Il prigioniero Akram ar-Rikhawi, in gravi condizioni di salute, continua a scioperare oltre il 92° giorno

Il prigioniero Akram ar-Rikhawi, in gravi condizioni di salute, continua a scioperare oltre il 92° giorno

Rafah – Quds Press.

Di Hala al-Hasanaat

Jasmine ar-Rikhawi fa sentire la sua voce, e lo fa solo per amore del padre Akram, al 92° giorno di sciopero della fame in una prigione israeliana. Le sue condizioni di salute si aggravano di ora in ora.

L’uomo, 40enne, è al centro delle preoccupazioni della sua famiglia perché, da adesso, è a rischio di morte. Anche Akram sta segnando un altro record nella storia degli scioperi della fame tra i detenuti palestinesi.

Il detenuto si trova in un letto della prigione di Ramle, non può muoversi e, come accade nei casi più gravi, le autorità carcerarie israeliane stanno dimostrando indifferenza per lui come per tutti i detenuti palestinesi che si spengono nei letti dei suoi penitenziari.

Il ricordo dell’arresto. Ar-Rikhawi è sposato e ha 8 figli: 5 femmine e 3 maschi.
Yasmin oggi ha 26 anni e racconta il giorno dell’arresto del padre: “Era il 6 luglio 2004 quando mio padre fu bloccato ad Abu Huli, posto di blocco di collegamento tra il sud e il centro di Gaza. Gaza era ancora occupata dagli insediamenti israeliani. Israele lo condannò a 10 anni di carcere e, ad oggi, ne ha scontati otto. All’epoca avevo 18 anni e, da allora, non ho smesso di sognare di poterlo riabbracciare”.

Divieto di visita. Come il resto dei familiari dei detenuti di Gaza, anche ad ar-Rikhawi Israele vieta di ricevere le visite. Il divieto è stato sollevato dal 2006 e fu pensato come punzione collettiva per il sequestro dell’allora caporale israeliano Gil’ad Shalit.

“Cos’è se non la negazione di un dirittto fondamentale?”, si chiede Yasmin, oggi più ansiosa che mai perché Akram, in sciopero da oltre 3 mesi, di recente ha anche avuto un ictus.

La malattia del padre. “Prima dell’arresto mio padre aveva sofferto di un dolore acuto al petto poi, in seguito all’arresto, continuò a stare male e fu portato all’ospedale della prigione di Ramle, ma lì il personale israeliano si è sempre rifiutato di fargli le iniezioni che già faceva prima dell’arresto”.

La negligenza medica sul problema di Akram insieme alla noncuranza israeliana su altri problemi di salute del detenuto, ne hanno peggiorato le condizioni, facendolo diventare sofferente cronico. Da quando è in detenzione israeliana, infatti, Akram è diventato diabetico e ha seri problemi di osteoporosi.

“Per le ripercussioni psicologiche che mio padre ha subito in detenzione dagli israeliani, invece, le autorità carcerarie gli hanno somministrato fino a 29 farmaci al giorno. Prima dell’arresto mio padre pesava 70 Kg, ora pare sia arrivato a pesare 40 Kg. Praticamente vive su una sedia a rotelle”.

Ma ar-Rikhawi non sospende lo sciopero. Yasmin si dice sicura che, nonostate tutto, il padre sarà forte e non sospenderà lo sciopero come gli chiede di fare l’amministrazione carceraria israeliana.

Similmente a quanto avevano dichiarato risoluti molti altri detenuti nelle condizioni di Akram, giunto a questo punto, anche per lui vale il motto “libertà o martirio”.

Verso la fine dell’intervista, Ysmine confida un particolare di Akram. Il detenuto palestinese ama scrivere. “So che mio padre scriveva molto sulla condizione dei prigionieri, in particolare di quelli sofferenti e malati. Aveva scritto della sua esperienza nell’ospedale e della negligenza medica. Per questo Israele lo aveva punito, spedendolo in detenzione in isolamento”.

Per mettere in salvo la vita del padre, la ragazza si rivolge alla leadership dei prigionieri che avevano raggiunto un accordo con Israele alla presenza dell’ambasciatore egiziano. Il suo appello è indirizzato pure alle organizzazioni per i Diritti Umani.

Il silenzio dei mass media. A tutte le parti palestinesi Yasmine chiede impegno e pubblicizzazione del caso del padre. “Mi preoccupa molto l’inadeguatezza della copertura mediatica sul caso di mio padre. Essa non è proporzionale alla gravità del suo caso, né di tutti i prigionieri malati. Chiedo ai mezzi dell’informazione di porla invece in testa alle priorità e di fare luce su quanto accade realmente dietro le sbarre delle prigioni di Israele”.