Il momento della resa dei conti in Palestina: la pericolosa decisione di Abbas di “rinviare” le elezioni

Palestinechronicle.com. Di Ramzy Baroud. La decisione presa il 30 aprile dal presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, di “rinviare” le elezioni palestinesi, che sarebbero state le prime dopo 15 anni, aggraverà la divisone tra i Palestinesi e potrebbe, potenzialmente, determinare il crollo del movimento di Fatah, almeno nella sua forma attuale.

A differenza delle ultime elezioni parlamentari palestinesi del 2006, questa volta il grande evento non è stato rappresentato dalla rivalità Fatah-Hamas. Negli ultimi mesi, molti cicli di colloqui tra i rappresentanti dei due maggiori partiti politici palestinesi avevano già risolto gran parte dei dettagli riguardanti le elezioni ormai annullate, che dovevano iniziare il 22 maggio.

Sia Fatah che Hamas avevano tutto da guadagnare dalle elezioni; il primo apprezzando l’opportunità di ripristinare la sua legittimità, ormai dissipata da molto tempo, in quanto ha governato sui Palestinesi occupati, attraverso il dominio dell’Autorità Palestinese, senza alcun mandato democratico; Hamas, d’altro canto, cercava disperatamente di uscire dal suo lungo e doloroso isolamento, dovuto all’assedio israeliano su Gaza, che, ironicamente è il risultato della sua vittoria alle elezioni del 2006.

Non sono state nemmeno le pressioni israeliane e americane a spingere Abbas a tradire la volontà collettiva di un’intera nazione. Le pressioni provenienti da Tel Aviv e Washington sono state concrete ed ampiamente anticipate, ma erano anche prevedibili. Per di più, Abbas avrebbe potuto aggirarle facilmente in quanto il suo decreto elettorale, annunciato lo scorso gennaio, è stato accolto favorevolmente dai Palestinesi ed elogiato da gran parte della comunità internazionale.

La decisione di Abbas, sfortunata ma francamente attesa, è stata giustificata dal leader 86enne come una scelta obbligata dal rifiuto israeliano di consentire ai Palestinesi di Gerusalemme di partecipare alle elezioni. La spiegazione di Abbas, tuttavia, è una mera foglia di fico volta a mascherare la sua paura di perdere il potere contro il solito accanimento di Israele. Ma da quando sono le persone occupate a dover implorare i loro occupanti per poter esercitare i loro diritti democratici? Da quando i Palestinesi hanno dovuto chiedere il permesso ad Israele per affermare una qualsiasi forma di sovranità politica nella Gerusalemme est occupata?

In verità, la battaglia per i diritti dei Palestinesi a Gerusalemme si svolge tutti i giorni, quotidianamente, nei vicoli della città prigioniera. Gli abitanti di Gerusalemme sono presi di mira in ogni aspetto della loro esistenza, poiché le restrizioni israeliane rendono quasi impossibile per loro vivere una vita normale, né per costruire, lavorare, studiare e viaggiare, né tanto meno per sposarsi e pregare. Pertanto sarebbe stato sconvolgente se Abbas fosse stato veramente sincero nell’attendersi che le autorità israeliane consentissero ai Palestinesi della città occupata di accedere facilmente ai seggi elettorali e di esercitare i loro diritti politici, mentre quelle stesse autorità si adoperano per cancellare ogni parvenza di vita politica palestinese, anche la loro semplice presenza fisica, a Gerusalemme.

La verità è che Abbas ha annullato le elezioni perché tutti i sondaggi di opinione credibili hanno mostrato che il voto di maggio avrebbe decimato la cricca al potere del suo partito Fatah e avrebbe inaugurato un panorama politico completamente nuovo, quello in cui i suoi rivali di Fatah, Marwan Barghouti e Nasser al-Qudwa, sarebbero emersi come i nuovi leader di Fatah. Se si fosse verificato questo scenario, un’intera classe di milionari palestinesi che ha trasformato la lotta palestinese in un’industria redditizia, generosamente finanziata dai “paesi donatori”, rischierebbe di perdere tutto, a favore di territori politicamente inesplorati, controllati da un prigioniero palestinese, Marwan Barghouti, dalla sua cella di un carcere israeliano.

E cosa ancor peggiore per Abbas, Barghouti avrebbe potuto diventare potenzialmente il nuovo presidente palestinese, poiché ci si aspettava che partecipasse anche alle elezioni presidenziali di luglio. Male per Abbas, ma bene per i Palestinesi, in quanto la presidenza di Barghouti si sarebbe rivelata cruciale per l’unità nazionale palestinese e persino per la solidarietà internazionale. Un presidente palestinese imprigionato sarebbe stato un disastro per le pubbliche relazioni di Israele. Allo stesso modo, la diplomazia americana di basso profilo col Segretario di Stato Antony Blinken avrebbe dovuto affrontare una sfida senza precedenti: come avrebbe potuto Washington continuare a predicare un “processo di pace” tra Israele e i Palestinesi quando il presidente di questi ultimi langue in isolamento, come accade dal 2002?

Annullando di fatto le elezioni, Abbas, i suoi benefattori e sostenitori sperano di ritardare ancora per un po’ la resa dei conti all’interno del movimento di Fatah – di fatto, all’interno del corpo politico palestinese nel suo complesso. Tuttavia, la decisione avrà probabilmente ripercussioni molto più gravi su Fatah e sulla politica palestinese che se si fossero svolte le elezioni. Perché?

Dal decreto elettorale di Abbas dell’inizio di quest’anno, 36 liste si sono registrate presso la Commissione elettorale centrale palestinese. Mentre i partiti islamisti e socialisti si preparavano a partecipare con liste unificate, Fatah si è praticamente disintegrata. Oltre alla lista ufficiale di Fatah, vicina ad Abbas, altre due liste non ufficiali, “Libertà” e “Futuro”, hanno pianificato di competere nelle elezioni. Vari sondaggi hanno mostrato che la lista “Libertà”, guidata dal nipote del defunto leader palestinese Yasser Arafat, Nasser al-Qudwa, e dalla moglie di Marwan Barghouti, Fadwa, si stava avviando verso un ribaltamento elettorale, ed era sulla buona strada per spodestare Abbas e la sua ridimensionata, ma sempre influente, cerchia.

Eppure, niente di tutto questo è destinato a scomparire solo perché Abbas ha rinnegato il suo impegno a ripristinare una parvenza di democrazia palestinese. Una classe politica completamente nuova si sta ora ridefinendo in Palestina, attraverso la sua fedeltà a varie liste, partiti e leader. La massa dei sostenitori di Fatah, mentalmente pronti a distaccarsi dal dominio di Abbas, non cederà facilmente, solo perché l’anziano leader ha cambiato idea. Infatti, in tutta la Palestina, attualmente è in corso una discussione, impossibile da contenere e senza precedenti, sulla democrazia, la rappresentanza e la necessità di continuare oltre Abbas e oltre la sua politica disordinata ed egoista. Per la prima volta in molti anni, la conversazione non è più limitata ad Hamas contro Fatah, Ramallah contro Gaza o altre mortificanti classificazioni. Questo è un grande passo nella giusta direzione.

A questo punto, non c’è niente che Abbas possa dire o fare per ripristinare la fiducia del popolo nella sua autorità. Probabilmente, non ha mai avuto la loro fiducia in primo luogo. Annullando le elezioni ha oltrepassato una linea rossa che non avrebbe mai dovuto essere superata, ponendo così se stesso e pochi altri intorno a sé come nemici del popolo palestinese, delle sue aspirazioni democratiche e della sua speranza in un futuro migliore.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi