Vietato ai coloni, non allo Stato.

Testo inglese in http://www.haaretz.com/hasen/spages/772907.html

 

 

                     

Mercoledì 11 ottobre 2006 – 19 Tishrì 5767

           

Vietato ai coloni, non allo Stato

Amira Hass

 

Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) e l’Amministrazione Civile hanno fatto bene ad informare il pubblico israeliano dei passi intrapresi per garantire che la raccolta delle olive sia effettuata in modo adeguato; la stagione è iniziata la scorsa settimana. Orecchie israeliane ben esercitate sono pronte a localizzare da dove nasce questo montare la guardia: da qualunque villaggio che possa fare da bersaglio agli attacchi dei coloni contro i contadini palestinesi, i loro alberi e le loro olive.

 

In contrasto con la limitatezza della protezione militare e di polizia, che i palestinesi avevano ricevuto nei due anni passati durante la raccolta, adesso ci si attende che sia particolarmente seria; l’IDF parla di “raccogliere anche l’ultimissima oliva”. Questo implica prevenire i tentativi dei coloni di attaccare o intimorire i contadini. Il rabbino Arik Ascherman, direttore dei Rabbini per i Diritti Umani, ha l’impressione che, per lo meno a livello di comando, l’IDF abbia deciso di proteggere i contadini ed il raccolto.

 

Le vessazioni e gli attacchi da parte dei coloni, che tentavano di terrorizzare gli abitanti dei villaggi, si verificavano anche prima del 2000, ma sono diventati più frequenti dopo l’inizio della seconda intifada. L’esercito e la polizia si sono dimostrati assenti, inetti o apatici. I comandanti militari hanno trovato una facile via d’uscita: hanno chiuso vaste aree di terra coltivata ai loro proprietari, i palestinesi, in modo da “proteggerli” dai coloni.

 

I Rabbini per i Diritti Umani (RHR), ed altre organizzazioni israeliane di sinistra, come l’Associazione Arabo-Ebraica Ta’ayush, avevano deciso, sin dal 2002, di accompagnare i contadini palestinesi, malgrado il rischio di essere anche loro attaccati dai coloni. La ricca esperienza degli attivisti dei RHR ha fornito le basi di fatto per una petizione contro lo stato e le forze di sicurezza, presentata nel 2004 all’Alta Corte di Giustizia dall’Associazione per i Diritti Umani in Israele (ACRI), insieme a detto gruppo dissidente di rabbini ed a cinque villaggi palestinesi. Alla corte sono stati necessari due anni per le udienze, le repliche dello stato, le aggiunte e le correzioni alla petizione, l’esame delle promesse statali, la correzione delle repliche e così via. Ma, nel luglio del 2006, la corte ha emesso un decreto, che obbliga le forze di sicurezza a proteggere i diritti di proprietà dei palestinesi ed il loro diritto di coltivare la terra. L’IDF, l’Amministrazione Civile e la polizia sono ora vincolati dal decreto della corte; questo è il motivo per cui suonano ora più risoluti che mai, nel loro ammonire i coloni.

 

Di tutti gli attacchi israeliani sistematici a contadini palestinesi, quelli iniziati e portati avanti dai coloni sono stati i più negativi per le pubbliche relazioni: alcune personalità ben note si sono impegnate per iscritto a prestare assistenza ad una o due spedizioni ben pubblicizzate per la raccolta, appartenenti al Movimento dei Kibbutz hanno espresso shock ed accompagnano regolarmente i contadini di alcuni villaggi, nella stampa vi sono stati editoriali molto duri. Ma quel che è proibito ai coloni è permesso allo stato, all’IDF e all’Amministrazione Civile – agli alti livelli.

 

Machsom Watch, un altro gruppo dissidente israeliano, da tempo accompagna contadini nel nord della Cisgiordania nei difficili spostamenti verso i loro terreni, chiusi a chiave dietro il recinto di separazione, e in realtà confiscati. Le donne di Machsom Watch ottengono relazioni dai vari cancelli nel recinto. Lo stato ha promesso all’Alta Corte che avrebbe reso possibile ai contadini raggiungere questi campi. Così aveva promesso. Ma, per la maggior parte dell’anno, i cancelli sono aperti solo due volte alla settimana. La gente ha quindi rinunciato a tentare la coltivazione di ortaggi e di grano, che richiedono cure quotidiane, o a lasciar pascolare le pecore su prati incolti. Spesso i cancelli non si aprono all’ora prestabilita. Spesso i soldati non accettano i permessi degli abitanti, o, con pretesti vari, li confiscano. Le attiviste di Machsom Watch passano lunghe ore al telefono, cercando di raggiungere i posti di comando dell’esercito, per verificare perché un cancello non è stato aperto in orario, perché un permesso è stato confiscato, perché è stata respinta la richiesta di due donne essere autorizzate a lavorare i campi di famiglia.

 

Ora che è l’epoca del raccolto, i cancelli devono essere aperti quotidianamente, tre volte al giorno. Invece di diverse decine di permessi per ogni villaggio, se ne consegnano diverse centinaia. Tuttavia molti sono rifiutati, in modo arbitrario. Questo danno quotidiano ai palestinesi non raggiunge i titoli di testa.

 

L’establishment dell’occupazione israeliana impone costantemente varie forme di molestie ai palestinesi che lavorano nell’agricoltura, una delle basi dell’esistenza palestinese: la barriera di separazione, che dietro di sé rinchiude i campi di 42 villaggi; i recinti di sicurezza dei coloni, che non fanno che estendersi; la confisca di terreni per costruire le strade di svincolo e le vie di sicurezza; la distruzione dei pozzi; la chiusura di varie aree (compresa l’intera Valle del Giordano) a scopi militari; il chiudere le strade ai veicoli palestinesi; i posti di blocco ogni pochi chilometri; il deviare i camion che trasportano prodotti agricoli per strade lunghe e mal pavimentate; l’attesa in coda per ore e giorni agli attraversamenti israeliani; la chiusura dei passaggi di Gaza per mesi, rendendo così impossibile agli abitanti commerciare gli ortaggi; la scoraggiante burocrazia richiesta nelle basi dell’Amministrazione Civile onde ottenere un lasciapassare per raggiungere i propri campi – o per non ottenerlo affatto.

 

Tutte queste forme di attacco da parte dell’establishment, che appaiono sempre più deliberate, spiegano perché un numero sempre crescente di terreni agricoli palestinesi sembrano essere stati abbandonati, con la terra non arata e gli alberi con i frutti marci. Spiegano anche perché nei mercati palestinesi si trovano più prodotti agricoli israeliani che palestinesi, e perché così tanti contadini hanno necessità di involti di cibo.

 

 

(traduzione di Paola Canarutto)

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