Il Palestinian Return Centre e i 60 anni dell’UNRWA: una dura speranza per i rifugiati’.

Londra. Dal nostro inviato Jacopo Falchetta.

“Il Palestinian Return Centre e i 60 anni dell'UNRWA: una dura speranza per i rifugiati”.

“Non esiste nessuna norma a sostegno del diritto al ritorno”. Con questa frase, la professoressa Anicee Van Engeland, docente al Dipartimento di studi giuridici presso l'European University Institute, ha riassunto l’assenza di un contributo convinto alla causa palestinese da parte della comunità internazionale, che, con la iper-citata Risoluzione ONU 194, ormai 60enne, ha finora saputo soltanto emettere un decreto dal valore consultivo sulla questione dei profughi, mai reso applicativo.

E proprio contro questo disarmante silenzio si sono espressi, uno ad uno, tutti i relatori presenti lo scorso 16 dicembre al Congress Centre di Great Russell Street, Londra, in una conferenza organizzata dal Palestinian Return Centre (PRC) che ha celebrato i 60 anni non solo della suddetta risoluzione, ma anche e soprattutto dell’UNRWA, l’agenzia che, fondata subito dopo l’emissione della 194, ha dedicato per sei decenni il proprio operato a favore dello sviluppo umano dei rifugiati espulsi dai Territori Occupati e sparsi in tutto il mondo, soprattutto in Siria, Libano, Giordania, Cisgiordania e Striscia di Gaza.

Tra i presenti, diversi esperti delle varie discipline ed attivisti e ricercatori per e sulla causa palestinese – primo fra tutti lo scienziato politico ebreo Norman Finkelstein, autore di diversi trattati contro le mistificazioni ideologiche israeliane – , ma soprattutto alcuni parlamentari britannici che hanno fatto della questione dei profughi oggetto del loro impegno politico.

Due di loro in particolare, Jeremy Corbin e la baronessa Jenny Tonge, insieme ad alcuni attivisti pro-Palestina provenienti dal mondo arabo e a due membri dell’Unrwa, hanno fornito la loro testimonianza di membri della delegazione parlamentare inviata dal Prc in Siria lo scorso mese di novembre, allo scopo di visitare i campi profughi palestinesi allestiti in territorio siriano. Sensibilizzare gli animi è uno degli obiettivi di queste iniziative, e, com’è emerso chiaramente dalle parole dei relatori, è stato pienamente raggiunto: nonostante gli apprezzamenti espressi da tutti nei confronti del governo siriano per l’accoglienza riservata ai profughi palestinesi (nessun altro paese arabo è stato finora in grado di riservarne una simile), è stata unanime la denuncia delle condizioni di umiliazione e di inerzia nelle quali sono abbandonati gli abitanti delle modeste infrastrutture erette nel mezzo del nulla, altrimenti chiamate “campi”. Secondo ricerche svolte sia in Libano che in Siria ed esposte rispettivamente dai rappresentanti della “Organizzazione libanese per il diritto al ritorno” e   della “Comunità palestinese in Siria per il ritorno”, è inoltre chiara nelle parole dei rifugiati l’insoddisfazione per i servizi forniti dall’Unrwa, che pure viene ritenuta utile e imprenscindibile nel futuro dei palestinesi in esilio.

Che le critiche siano dovute al cronico deficit della stessa Unrwa è noto, così com’è noto che la ragione della mancanza di fondi sia l’insufficiente popolarità che gode l’Agenzia per i rifugiati palestinesi in ambito internazionale, specialmente negli altri paesi arabi (che in qualità di donatori contribuiscono solo in minima parte al suo budget, come ha denunciato a gran voce Manuel Hassassian, ambasciatore palestinese nel Regno Unito). Che l’Unione Europea si trovi invece ai primi posti nei finanziamenti all’Unrwa non è tuttavia motivo di vanto, secondo la parlmantare Claire Short, altro politico britannico profondamente coinvolto in numerose iniziative pro-Palestina: la colpa dell’Europa, ha dichiarato la parlamentare, non è solo quella di “non sostenere i diritti” dei palestinesi e limitarsi a continuare a “pagare” soldi per il mantenimento dei rifugiati, ma è soprattutto quella di essere in “collusione” con Israele, insieme a Usa e Gran Bretagna. Come ha inoltre evidenziato più avanti Short, il mercato israeliano non cessa di penetrare nel Vecchio Continente, e la Ue viene così meno ad uno dei suoi principi-base, ovvero i diritti umani come priorità assoluta del suo operato.

Un forte clima di denuncia ha quindi pervaso tutta la giornata, in particolare le sessioni mattutine, che hanno visto in particolare un resoconto della storia della Nakba e della pulizia etnica israeliana da parte dello studioso palestinese Salman Abu Sitta (che visse il trauma del suo popolo all’età di 10 anni) e della tagliente messa allo scoperto delle contraddizioni d’Israele da parte del già citato Norman Finkelstein, che ha puntato a smontare una ad una le giustificazioni portate dallo stato sionista intorno alla recente offensiva contro Gaza.

Da segnalare è anche la partecipazione del ministro britannico per lo Sviluppo internazionale, Mike Foster, che ha espresso la propria ammirazione per “l’impegno e la compassione” che l’Unrwa ha mostrato nella sua attività sessantennale. Un simile elogio non è tuttavia bastato a risparmiargli le critiche di una parte del pubblico, che durante lo spazio concesso per le domande ha incalzato il ministro interrogandolo sul reale impegno dell’esecutivo britannico nella questione dei profughi. Inutile descrivere l’esplosione delle grida di contestazione alla laconica risposta di Foster, che si è limitato ad assicurare che il governo Brown non cessa di contattare la parte israeliana, ingiungendole di rispettare gli accordi internazionali.

Ad alimentare le proteste hanno certamente contribuito le notizie giunte quella stessa mattina sulla solidarietà espressa a Israele dallo stesso governo, che ha preso le distanze dalla decisione di una corte britannica di mettere agli arresti il leader dell’opposizione israeliana ed ex ministro degli esteri Tzipi Livni, con l’accusa di aver commesso crimini di guerra nel condurre l’operazione Piombo Fuso contro la Striscia di Gaza circa un anno fa. Espressioni di sdegno sono giunte in particolare dalla baronessa Tonge.

La strada è dunque ancora lunga, e lo sanno bene sia il Prc, che non cessa di organizzare iniziative a favore della comunità palestinese sfrattata dalla sua terra natale (dal 13/1 al 19/1 verrà proclamata una Settimana per la memoria delle vittime palestinesi, come ha annunciato il direttore generale del Prc Majed Elzir), sia le centinaia di migliaia di rifugiati che attendono un segno dalle mute istituzioni internazionali. Ad incoraggiarli restano gli aiuti umanitari e le incessanti campagne d’informazione – tra le quali la conferenza del 16 dicembre è solo una delle tante iniziative – e le parole pronunciate dalla parlamentare Short: “I palestinesi vinceranno, perché non si può fare tutto questo a un popolo; ma gli anni a venire saranno duri”.

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