Attivista non-violento accusato d'incitamento dalla corte israeliana.

Agenzie. Una corte militare israeliana ha accusato martedì il pacifista palestinese Abdullah Abu Rahmah d'incitamento alla violenza, annullando la precedente accusa relativa al “lancio di pietre”. Gli altri attivisti hanno definito il verdetto un attacco diretto al movimento non-violento in Palestina. 

Abu Rahmah, coordinatore del Comitato popolare contro il Muro e gli insediamenti del villaggio di Bil'in (provincia di Ramallah), era stato arrestato nove mesi fa nel corso delle indagini sul suo conto. La sentenza definitiva verrà pronunciata entro il mese prossimo, e fonti locali ritengono probabile una condanna a due anni di carcere.

Il verdetto di Abu Rahmah è stato letto in un'aula affollata del tribunale militare, al termine di un processo-show durato otto mesi e mosso da interessi politici. Oltre agli amici dell'attivista, a seguire il processo erano presenti diplomatici provenienti da Ue, Francia, Malta, Germania, Spagna e Regno Unito.

Grande preoccupazione per il verdetto è stata espressa da Catherine Ashton, ministro dell'Unione Europea per gli Affari esteri e la sicurezza, che nella stessa giornata di martedì ha dichiarato: “L'Unione europea considera Abdullah Abu Rahmah un Difensore dei diritti umani, impegnato in proteste non-violente contro il tracciato della barriera di separazione israeliana che attraversa il suo villaggio”.

Il ministro ha inoltre affermato di temere che “l'eventuale imprigionamento di Abu Rahmah sia inteso a impedire a lui e ad altri palestinesi di esercitare il legittimo diritto di protestare contro l'esistenza delle barriere di separazione, in maniera non-violenta”.

Anche l'Unione Europea considera illegale il percorso del Muro, come ha ricordato l'alto responsabile, che ha infatti sottolineato come l'organizzazione sovranazionale abbia assistito a tutte le sedute del processo di Abu Rahmah tramite i propri rappresentanti. 

In quanto membro del Comitato popolare e suo coordinatore da quando venne formato nel 2004, il pacifista palestinese ha rappresentato il villaggio di Bil'in in tutto il mondo. Nel giugno dell'anno scorso, era a Montreal per una causa legale intentata contro due compagnie canadesi che costruivano insediamenti illegali sulle terre di Bil'in; nel dicembre del 2008 partecipò a un tour di conferenze in Francia, e il 10 di quel mese – esattamente un anno prima dell'arresto – ricevette la Medaglia Carl Von Ossietzky per il Sostegno eccezionale alla realizzazione dei diritti umani fondamentali, assegnata dalla Lega internazionale per i diritti umani di Berlino.

Secondo il verdetto, Abu Rahmah raccolse lacrimogeni e bozzoli di proiettili sparati dall'esercito israeliano, con l'intenzione di esibirli per mostrare le violenze commesse ai danni dei dimostranti. I suoi sostenitori, invece, affermano che quest'accusa è un chiaro esempio della tendenza degli accusatori dei tribunali militari a fare uso delle procedure legali per far tacere il dissenso che si manifesta senza armi.

Ad ogni modo, il tribunale ha considerato l'attivista colpevole di aver infranto due degli articoli più draconiani con i quali la legislazione militare si oppone alla libertà di parola: l'incitamento alla violenza e l'organizzazione di manifestazioni illegali – o la partecipazione a queste. Nell'esprimere il verdetto, la corte si è però basata solo sulle testimonianze di minori arrestati nel cuore della notte e privati del diritto ad avere un avvocato, e questo pur riconoscendo irregolarità significative nello svolgimento degli interrogatori.

La stessa corte si è mostrata anche indifferente al fatto che l'accusa non abbia fornito alcuna prova concreta che implicasse Abu Rahmah, e che nessun video sia stato presentato come testimonianza, nonostante tutte le dimostrazioni di Bil'in vengano regolarmente filmate dall'esercito.

Secondo la legge militare, l'incitazione viene definita come “il tentativo, verbale o di altro genere, d'influenzare la pubblica opinione nell'area, in un modo che potrebbe disturbare la tranquillità o l'ordine pubblici” (sezione 7(a) dell'Ordine riguardante la proibizione di attività d'incitamento e della propaganda ostile (no.101), 1967), e comporta fino a 10 anni di galera.

Il caso di Abu Rahmah è il primo dall'inizio degli anni '90 nel quale gli accusatori israeliani sfruttano una clausola poco conosciuta delle norme militari, ai danni di un raduno non-violento in Cisgiordania. La legge militare definisce il concetto di “raduno illegale” in modo molto più rigido della legge civile israeliana, vietando di fatto qualsiasi raggruppamento di più di dieci persone senza il permesso del comando militare.

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