The Gray Zone . Di Max Blumenthal (traduzione di La Luce).
Il 7 ottobre l’esercito israeliano ha ricevuto l’ordine di bombardare le case israeliane e persino le proprie basi mentre veniva sopraffatto dai militanti di Hamas. Quanti cittadini israeliani che si dice siano stati “bruciati vivi” sono in realtà stati uccisi dal fuoco amico?
Molte nuove dichiarazioni rilasciate dai testimoni israeliani dell’attacco a sorpresa di Hamas del 7 ottobre, nel sud di Israele, si aggiungono alle numerose prove secondo le quali l’esercito israeliano avrebbe ucciso i propri cittadini mentre combatteva per neutralizzare gli uomini armati palestinesi.
Tuval Escapa, membro del team addetto alla sicurezza del kibbutz Be’eri, ha istituito una linea diretta per coordinare i residenti del kibbutz con l’esercito israeliano. Ha dichiarato al quotidiano israeliano Haaretz che, quando la disperazione ha iniziato a farsi sentire, “i comandanti sul campo hanno preso decisioni difficili, tra cui quella di bombardare le case con all’interno i loro occupanti per eliminare sia i terroristi che gli ostaggi”.
Un rapporto indipendente pubblicato su Haaretz ha rivelato che l’esercito israeliano è stato “costretto a richiedere un attacco aereo” contro la propria struttura che si trova all’interno del valico di Erez, a Gaza, “al fine di respingere i terroristi” che ne avevano preso il controllo. In quel momento la base era piena di ufficiali e soldati dell’amministrazione civile israeliana.
Questi rapporti indicano che dal comando supremo dell’esercito è arrivato l’ordine di attaccare case e altre zone all’interno di Israele, anche a costo di perdere molte vite israeliane.
Una donna israeliana, Yasmin Porat, ha confermato in un’intervista rilasciata ad Israel Radio che l’esercito ha “senza alcun dubbio” ucciso numerosi non-combattenti israeliani durante gli scontri a fuoco con i militanti di Hamas, il 7 ottobre. “Hanno eliminato tutti, compresi gli ostaggi”, ha dichiarato riferendosi alle forze speciali israeliane.
Come hanno riportato David Sheen e Ali Abunimah su Electronic Intifada, Porat ha descritto un “fuoco incrociato molto, molto pesante” e i bombardamenti dei carri armati israeliani che hanno causato molte vittime tra gli israeliani.
Mentre era trattenuta dagli uomini armati di Hamas, Porat ha ricordato che “Non hanno abusato di noi. Siamo stati trattati in modo molto umano… Nessuno ci ha trattato con violenza”, aggiungendo che “L’obiettivo era di rapirci e portarci a Gaza, non di ucciderci”.
Secondo Haaretz, l’esercito è stato in grado di ripristinare il controllo su Be’eri soltanto dopo che ha ammesso di aver “bombardato” le case degli israeliani fatti prigionieri. “Il prezzo pagato è stato terribile: almeno 112 residenti di Be’eri sono stati uccisi”, racconta il giornale. “Altri sono stati rapiti. Ieri, 11 giorni dopo il massacro, i corpi di una madre e di suo figlio sono stati scoperti in una delle case distrutte. Si ritiene che altri corpi giacciano ancora tra le macerie”.
Gran parte dei bombardamenti a Be’eri sono stati effettuati dagli equipaggi dei carri armati israeliani. Come ha osservato un reporter dell’emittente i24, sponsorizzata dal Ministero degli Esteri israeliano, durante una visita a Be’eri, “piccole e pittoresche case [sono state] bombardate o distrutte” e “prati ben curati [sono stati] rovinati dai cingoli di un veicolo blindato, forse un carro armato”.
Il 7 ottobre anche gli elicotteri d’attacco Apache hanno avuto un ruolo importante nella risposta dell’esercito israeliano. I piloti hanno dichiarato ai media israeliani di essersi precipitati sul campo di battaglia senza aver raccolto alcuna informazione, incapaci di distinguere tra combattenti di Hamas e non-combattenti israeliani, eppure erano determinati a “svuotare la pancia” delle loro macchine da guerra. “Mi trovo nel dubbio, non so a chi sparare perché ce ne sono così tanti”, ha commentato il pilota di un Apache.
Un video girato da uomini armati di Hamas in uniforme mostra chiaramente che il 7 ottobre anche loro hanno sparato intenzionalmente contro molti israeliani usando fucili Kalashnikov. Tuttavia, il governo israeliano non si è accontentato di affidarsi a prove video verificate, ma ha invece continuato a far circolare dichiarazioni non confermate di “bambini decapitati” e a distribuire fotografie di “corpi bruciati irriconoscibili” per insistere sul fatto che i militanti avevano sadicamente immolato i loro prigionieri e persino violentato alcuni di loro prima di bruciarli vivi.
L’obiettivo del mostrare le atrocità di Tel Aviv è chiaro: dipingere Hamas come “peggiore dell’ISIS”, raccogliendo al contempo il sostegno per il continuo bombardamento della Striscia di Gaza da parte dell’esercito israeliano, che ha già provocato oltre 7.000 morti, tra cui almeno 2.500 bambini, al momento della pubblicazione. Mentre centinaia di bambini feriti a Gaza sono stati curati per quelle che un chirurgo ha descritto come “ustioni di quarto grado” causate da nuove armi, l’attenzione dei media occidentali rimane concentrata sui cittadini israeliani che apparentemente sono stati “bruciati vivi” il 7 ottobre.
Tuttavia, le prove sempre più evidenti degli ordini di fuoco amico impartiti dai comandanti dell’esercito israeliano suggeriscono fortemente che alcune delle immagini più sconvolgenti dei cadaveri israeliani carbonizzati, delle case israeliane ridotte in macerie e dei veicoli bruciati presentate ai media occidentali erano, in realtà, opera di equipaggi di carri armati e piloti di elicotteri che hanno inondato il territorio israeliano con granate, cannoni e missili Hellfire.
Sembra infatti che il 7 ottobre l’esercito israeliano abbia fatto ricorso alle stesse tattiche impiegate contro i civili a Gaza, facendo salire il bilancio delle vittime tra i propri cittadini con l’uso indiscriminato di armi pesanti.
Israele bombarda la sua stessa base, centro nevralgico dell’assedio di Gaza.
Hamas e il Jihad islamico palestinese (PIJ) hanno lanciato l’Operazione Al-Aqsa Flood alle 6 del mattino del 7 ottobre, travolgendo rapidamente le basi militari da cui Israele mantiene l’assedio alla Striscia di Gaza. Tra gli obiettivi principali delineati da Hamas e PIJ c’era il rilascio dei palestinesi imprigionati da Israele, tra cui 700 bambini e 1.117 palestinesi detenuti senza accuse (detenzione amministrativa).
Lo scambio dei detenuti avvenuto nel 2011 per Gilad Shalit, soldato israeliano catturato cinque anni prima e rilasciato in cambio di 1.027 prigionieri, ha fornito una chiara ispirazione per Al-Aqsa Flood. Assaltando basi militari e kibbutz, i militanti palestinesi miravano a catturare il maggior numero possibile di soldati e civili israeliani, portandoli vivi a Gaza.
L’assalto ha colto all’improvviso la divisione israeliana di stanza ai confini con Gaza. I video registrati dalle telecamere GoPro montate sui caschi dei combattenti palestinesi mostrano i soldati israeliani abbattuti in rapida successione, molti dei quali ancora in mutande e colti di sorpresa. Il 7 ottobre sono stati uccisi almeno 340 soldati attivi e ufficiali dell’intelligence, che rappresentano quasi il 50% delle morti israeliane confermate. Tra le vittime vi erano ufficiali di alto rango come il col. Jonathan Steinberg, comandante della Brigata Nahal di Israele. (Sono stati uccisi anche molti tra i primi che sono intervenuti e civili israeliani armati).
Il valico di Erez è sede di un’imponente struttura militare e del Coordinamento delle Attività Governative nei Territori Occupati (COGAT) che funge da centro nevralgico dell’assedio israeliano su Gaza. Quando il 7 ottobre la struttura è stata invasa dai combattenti palestinesi mentre all’interno vi erano schiere di burocrati dell’esercito, le forze armate israeliane sono andate nel panico.
Secondo Haaretz, il comandante della divisione di Gaza, il generale di brigata Avi Rosenfeld, “si è trincerato nella sala operativa sotterranea della divisione insieme a pochi soldati e soldatesse, cercando disperatamente di salvare e organizzare il settore sotto attacco”. Molti dei soldati, per lo più non combattenti, sono stati uccisi o feriti all’esterno. La divisione è stata costretta a richiedere un attacco aereo contro la stessa base [del valico di Erez] per respingere i terroristi”.
Un video diffuso dal COGAT israeliano dieci giorni dopo la battaglia – e dopo l’attacco aereo israeliano – mostra gravi danni strutturali al tetto della struttura del valico di Erez.
Elicotteri Apache israeliani attaccano in Israele: “Mi trovo in un dilemma, non so su cosa sparare”.
Alle 10:30, secondo il resoconto fornito dall’esercito all’agenzia di stampa israeliana Mako, “la maggior parte delle forze [palestinesi] dell’ondata d’invasione originale aveva già lasciato l’area per rientrare a Gaza”. Ma a seguito del rapido collasso subito dalla Divisione Gaza dell’esercito israeliano, erano entrati liberamente in Israele anche saccheggiatori, semplici curiosi e guerriglieri di scarso livello, non necessariamente sotto il comando di Hamas.
A questo punto, le due squadre di Apache di Israele avevano 8 elicotteri in volo, “e non c’era quasi nessuna intelligence che li aiutasse a prendere decisioni risolutive”, ha riferito Mako. Le squadre hanno raggiunto la piena forza ed operatività soltanto verso mezzogiorno.
Mentre l’ondata di infiltrazioni da Gaza portava il caos sul terreno, i piloti israeliani, disorientati, hanno scatenato una frenesia di missili e mitragliatrici: i piloti degli Apache testimoniano di aver sparato un’enorme quantità di munizioni, di aver svuotato la “pancia dell’elicottero” in pochi minuti, di aver volato per riarmarsi e di essere nuovamente tornati in volo, ancora e ancora, più volte. Ma non è servito e lo capiscono”, ha riferito Mako.
Sembra che gli elicotteri Apache si siano concentrati sui veicoli che rientravano a Gaza dal festival di musica elettronica Nova e dai kibbutz vicini, attaccando le auto con l’apparente consapevolezza che all’interno potessero esserci prigionieri israeliani. Hanno anche sparato su persone disarmate che uscivano dalle auto o che camminavano a piedi nei campi alla periferia di Gaza.
In un’intervista rilasciata all’emittente israeliana Mako, il pilota di un Apache racconta di aver avuto il dubbio se sparare o meno alle persone e alle auto che stavano rientrando a Gaza. Sapeva che molti di quei veicoli potevano trasportare prigionieri israeliani, ma ha scelto di aprire il fuoco comunque. “Scelgo obiettivi come questo”, ha riflettuto il pilota, “in cui mi dico che la possibilità che io spari anche a degli ostaggi è bassa”. Tuttavia, ha ammesso che la sua valutazione “non era sicura al 100%”.
“Capisco che dovevamo sparare sul posto e in fretta”, ha detto a Mako il comandante dell’unità Apache, il tenente colonnello E., in un altro rapporto. “Sparare a persone nel nostro territorio è una cosa che non avrei mai pensato di fare”.
