La “dottrina della Nakba” di Israele

Almayadeen.net/. Mentre “Israele” barcolla verso un biblico “Grande Israele”, il mondo islamico diventa sempre più intransigente. “Ora stiamo effettivamente portando avanti la Nakba di Gaza”, afferma Avi Dichter, ministro israeliano dell’Agricoltura ed ex capo dello Shin Bet. Il governo israeliano è stato informato che quasi 1.700.000 gazawi (su una popolazione totale di 2,2 milioni) non possono più vivere nelle loro case, o perché sono stati “sfollati”, o perché le loro case sono state distrutte/danneggiate.

Per trasmettere l’immagine di un esercito israeliano che “avanza” con la sua operazione di sradicamento di Hamas, tuttavia, vediamo molti video di carri armati e mezzi corazzati in giro per la città di Gaza. Ma osserviamo invece pochissime immagini di soldati delle IDF (Israelian Defence Forces ndt) che pattugliano a piedi – sia per proteggere i carri armati, che sono soggetti al fuoco di cecchini o RPG, sia (come molti commentatori sospettano) per paura di vittime israeliane.  

Chiaramente, “Israele” rimane attaccata ai suoi veicoli blindati, anche se subisce regolarmente perdite da parte di mini-squadre flash di combattenti di Hamas che emergono improvvisamente da tunnel nascosti per distruggere i veicoli, prima di scomparire nuovamente sottoterra.

Le IDF sono entrate nella città di Gaza, avanzando di un paio di chilometri nel corso del mese, ma non mostrano alcuna prova seria di aver incontrato le forze di Hamas, né di averne eliminato un numero apprezzabile. Perché?

In poche parole, gli israeliani stanno combattendo un modello di guerra convenzionale (un “pugno” corazzato che avanza con l’aiuto di un massiccio supporto aereo). Ma la contraddizione di questo modello è palesemente evidente: il cosiddetto “nemico” sul terreno è costituito semplicemente da civili, che muoiono in numero spaventoso, mentre le forze di Hamas rimangono intatte, in profondità nel sottosuolo. Anche lì si trovano le infrastrutture di Hamas.

Le contraddizioni insite in questo tipo di approccio affondano le radici nell’evoluzione delle IDF, che nel corso dei decenni sono diventate una forza di polizia quasi coloniale, abituata a controllare l’occupazione attraverso la forza massiccia e la protezione assoluta della forza. Non è un segreto che le IDF temono di ingaggiare scontri a fuoco corpo a corpo con le unità di Hamas nel complesso dei tunnel (per i quali i suoi militari non sono adatti). Abbiamo quindi un’esibizione di veicoli blindati che sfilano sulla superficie, insieme a rivendicazioni delle IDF, in gran parte non confermate, di danni inflitti a Hamas.

La contraddizione più evidente è l’affermazione del governo israeliano secondo cui le pressioni militari su Hamas, di per sé quasi inesistenti, stanno creando le condizioni per il rilascio degli ostaggi; mentre, in realtà, la vera pressione, cioè gli incessanti attacchi aerei – che stanno devastando la popolazione civile e le sue infrastrutture (ospedali, scuole, panetterie e campi profughi) – sta facilitando una seconda Nakba, più che qualsiasi rilascio di ostaggi. 

Forse Hamas rilascerà altri ostaggi (calcolati in termini di obiettivi strategici). In tal caso, questo sarà probabilmente interpretato – a torto – come un sentimento di dolore, una sconfitta da parte di Hamas. Si può quindi concludere che i bombardamenti a tappeto “funzionano”. Come sottolinea Zvi Bar’el sul quotidiano liberale israeliano Haaretz:

“Secondo la concezione di Israele, la crisi umanitaria fa parte delle armi a sua disposizione, che può essere usata non soltanto come merce di scambio nei negoziati per il rilascio degli ostaggi. Il suo ruolo è quello di inculcare nella coscienza dei palestinesi la punizione apocalittica a cui va incontro chi d’ora in poi oserà sfidare Israele.

Si tratta di una continuazione del concetto strategico profondamente radicato secondo il quale la sofferenza umanitaria potrebbe produrre guadagni legati alla sicurezza… 

Ma soprattutto, la crisi umanitaria a Gaza dà ora a Israele una leva diplomatica che include l’ottenimento di concessioni… Soprattutto, comporta uno smacco alla fretta americana di raggiungere una soluzione a due Stati”.

