed è un appello a liberare il popolo palestinese e la sua terra dalla tirannia israeliana. Il “fiume al mare” è in qualche modo simile, un appello per uno Stato palestinese con effettiva sovranità e nessuno dei due è un appello esplicito ad uccidere israeliani o ebrei. Sono inni universali di libertà. Allo stesso tempo però Stefanik stranamente, anche se non sorprende, ha evitato di menzionare le effettive dichiarazioni di alti funzionari del governo israeliano che hanno chiesto di sfollare o uccidere tutti i palestinesi, cosa che possono concretamente fare e che potrebbe essere considerata una minaccia.

I rettori delle università sono stati messi alla gogna dal Congresso, dalla Casa Bianca, dalla lobby israeliana e dai media perché si sono rifiutati di definire tutte le critiche al progetto sionista e al comportamento di Israele come inaccettabile “libertà di parola” e perché hanno affermato che il significato degli slogan politici spesso dipende dal contesto. Affinché qualcosa o qualcuno venga considerato motivo di persecuzione, quindi vietato nei college in questione, è necessario che vi sia una minaccia diretta ad un’altra persona. In questo caso si può parlare di vessazioni, persecuzioni. Quando non c’è, si tratta di libertà d’espressione all’interno di un campus universitario, anche se è critica nei confronti del comportamento di un gruppo o addirittura razzista. È così che dovrebbe essere.

E se pensavate che le nefandezze della settimana fossero finite qui, vi sbagliate. Durante la settimana c’è stata anche un’azione vergognosa da parte del Congresso, che ha respinto la mozione del senatore Rand Paul per il ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria con 13 voti a favore e 84 contrari. Ironia della sorte, lo stesso 7 dicembre, giorno di Pearl Harbor, i bombardieri statunitensi hanno commesso un crimine di guerra uccidendo 36 abitanti di un villaggio siriano come rappresaglia per una serie di attacchi alle basi statunitensi. I soldati americani sono in Siria illegalmente, fondamentalmente per far cadere il governo legittimo di Bashar al-Assad, anche se affermano che è per combattere i terroristi dell’ISIS. Inoltre, si sono stabiliti nella regione siriana produttrice di petrolio e lo rubano. Sia la Siria che il vicino Iraq vorrebbero che gli “Yankees se ne tornassero a casa”, ma il Pentagono sostiene che gli attacchi alle basi sono stati condotti da gruppi affiliati all’Iran, il principale nemico di Washington e di Israele nella regione, per cui la Casa Bianca ha deciso che uccidere i contadini siriani è una reciprocità giustificabile. Nel frattempo, Israele bombarda regolarmente gli aeroporti siriani di Damasco e Aleppo, sostenendo che vengono utilizzati dall’esercito iraniano e dalle Guardie rivoluzionarie.

Nel corso della settimana il Congresso ha anche approvato una mozione che spiega in parte perché la politica estera degli Stati Uniti nella regione mediorientale sia così incoerente. Il Congresso ha dichiarato, attraverso una risoluzione redatta e sostenuta dal GOP, che l’antisemitismo deve essere considerato tale con un voto di 311 a 14, ottenendo il sostegno di tutti i repubblicani tranne uno. Novantadue democratici hanno votato “presente” – senza prendere posizione a favore o contro la misura – mentre 95 l’hanno appoggiata, aprendo la strada a ulteriori persecuzioni per crimini d’odio e aumentando le responsabilità legali per chi critica Israele. L’anti-sionismo non è, ovviamente, antisemitismo, poiché il sionismo è un movimento politico e l’ebraismo una religione. Infatti, molti ebrei religiosi rifiutano l’idea di uno Stato ebraico e molti ebrei laici sono attualmente attivi e persino nelle prime file delle proteste contro il massacro dei gazawi da parte di Israele.

Infine, la settimana ha visto anche le presentazioni di Biden e del Segretario alla Difesa Lloyd Austin, che hanno entrambi spiegato il loro punto di vista sul motivo per cui il Congresso debba sborsare svariati miliardi di dollari per l’Ucraina. Biden ha avvisato esplicitamente e quasi certamente in modo errato che “se Putin prende l’Ucraina, non si fermerà lì. Avremo qualcosa che non cerchiamo e che non abbiamo oggi: truppe americane che combattono contro truppe russe”. Austin ha rincarato la dose dicendo ai membri del Congresso che manderà “i vostri zii, cugini e figli a combattere contro la Russia se gli aiuti all’Ucraina non saranno approvati”. L’illusione di Biden e Austin si basa sulla presunzione che la Russia di Vladimir Putin si muoverà per ricostruire l’Unione Sovietica prendendosi gli Stati baltici, che sono alleati della NATO, e dopo che avrà conquistato l’Ucraina. Si tratta però di una strategia intimidatoria che non si basa su alcuna prova reale e la Russia non ha nemmeno il desiderio o la capacità di prendere tutta l’Ucraina, per non parlare di ricreare l’URSS, cosa che la sua leadership riconosce chiaramente. Fortunatamente, pochi a Washington e in Europa si sono bevuti queste assurdità e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che pochi giorni dopo si è recato a sorpresa da Biden per chiedere denaro, è tornato a casa praticamente a mani vuote.

Se si scava un po’ più a fondo, probabilmente c’è ancora dell’altro in questa settimana piena di azione, ma sono sicuro che i lettori hanno capito qual è il punto. È stata una settimana disastrosa per i veri interessi degli Stati Uniti e non vedo nulla che vada a vantaggio dell’americano medio, anzi. Ma questo è il solito schema di tutta una serie di amministrazioni statunitensi che, purtroppo, hanno fatto del loro meglio per distruggere gli Stati Uniti di una volta, sulla falsariga della promessa di George W. Bush di essere il nuovo sceriffo della città, pronto e disposto a fare la guerra contro il mondo intero. Chi ci libererà da questi mostri o sono troppo radicati nel sistema per essere rimossi? Questa è la vera domanda.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi