A Gaza senza affetti: Samar, Salama e la politica israeliana di separazione

Samar Ibrahim è una delle migliaia di palestinesi colpiti dalla politica di separazione di Israele. (Foto: Aseel Mousa, The Palestine Chronicle).

Gaza-Palestine Chronicle. Di Aseel Mousa. “Sono da sola qui. Mi manca essere circondata dall’amore di mio marito e della mia famiglia. Il Ramadan è dietro l’angolo, non vedo l’ora di passarlo con loro”. Queste le parole di Samar Ibrahim, 28enne madre di tre figli.

Samar vive nella Striscia di Gaza mentre suo marito Salama vive nella Cisgiordania occupata. Samar è stanca di dover gestire da sola la responsabilità dei suoi figli, poiché Israele le impedisce di trasferirsi in Cisgiordania e vivere con suo marito.

“Mio marito, Salama Ibrahim, è originario della Cisgiordania. Ci siamo sposati nell’aprile 2012. Abbiamo chiesto di cambiare indirizzo nel 2011, dopo aver deciso di tornare in Cisgiordania e vivere con le nostre famiglie”.

Tuttavia, come migliaia di famiglie palestinesi miste di Gaza e Cisgiordania, Salama e Samar soffrono per la “politica di separazione” di Israele.

“Nell’agosto 2021, la domanda di Salama per cambiare l’indirizzo è stata approvata, ma la mia non ha ricevuto alcuna risposta positiva”, ha detto Samar al Palestine Chronicle.

Salama ha chiesto un permesso di uscita, così da poter attraversare il confine di Erez per ricongiungersi con la sua famiglia in Cisgiordania. Dopo 5 mesi, nel gennaio 2022 le autorità israeliane hanno rilasciato il suo permesso di uscita.

Il processo di cambio delle carte d’identità dei cittadini da Gaza alla Cisgiordania era relativamente più semplice prima della prima Intifada palestinese (rivolta), nel 1987.

Come parte della sua politica di separazione, negli anni ’90 Israele ha limitato la libertà di movimento dei palestinesi tra Gaza e la Cisgiordania, isolando completamente la Striscia di Gaza.

I palestinesi che vogliono spostarsi tra Gaza e la Cisgiordania devono passare attraverso il valico di Beit Hanoun (Erez) ottenendo un permesso di uscita dalle autorità israeliane. Tali permessi sono concessi solo in “circostanze umanitarie eccezionali”, come situazioni mediche critiche, personale di organizzazioni internazionali o studenti con borse di studio per studiare all’estero.

“Mio figlio più piccolo, Salameh, ha un anno e mezzo e non riconosce suo padre perché quando è partito aveva solo cinque mesi. Temo che possano passare mesi o anni senza che Salameh abbia la possibilità di conoscere suo padre”.

La mancanza di opportunità nella Striscia di Gaza e la crisi economica derivante dal lungo blocco israeliano costringono la popolazione di Gaza a cercare lavoro in Cisgiordania.

Secondo l’Ufficio centrale di statistica palestinese (PCBS), il tasso di disoccupazione a Gaza si è attestato al 44,1% nel secondo trimestre del 2022, rispetto al 13,8% in Cisgiordania.

“La sofferenza di vivere a Gaza aumenta di giorno in giorno, dovendo provvedere ai miei figli con i pochi soldi che ci manda mio marito. Lui non riesce a trovare un lavoro stabile e tutti i soldi che guadagna li usa in gran parte per pagarsi l’affitto”. È una lotta continua.

“Perdere la mia famiglia per sempre”.

La storia di Salam e Salama non è unica.

Saleem Hussien, un trentenne padre di tre figli, vive nella Striscia di Gaza, mentre la sua famiglia vive in Cisgiordania. Ha un disperato bisogno che le autorità israeliane approvino la sua richiesta di cambio di indirizzo, così da poter raggiungere la sua famiglia.

“Mia moglie Miassar e io ci siamo sposati nel giugno 2014 e abbiamo tre figli: Mohammed, 9 anni, Fatima, 8 e Sakher, 6. Nel 2011 mia suocera, che vive in Cisgiordania, ha presentato domanda di cambio d’indirizzo per mia moglie e anche la mia famiglia ha fatto lo stesso per me”, ha detto Saleem al Palestine Chronicle.

Il regime israeliano di apartheid vieta a centinaia di famiglie palestinesi la convivenza quando un coniuge viene dalla Cisgiordania e l’altro da Gaza. In questi casi le famiglie possono affrontare solo scelte difficili: vivere insieme a Gaza – sotto l’assedio israeliano, sopportare le difficoltà finanziarie ed essere separate dalla famiglia in Cisgiordania – o vivere separate, il che significa che i bambini cresceranno con solo uno dei loro genitori.

“Nell’agosto 2021, le autorità israeliane hanno approvato la domanda di mia moglie. Dopo aver presentato le domande per lei e i miei figli per ottenere i permessi di uscita, sono riusciti a lasciare la Striscia di Gaza il 14 aprile 2022, lasciandomi solo”, ha detto Saleem.

Secondo l’organizzazione israeliana per i diritti B’tselem, il numero di famiglie palestinesi colpite dalla politica israeliana è stimato in diverse migliaia.

Questa politica israeliana viola i diritti delle donne, dei bambini e degli uomini palestinesi, che sono costretti a vivere separati dalle loro famiglie.

Israele li costringe a vivere una vita di solitudine, mentre le loro famiglie vivono separate da un’arbitraria barriera di confine. Israele nega loro la libertà di vivere una vita normale.

“Israele mi ha privato di mia madre per 20 anni e ora mi ha privato di mia moglie e dei miei figli. Mi siedo ogni notte a parlare con le loro foto”, ha detto Saleem.

“Il mio figlio più giovane Sakher non mi conosce bene e i suoi fratelli, al telefono, mi accusano per non essere con loro”.

Saleem lavorava come elettricista, ma ora non ha lavoro a causa delle dure condizioni finanziarie a Gaza. Riesce a malapena a mandare a sua moglie pochi soldi per lei e per i loro figli.

Anche se Israele afferma di non avere alcuna responsabilità nei confronti della popolazione di Gaza dopo aver attuato il cosiddetto Piano di Disimpegno nel 2005, in realtà controlla ancora innumerevoli aspetti della loro vita: la loro situazione economica, la loro istruzione, la loro salute e le loro strette relazioni con i coniugi, genitori e altri parenti.

Per alcuni la situazione è più difficile di altri. Saleem, ad esempio, soffre di malattie renali e le sue condizioni di salute si stanno rapidamente deteriorando.

“Ho bisogno della mia famiglia con me. Ho bisogno di stare con loro. Questo mi aiuterà psicologicamente”, ha detto Saleem.

“Non vedo l’ora di riunirmi alla mia famiglia. Ho sofferto per molti anni a causa di questa situazione. Non ho partecipato al matrimonio di mia sorella, che si è tenuto in Cisgiordania, perché le autorità israeliane hanno respinto la mia domanda di permesso di uscita. Ora, ho il terrore di poter perdere la mia famiglia per sempre, e perderla significa perdere tutta la mia vita”.

“Come un orfano”.

Odai Salem, 23 anni, vive da solo dopo che la sua famiglia ha ricevuto l’approvazione dalle autorità israeliane per cambiare indirizzo e vivere in Cisgiordania.

“Vivo a casa di mia zia, ma mi sento ancora solo. Ho bisogno di mia madre, mio padre e i miei fratelli. Non vedo mio padre dal 2012″, ci dice Odai.

Nel 2012 il padre di Odai ha lasciato Gaza per lavorare nell’edilizia e vivere in Cisgiordania, a circa 80 chilometri di distanza. Pensava che gli ci sarebbero voluti alcuni giorni per fare in modo che la sua famiglia da Gaza si unisse a lui in Cisgiordania. Si era sbagliato. Sette anni dopo, la famiglia attende ancora il ricongiungimento.

“Nel gennaio 2021 mia madre e i miei fratelli hanno ottenuto l’approvazione da Israele per cambiare il loro indirizzo, quindi si sono trasferiti per ricongiungersi con mio padre, ma io non ho potuto accompagnarli perché le autorità israeliane mi hanno impedito di cambiare indirizzo”, ha detto Odai al Palestine Chronicle.

Odai non ha potuto studiare all’università, perché non ha fonti di reddito. Suo padre riesce a malapena a coprire le spese della famiglia in Cisgiordania e può mandargli solo pochi soldi.

“È insopportabile! Mi sento un orfano senza i miei genitori. Non so quanti anni passeranno senza la mia famiglia”.

Traduzione per InfoPal di Stefano Di Felice