Il tenente colonnello A., pilota di riserva della stessa unità, ha descritto una situazione di confusione: “Mi trovo in un dilemma: non so su cosa sparare, perché ce ne sono così tanti”.
Un rapporto sulle squadre Apache, pubblicato dall’emittente israeliana Yedioth Aharanoth, ha osservato che “i piloti si sono resi conto dell’enorme difficoltà di distinguere, all’interno degli avamposti e degli insediamenti occupati, chi fosse un terrorista e chi un soldato o un civile… All’inizio il ritmo di fuoco contro le migliaia di terroristi è stato tremendo, e solo più tardi i piloti hanno iniziato a rallentare gli attacchi e a scegliere attentamente gli obiettivi”.
Un comandante di squadriglia ha spiegato a Mako come abbia rischiato di attaccare la casa di una famiglia israeliana occupata da militanti di Hamas, finendo per sparare vicino ad essa con colpi di cannone. “Le nostre forze non avevano ancora avuto il tempo di arrivare all’insediamento”, ha ricordato il pilota, “e io avevo già esaurito i missili, che sono l’arma più precisa”.
Con la famiglia ancora presente all’interno di un rifugio antiatomico fortificato, il pilota ha “deciso di sparare con un cannone a 30 metri da questa casa, una decisione molto difficile. Ho sparato in modo che, se sono lì, sentano le bombe all’interno della casa, che capiscano, che si sa che sono lì, e con la speranza che lascino quella casa. Vi dico la verità, mi è passato anche per la testa che stavo sparando alla casa”.
Alla fine, i piloti degli elicotteri israeliani hanno dato la colpa all’intelligenza tattica messa in campo da Hamas per mascherare la loro incapacità di distinguere tra i militanti armati e i non-combattenti israeliani. “L’esercito di Hamas, a quanto pare, ha deliberatamente reso le cose difficili ai piloti degli elicotteri e agli operatori degli UAV”, ha riportato Yedioth Aharanoth.
Secondo il giornale israeliano, “è emerso che alle forze d’invasione [di Hamas], negli ultimi briefing è stato chiesto di camminare lentamente verso gli insediamenti e gli avamposti o al loro interno, e in nessun caso di correre, per far credere ai piloti che fossero israeliani. Questo inganno ha funzionato per un tempo considerevole, fino a quando i piloti degli Apache hanno capito che dovevano superare tutte le restrizioni. Solo verso le 9 del mattino alcuni di loro hanno iniziato a colpire i terroristi con i cannoni da soli, senza attendere l’autorizzazione dei superiori”.
E così, senza alcuna intelligence o capacità di distinguere tra palestinesi e israeliani, i piloti hanno scatenato una furia di cannoni e missili sulle aree israeliane che stavano sorvolando.
L’esercito israeliano ha “eliminato tutti, compresi gli ostaggi”, sparando con i carri armati contro i kibbutz
Le foto che mostrano gli esiti dei combattimenti avvenuti all’interno dei kibbutz come Be’eri – e dei bombardamenti israeliani su queste comunità – rivelano macerie e case bruciate che ricordano le conseguenze degli attacchi dei carri armati e dell’artiglieria israeliana a Gaza. Come ha raccontato ad Haaretz Tuval Escapa, coordinatore della sicurezza del kibbutz Be’eri, i comandanti dell’esercito israeliano hanno ordinato di “bombardare le case sui loro occupanti per eliminare i terroristi insieme agli ostaggi”.
Yasmin Porat, una partecipante al festival musicale Nova che si era rifugiata nel Kibbutz Be’eri, ha raccontato alla radio israeliana che quando le forze speciali di Israele sono arrivate durante l’assedio “hanno eliminato tutti, compresi gli ostaggi, perché c’era un fuoco incrociato molto, molto pesante”.
“Dopo un folle fuoco incrociato”, ha continuato Porat, “due proiettili di carro armato sono stati sparati nella casa. È una piccola casa di un kibbutz, niente di che”.
Un video postato dall’account Telegram degli Israel’s South Responders mostra i corpi di israeliani rinvenuti sotto le macerie di un’abitazione distrutta da una potente esplosione, probabilmente di un carro armato. Anche il New York Post, giornale di destra USA, ha pubblicato un articolo su un incidente simile, a proposito del corpo di un ragazzo trovato carbonizzato sotto le rovine della sua casa a Be’eri.
Il fenomeno dei cadaveri carbonizzati con le mani e le caviglie legate, ritrovati in gruppi sotto le macerie delle case distrutte, anche questo solleva dubbi sul fuoco “amico” dei carri armati.
Yasmin Porat, l’ostaggio sopravvissuto ad un assedio a Be’eri, ha descritto come i militanti di Hamas abbiano legato le mani del suo compagno dietro la schiena. Dopo che un comandante dei militanti si è arreso, usandola come scudo umano per garantire la sua sicurezza, ha visto il suo compagno steso a terra, ancora vivo. Ha dichiarato che le forze di sicurezza israeliane hanno “senza dubbio” ucciso lui e gli altri ostaggi mentre aprivano il fuoco sui militanti rimasti all’interno, anche con i proiettili dei carri armati.
Le forze di sicurezza israeliane hanno aperto il fuoco anche sugli israeliani in fuga che hanno scambiato per uomini armati di Hamas. Una residente di Ashkelon, Danielle Rachiel, ha raccontato di essere stata quasi uccisa dopo essere fuggita dal festival musicale Nova quando è stato attaccato dai militanti di Gaza. “Quando abbiamo raggiunto la rotonda [di un kibbutz], abbiamo visto le forze di sicurezza israeliane!”, ha riferito Rachiel. “Abbiamo tenuto la testa bassa [perché] sapevamo automaticamente che si sarebbero insospettiti di noi, in una piccola auto scassata… dalla stessa direzione da cui provenivano i terroristi. Le nostre forze hanno iniziato a sparare contro di noi!”.
“Quando le nostre forze hanno sparato contro di noi, i nostri finestrini sono andati in frantumi”, ha continuato la donna. Solo quando hanno gridato in ebraico “Siamo israeliani!”, gli spari sono cessati e sono stati portati al sicuro.
Ma alcuni israeliani non sono stati fortunati come Rachiel. Adi Ohana è stato ucciso dalla polizia israeliana vicino a casa sua dopo essere stato scambiato per un guerrigliero palestinese. “Un uomo innocente è stato ucciso col massimo della negligenza”, ha denunciato la nipote. I media israeliani sono pieni di notizie di militari che hanno ucciso dei connazionali, anche mentre difendevano le loro case dagli uomini armati palestinesi.
Le foto delle “atrocità di Hamas” in Israele, ora scomparse, ritraevano combattenti di Hamas morti?
Uno dei video più raccapriccianti delle conseguenze del 7 ottobre, pubblicato anche sull’account Telegram di South Responders, mostra un’auto piena di cadaveri carbonizzati (sotto) all’ingresso del kibbutz Be’eri. Il governo israeliano ha descritto questi corpi come vittime israeliane della sadica violenza di Hamas. Tuttavia, la carrozzeria in acciaio completamente fusa e il tetto crollato dell’auto, e i cadaveri completamente bruciati all’interno, testimoniano un colpo diretto di un missile Hellfire.
È anche possibile che gli occupanti maschi dell’auto fossero attivisti di Hamas che si erano riversati all’interno di Israele dopo che le recinzioni erano state aperte. E potevano anche essere tornati a Gaza con prigionieri israeliani all’interno della loro auto.
Durante il suo discorso alle Nazioni Unite del 26 ottobre, l’ambasciatore israeliano Gilad Erdan sembra aver esibito foto che mostrano combattenti di Hamas morti. Erdan ha gesticolato con rabbia sul podio, urlando che “stiamo combattendo contro gli animali”, prima di tirare fuori un foglio che mostrava un codice QR con la didascalia “Scansiona per vedere le atrocità di Hamas”.
Quando ho scansionato il codice quel giorno a mezzogiorno, ho trovato 8 immagini macabre di corpi bruciati e parti del corpo annerite. Una mostrava un mucchio di cadaveri maschili completamente carbonizzati ammassati in un cassonetto. I soccorritori e i medici israeliani si sarebbero sbarazzati di ebrei israeliani morti in questo modo?
Tutti gli israeliani uccisi il 7 ottobre sembrano essere stati raccolti individualmente in sacchi per cadaveri e trasportati agli obitori. Nel contempo, numerosi video registrati dagli israeliani li ritraggono mentre profanano i cadaveri degli uomini armati di Hamas uccisi dalle forze di sicurezza – spogliandoli, urinando su di loro e mutilando i loro corpi. Gettare i loro corpi in un cassonetto sembrerebbe quindi far parte della loro politica di abuso dei cadaveri.
Poco più di dodici ore dopo che l’ambasciatore Erdan aveva presentato le foto delle presunte atrocità di Hamas alle Nazioni Unite, il file di Google Drive conteneva solo un breve video. Tra le foto misteriosamente scomparse, vi era anche l’immagine del cassonetto pieno di corpi bruciati. Era stata cancellata perché mostrava combattenti di Hamas carbonizzati da un missile Hellfire e non israeliani “bruciati” da Hamas?
Distruzioni che ricordano gli attacchi israeliani a Gaza
Alcuni soccorritori arrivati nel sud di Israele, nei luoghi della carneficina dopo il 7 ottobre hanno detto di non aver mai visto tanta distruzione. Ma per coloro che hanno assistito ai bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza, tuttavia, le immagini di case bombardate e auto bruciate dovrebbero essere familiari.
Durante il reportage sui 51 giorni di assalto israeliano a Gaza nel 2014, mi ero imbattuto in un veicolo distrutto nel centro di Gaza City, appartenente a un giovane tassista di nome Fadel Alawan, assassinato da un drone israeliano dopo aver involontariamente accompagnato un combattente di Hamas ferito in un ospedale vicino. All’interno dell’auto, si potevano ancora vedere i resti del sandalo di Alawan fusi nel pedale del gas.
Nel pomeriggio del 7 ottobre, i tranquilli insediamenti e le strade del deserto nel sud di Israele erano carbonizzati e circondati da auto bombardate che somigliavano parecchio a quella di Alawan. I combattenti di Hamas, armati di armi leggere, erano davvero in grado di compiere una distruzione di tale portata?
Il governo israeliano distribuisce foto di vittime da fuoco amico?
Il 23 ottobre scorso, il governo israeliano ha riunito i membri della stampa internazionale per una sessione di propaganda non ufficiale. All’interno di una base militare chiusa, i funzionari hanno bersagliato la stampa con filmati di omicidi e una collezione di accuse infamanti riguardanti “scene strazianti di omicidi, torture e decapitazioni tratte dall’assalto di Hamas del 7 ottobre”, secondo il Times of Israel.
Nel documento forse più inquietante presentato dal governo israeliano, ai giornalisti è stato mostrato un video che espone “il cadavere di una donna parzialmente bruciato, con la testa mutilata… Il vestito della donna è tirato su fino alla vita e le sono state tolte le mutande”, secondo il Times of Israel.
Daniel Amram, il più popolare blogger di news in Israele, ha twittato il video del cadavere bruciato della donna, affermando che “è stata violentata e bruciata viva”.
In realtà, la giovane donna sembrava essere stata uccisa all’istante da una potente esplosione. E sembra che sia stata estratta dall’auto nella quale era seduta – e che forse apparteneva a un sequestratore di Gaza. Il veicolo era completamente distrutto e si trovava su un campo sterrato, come molti altri attaccati dagli elicotteri Apache. Era vestita in modo succinto e con le gambe divaricate.
