Washington-PIC. L’esercito israeliano ha ucciso 67 bambini palestinesi e ne ha feriti altri 685 durante gli undici terribili giorni degli attacchi devastanti contro l’impoverita Striscia di Gaza, iniziati il 10 maggio, secondo quanto riferito da un recente rapporto pubblicato dall’UNICEF, il fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia.
In questo ultimo documento sulla situazione umanitaria, l’UNICEF afferma inoltre che, dal 7 maggio al 31 luglio, le forze militari e della sicurezza hanno ucciso nove bambini palestinesi, ferendone altri 556, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.
Qui i bambini sono stati colpiti, nella maggior parte dei casi, da proiettili veri, ricoperti in gomma, granate assordanti e lacrimogeni.
Almeno 170 bambini palestinesi di Gerusalemme Est sono stati arrestati durante il periodo di riferimento. Nel rapporto non vengono menzionati, invece, i bambini detenuti in Cisgiordania.
L’UNICEF ha avvertito che non sarà in grado di riprendere le operazioni di aiuto ai bambini palestinesi a causa di un grave deficit di bilancio per l’anno in corso.
“Il fabbisogno finanziario dell’Appello Umanitario dell’UNICEF per il 2021 è di 46.202.701 dollari, dei quali 11.205.521 sono stati ricevuti durante il periodo di riferimento del rapporto, 2.738.838 riportati dal 2020, e 707.923 dollari sottratti ad altre risorse per far fronte alle necessità urgenti dell’escalation delle ostilità. Il 68% dell’ammontare richiesto rimane come deficit di finanziamento”, spiega il rapporto.
Il rapporto ha evidenziato che 116 asili privati, 140 scuole pubbliche e 41 scuole dell’UNRWA hanno subito vari gradi di danneggiamento o distruzione durante l’ultima guerra contro Gaza.
Afferma inoltre che “l’accesso sicuro ad acqua potabile e a servizi igienici resta un grave problema quotidiano per la maggior parte della popolazione”.
Precisa che “l’escalation delle ostilità nella Striscia di Gaza ha causato danni a 290 infrastrutture WASH – acronimo di WAter, Sanitation and Hygiene (acqua, servizi sanitari ed igienici) – e interruzioni nella fornitura elettrica. Ha diminuito anche le possibilità di accesso alle forniture WASH critiche, compromettendo la capacità delle aziende di fornire servizi WASH. Di conseguenza, circa 1 milione e trecentomila persone, soltanto nella Striscia di Gaza, non hanno un accesso sufficiente all’acqua potabile, a strutture sanitarie ed igieniche.
“Nella Striscia di Gaza, anche i servizi per la salute hanno subito un forte impatto negativo a causa dell’escalation del maggio 2021, con 33 strutture sanitarie danneggiate durante il conflitto. Per di più, è continuata la diffusione del COVID-19 per il secondo anno consecutivo, aggravando le vulnerabilità già esistenti, colpendo il benessere dei bambini, e limitando l’accesso dei minorenni ai servizi essenziali. Al 31 luglio 2021 c’erano 345.702 casi confermati di COVID-19 dei quali il 50% erano donne e il 12% erano bambini al di sotto dei 18 anni di età”.
“Nella Striscia di Gaza, sono ancora in vigore limitazioni alle forniture necessarie per la ricostruzione essenziale, ai mezzi di sussistenza ed ai servizi di base. Alla fine di luglio, il valico di Kerem Shalom (Karam Abu Salem) verso la Striscia di Gasa è rimasto aperto soltanto per far entrare alcuni prodotti essenziali specifici e pochi beni umanitari
L’accesso umanitario ai beni nella Striscia resta un problema, dato che la disponibilità di materiale è significativamente diminuita nel mercato locale.
“Vi è urgente bisogno di importare alcuni prodotti, soprattutto per WASH e per altri progetti di ricostruzione per strutture colpite duramente nelle recenti ostilità. Un’ulteriore sfida è il continuo divieto di ingresso per i materiali “a duplice uso” che limita anche il trasferimento dei beni essenziali. Ciò influisce sul funzionamento e sulla manutenzione di strutture e infrastrutture idriche e igienico-sanitarie vitali e dell’unica centrale elettrica della Striscia di Gaza. Il lungo processo di importazione dei rifornimenti sta mettendo a dura prova anche la fornitura di un’assistenza umanitaria tempestiva”, ha spiegato il rapporto dell’UNICEF.
Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi