Caos sempre più grave: l’instabilità politica di Israele è divenuta ormai la norma

Palestine Chronicle. Di Ramzy Baroud. Il crollo del brevissimo governo israeliano di Naftali Bennett e Yair Lapid convalida la tesi secondo cui la crisi politica in Israele non è stata istigata e supportata solamente dall’ex primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu.

Il governo di coalizione di Bennett era composto da otto partiti, unendo insieme probabilmente una delle coalizioni più strane di tutta la tumultuosa storia della politica israeliana. L’accozzaglia di governo comprendeva gruppi di estrema destra e destra moderata come Yamina, Yisrael Beiteinu e Nuova Speranza, insieme ai centristi Yesh Atid e Blue and White, al partito di sinistra Meretz e persino ad un partito arabo, la Lista Araba Unita (Ra’am). La coalizione comprendeva anche rappresentanti del Partito Laburista, che un tempo dominava il campo politico israeliano, ora quasi del tutto irrilevante.

Quando la coalizione si è formata, nel giugno 2021, Bennett è stato celebrato come una sorta di messia politico, pronto a liberare Israele dalla morsa dell’ostinato, egoista e corrotto Netanyahu.

La fiducia nel governo di Bennett, tuttavia, era mal riposta. Il politico milionario era un pupillo di Netanyahu e, in molte occasioni, è apparso ancora più a destra del leader del partito Likud su varie questioni. Nel 2013, Bennett ha dichiarato con orgoglio: “Ho ucciso molti arabi nella mia vita – e non c’è alcun problema in questo”. Nel 2014, è stato molto critico nei confronti di Netanyahu per non aver raggiunto gli obiettivi di Israele in una delle guerre più letali contro Gaza assediata. Inoltre, il sostegno principale di Bennett proviene dall’elettorato più estremo della destra di Israele.

Molti hanno voluto ignorare tutto questo, nella speranza che Bennett riuscisse a spodestare il suo ex capo. Questa possibilità è sembrata concretizzarsi quando Netanyahu è stato ufficialmente incriminato, nel novembre 2019, per molteplici e gravi accuse di corruzione.

Quando il governo di Bennett e Lapid ha effettuato il giuramento ufficiale, il 13 giugno 2021, sembrava che fosse iniziata una nuova era nella politica israeliana. Era sembrato che gli schieramenti politici israeliani avessero finalmente trovato un denominatore comune. Netanyahu, nel frattempo, era esiliato nei ranghi dell’opposizione. Le notizie al suo riguardo sono iniziate a scemare, soprattutto quando ha toccato il fondo col processo per corruzione in corso.

Anche se alcuni analisti continuano ad attribuire a Netanyahu la responsabilità delle varie crisi subite dalla coalizione di Bennett – ad esempio, quando Idit Silman si è dimessa, il 6 aprile, lasciando la coalizione di governo con soli 60 seggi alla Knesset. Ma finora vi sono soltanto poche prove di ciò. Il breve governo israeliano è crollato sotto il peso delle sue stesse contraddizioni.

Le azioni dell’esecutivo che ha governato Israele tra il giugno 2021 e il giugno 2022 avrebbero avuto esito diverso se Netanyahu fosse stato ancora il primo ministro israeliano? Assolutamente no. Gli insediamenti ebraici illegali continuano ad aumentare senza ostacoli; le demolizioni di case, l’espropriazione delle comunità palestinesi in Cisgiordania e nella Gerusalemme occupata e le varie aggressioni israeliane contro i vicini Stati arabi, divenute ormai routine, sono rimasti invariati.

Secondo i dati delle Nazioni Unite, tra giugno 2021 e maggio 2022, in Cisgiordania sono stati uccisi 79 Palestinesi dall’esercito israeliano. La regione di Masafer Yatta, un’area di 36 km quadrati situata sulle colline meridionali di Hebron, è stata designata per l’annessione totale dall’esercito israeliano. L’espulsione dall’area dei 1.200 residenti palestinesi è già iniziata.

Per quanto riguarda la Gerusalemme occupata, in particolare nel caso della cosiddetta Marcia delle Bandiere, Bennett si è dimostrato ancora più estremo di Netanyahu. Bernard Avishai scrive sul New Yorker che, nel 2021, “il governo di Netanyahu ha cambiato il percorso della marcia allontanandolo dalla Porta di Damasco per ridurre al minimo le possibilità di violenza”, mentre il “governo del cambiamento” – un riferimento alla coalizione di Bennett – “ha ripristinato il percorso e ha persino permesso ad oltre duemila attivisti nazional-ortodossi, tra cui il membro estremista della Knesset Itamar Ben-Gvir”, di condurre le loro provocatorie visite presso Haram Al-Sharif, uno dei siti più sacri per l’Islam.

Questo non vuol dire che un ritorno di Netanyahu, dopo le elezioni di novembre – le quinte elezioni generali in Israele in meno di quattro anni – sarebbe un cambiamento gradito. Al contrario, l’esperienza ha dimostrato che, a prescindere da chi governerà Israele, l’atteggiamento politico del Paese, soprattutto nei confronti dei Palestinesi, rimarrà molto probabilmente invariato.

È vero che la politica israeliana è notoriamente instabile. Questa instabilità, tuttavia, è peggiorata negli ultimi decenni. Dal 1996, la media dei governi israeliani non ha superato i 2,6 anni. Ma dall’aprile 2019, la media si è drasticamente ridotta a meno di un anno per governo. Da tempo si sostiene che la colpa sia dell’atteggiamento dominante e polarizzante di Netanyahu. L’ultimo anno, tuttavia, ha dimostrato che Netanyahu era un mero sintomo del malessere politico preesistente di Israele.

Alcuni analisti israeliani suggeriscono che la crisi politica di Israele potrà terminare solo quando il Paese approverà riforme elettorali e costituzionali. Questo, tuttavia, sarebbe un rimedio superficiale; dopo tutto, molte delle leggi parlamentari ed elettorali israeliane sono in vigore da molti anni, da quando cioè i governi erano relativamente stabili.

Perché Israele cambi, un linguaggio di pace e riconciliazione dovrebbe sostituire l’attuale atmosfera di incitamento e guerra. I politici israeliani, che attualmente fomentano l’incendio, si contendono le posizioni e si nutrono dei canti violenti dei loro sostenitori, dovrebbero trasformarsi in qualcosa di completamente diverso, cosa quasi impossibile nell’attuale atmosfera di odio che regna in tutto il Paese.

È probabile che le crisi politiche di Israele continueranno ad incombere; le coalizioni verranno assemblate, per poi crollare subito dopo; i politici continueranno a spostarsi a destra anche se si dichiarano membri di altri partiti ideologici. L’instabilità politica di Israele è ormai la norma, non l’eccezione.

In un’intervista rilasciata alla CNN, Yohanan Plesner, ex membro della Knesset, ha affermato che il problema è la necessità di “riforme elettorali e costituzionali, come ad esempio far dipendere ogni tentativo di avviare elezioni anticipate dalla maggioranza dei due terzi in parlamento e modificare l’attuale legge che richiede nuove elezioni quando un bilancio non viene approvato.

Ciò che gli israeliani si rifiutano di affrontare è il fatto che i governi basati su circoscrizioni di destra, estrema destra ed estremismo sono intrinsecamente instabili. Anche se alla guida del governo si trovasse un primo ministro apparentemente centrista o addirittura di sinistra, i risultati non cambieranno fino a quando la Knesset – di fatto, la maggior parte del Paese – sarà governata da una mentalità militarista, sciovinista e coloniale.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi