Incontriamo Aya Halaf, cantante e insegnante palestinese che fa vivere il patrimonio culturale

MEMO. Di Eman Abusidu. Molti di noi non hanno mai sentito parlare dei martiri della Rivoluzione di Al-Buraq se non attraverso la popolare canzone “Min Sijjin Akka” (“Dalla prigione di Akka”), che cita Fouad Hijazi, Atta Al-Zeer e Mohammed Khalil Jamjoum. Il testo di questa canzone è diventato parte del patrimonio palestinese e viene cantato in occasione di eventi nazionali, matrimoni e celebrazioni culturali. Che si tratti di protestare contro l’oppressione, di criticare il governo di occupazione o di resistere all’occupazione, la musica ha un potenziale unico per la lotta palestinese.

Ho incontrato la famosa cantante e insegnante di musica Aya Halaf per chiederle di questo fenomeno. “Per me”, ha spiegato, “l’arte e il canto sono un modo per esprimere la realtà di come vivo e come la mia gente vive la vita quotidiana”.

Abbiamo parlato subito dopo che le forze di occupazione israeliane le avevano impedito di cantare canzoni tradizionali nella Città Vecchia di Gerusalemme, perché non aveva il permesso per farlo. Halaf e alcuni altri musicisti avevano programmato di fare uno spettacolo improvvisato nella Città Vecchia. “Abbiamo iniziato a cantare mentre la polizia israeliana ci osservava. Ci hanno fermato, hanno chiesto cosa stessimo cantando e hanno detto che non è consentito senza un permesso del comune”, mi ha detto. “È stata una decisione spontanea quella di condividere alcune canzoni con la gente. Abbiamo scelto la Città Vecchia perché è stata deliberatamente svuotata di tali attività, quindi volevamo cantare un po’ con la gente”.

Aya Halaf è nata nel villaggio di Jatt, nel nord della Cisgiordania. Canta e insegna il patrimonio musicale palestinese. Si è laureata in musica orientale presso l’Accademia Musicale dell’Università Ebraica di Gerusalemme. Durante il suo periodo universitario ha lavorato come insegnante di musica per i bambini di Gerusalemme e di molte città nei territori palestinesi.

È particolarmente interessata alla storia orale palestinese e ai documenti dell’autentico folklore raccolto dalle anziane donne palestinesi. “Uso un metodo chiamato ‘dalla bocca all’orecchio’. Ascolto direttamente le donne che cantano ai matrimoni e in altre occasioni; memorizzo quello che cantano e poi lo scrivo”. Halaf ritiene che questo sia un ottimo modo per preservare il patrimonio palestinese e tramandarlo di generazione in generazione per salvarlo dall’oblio.

La cantante è solo una degli artisti palestinesi cresciuti sotto il dominio dell’occupazione israeliana. Secondo Halaf, la musica si presta ad essere creata in mezzo al caos e alla sofferenza. “Questo è un dato di fatto. Le tue lamentele e la tua gioia possono trasformarsi in rabbia, quindi, semplicemente, canti.”

Halaf mi ha poi raccontato dell’insegnamento della musica in una scuola elementare nel campo profughi di Shuafat, alla periferia di Gerusalemme, dove lei e i bambini sentivano sparare fuori dalla scuola. “Questa era la routine quotidiana per i bambini. Sentivano musica a scuola e proiettili alla porta. Nonostante questo i bambini spesso sceglievano di continuare a cantare. Ho imparato da loro come creare musica nonostante la sofferenza”.

Le canzoni di Aya Halaf enfatizzano il potere della musica come resistenza creativa contro l’occupazione. Tutte le forme di resistenza sono legittime, secondo il diritto internazionale, per tutti coloro la cui terra è occupata. Il popolo palestinese ha usato molte tattiche nella sua legittima resistenza contro l’occupazione israeliana che lo ha derubato della sua terra, dei suoi diritti e dei suoi luoghi santi. “In Palestina anche il canto è soppresso, quindi la musica diventa parte della lotta e del rifiuto di accettare l’ingiustizia”, ​​ha sottolineato.

L’artista Halaf deve affrontare molti ostacoli sotto l’occupazione. Ad esempio, non esistono buone società di produzione per sponsorizzare o supportare gli artisti palestinesi e il finanziamento delle canzoni e dei musicisti palestinesi è spesso un tentativo di “mettere l’arte palestinese sotto l’ala protettrice delle istituzioni israeliane”.

La proprietà storica dei palestinesi della loro terra è parte dell’eredità che secondo Aya Halaf si può ritrovare attraverso i canti tradizionali. Nel tentativo di mantenere viva questa cultura, Halaf usa la sua voce per cantare tali canzoni e confutare così la narrativa dell’occupazione secondo cui questa era una terra senza popolo, senza eredità o identità. “Nessuno può dire che questa tradizione orale non sia palestinese. Abbiamo ancora matrimoni, feste e occasioni in cui cantiamo le stesse canzoni contadine di decenni fa. Come si può eliminare ciò, qualcosa che possediamo e usiamo? Questo è impossibile.”

La cantante e insegnante palestinese sogna che la sua voce possa essere ascoltata ovunque. “Spero che la mia voce entrerà in ogni casa e farà parte della vita quotidiana in Palestina e altrove. Spero che la mia voce possa essere ascoltata per strada, al mercato, nelle auto, negli spettacoli e ovunque”. Il suo sogno è condiviso da tutti i palestinesi del mondo che vogliono che la loro voce sia ascoltata.

Traduzione per InfoPal di Stefano Di Felice