Sebbene avesse partecipato al festival di musica elettronica Nova, dove molte partecipanti di sesso femminile vestivano in abiti succinti, e le sue membra divaricate fossero tipiche di corpi in rigor mortis, gli opinionisti e i funzionari israeliani hanno sostenuto che fosse stata violentata.
Ma le accuse di violenza sessuale si sono rivelate finora infondate. Il portavoce dell’esercito israeliano Mickey Edelstein ha insistito con i giornalisti durante l’incontro del 23 ottobre sul fatto che “abbiamo le prove” dello stupro, ma quando gli è stato chiesto di mostrarle, ha risposto al Times of Israel che “non possiamo condividerle”.
Questa giovane donna è stata un’altra vittima degli ordini di fuoco amico dell’esercito israeliano? Solo un’indagine indipendente potrà stabilire la verità.
L’esercito israeliano uccide prigionieri israeliani a Gaza mentre si lamenta per il loro rilascio
A Gaza, dove circa 200 cittadini israeliani sono tenuti in ostaggio, ci sono pochi dubbi su chi uccide i prigionieri. Il 26 ottobre, il braccio armato di Hamas, noto come Brigate Al-Qassam, ha annunciato che Israele ha ucciso “quasi 50 prigionieri”durante gli attacchi missilistici.
Se l’esercito israeliano avesse intenzionalmente preso di mira le aree in cui sapeva che i prigionieri erano detenuti, le sue azioni sarebbero state coerenti con la Direttiva Hannibal di Israele. La procedura militare è stata istituita nel 1986 a seguito dell’Accordo Jibril, un accordo in cui Israele ha scambiato 1.150 prigionieri palestinesi con tre soldati israeliani. A seguito di un forte contraccolpo politico, l’esercito israeliano redasse immediatamente un ordine segreto per prevenire futuri rapimenti. L’operazione proposta prendeva il nome dal generale cartaginese che scelse di avvelenarsi piuttosto che essere tenuto prigioniero dal nemico.
L’ultima applicazione confermata della Direttiva Hannibal è avvenuta il 1° agosto 2014 a Rafah, a Gaza, quando i combattenti di Hamas hanno catturato un ufficiale israeliano, il col. Hadar Goldin, spingendo l’esercito a scaricare oltre 2.000 bombe, missili e granate sull’area, uccidendo il militare insieme a più di 100 civili palestinesi.
In ogni caso, sia che Israele stia uccidendo intenzionalmente o meno i suoi cittadini prigionieri a Gaza, si è stranamente dimostrato allergico al loro rilascio immediato. Il 22 ottobre, dopo aver rifiutato l’offerta di Hamas di rilasciare 50 ostaggi in cambio di carburante, Israele ha rifiutato anche l’offerta di Hamas di liberare Yocheved Lifshitz, un’attivista israeliana per la pace di 85 anni, assieme alla sua amica di 79 anni, Nurit Cooper.
Quando un giorno dopo Israele ha acconsentito al loro rilascio, un video ha mostrato Liftshitz stringere la mano a un militante di Hamas dicendo “Shalom” mentre la scortava fuori da Gaza. Quel giorno, durante una conferenza stampa, ha raccontato il trattamento umano ricevuto dai suoi rapitori.
Lo spettacolo della liberazione di Lifshitz è stato considerato come un disastro propagandistico dal governo israeliano, coi funzionari che si lamentavano del fatto che permetterle di parlare pubblicamente fosse stato un grave “errore”.
I militari israeliani sono dispiaciuti anche per la sua improvvisa libertà. Come riporta il Times of Israel, “l’esercito teme che ulteriori rilasci di ostaggi da parte di Hamas possano indurre la leadership politica a ritardare un’incursione di terra o addirittura a fermarla mentre è in corso”.