La logica ineluttabile di questa analisi è quindi quella di continuare con lo status quo: se non funziona per quanto riguarda la liberazione degli ostaggi o la degradazione di Hamas, si può presentare all’opinione pubblica israeliana come se invece funzionasse in quanto costringe i civili a fuggire dalle loro comunità devastate (quella che Dichter chiama la “Nakba di Gaza”). 

Con l’affermarsi della “dottrina della Nakba”, le condizioni favorevoli per il rilascio degli ostaggi (che Hamas prevede a fronte di un cessate il fuoco duraturo e di forniture umanitarie) si dissolvono. Le IDF possono avere l’uno o l’altro: o la distruzione continua, o le condizioni per il rilascio degli ostaggi (sembra che il governo abbia optato per la prima).

L’altro dilemma (più profondo) è che le pressioni internazionali per un cessate il fuoco (e per il rilascio degli ostaggi) stanno aumentando. Il tempo stringe e l’operazione militare potrebbe essere costretta a cessare. Il problema per il governo di Netanyahu è questo: una volta interrotti, sarà possibile riprendere i massacri di civili e le pressioni per portare a termine la Nakba di Gaza?

In questo contesto, il sentimento popolare israeliano – anche tra gli ex liberali – si sta muovendo verso una Grande Nakba. Gaza è sottoposta a pressioni per la Nakba. Lo stesso vale per la Cisgiordania, con l’aumento della violenza dei coloni contro i palestinesi. Persino un “liberale” come l’ex leader dell’opposizione Lapid ora concorda sul fatto che i “coloni” nella Cisgiordania occupata non sono affatto “coloni”, dal momento che la terra non è altro che la “terra biblica di Israele”. 

Gli obiettivi e le ambizioni della Nakba si stanno allargando anche al Libano meridionale (fino al fiume Litani). I membri radicali del governo Netanyahu affermano che gli israeliani non torneranno mai nei kibbutz adiacenti al Libano, senza che Hezbollah venga allontanato dalla zona di confine.

Quindi, si chiede a “Israele” di “prendere” il Libano fino al Litani (una fonte d’acqua di vitale importanza) – e casualmente l’aviazione israeliana ha iniziato a operare fino a 40 km all’interno del Libano. I membri del governo ora parlano apertamente della necessità che le IDF rivolgano la loro attenzione a Hezbollah una volta che Hamas sia stato “cancellato”.

Il confine settentrionale si sta inevitabilmente scaldando. Hezbollah sta usando le sue armi più sofisticate e letali contro le posizioni delle IDF nel nord di “Israele”, mentre le “regole” di ingaggio si confondono continuamente. E “Israele” risponde con attacchi che si spostano sempre più all’interno nel sud del Libano (apparentemente per colpire le infrastrutture retrostanti di Hezbollah). 

Ieri sera il gabinetto di guerra israeliano ha votato per sferrare un duro colpo a Hezbollah, ma Netanyahu si è tirato indietro. Secondo quanto riferito, gli Stati Uniti sospettano che “Israele” stia provocando Hezbollah, sperando di attirare gli Stati Uniti in una guerra contro il Libano.  

È evidente che la Casa Bianca sta lottando per evitare una guerra regionale totale, mentre si scaldano sia il fronte libanese che quello iracheno: domenica i movimenti iracheni hanno nuovamente sparato missili contro la base americana di Shaddadi. 

“Israele” percepisce l’attuale crisi come un rischio esistenziale, ma anche come una “opportunità”: un’opportunità per stabilire “Israele” nelle “sue terre bibliche” a lungo termine. Non ci si può sbagliare: questa è la direzione di marcia del sentimento popolare israeliano, sia a destra che a sinistra, verso un’escatologia sanguinaria.

Come ha scritto un importante commentatore israeliano dopo aver visto il filmato (non documentato) di 47 minuti delle IDF sugli eventi del 7 ottobre:

“Dopo aver visto il film non ho alcuna compassione per nessuna persona a Gaza, né per una donna, né per un bambino, e certamente non per un uomo. Tutti meritano una morte dolorosa, siete stati tutti complici di questo massacro. Spero che nessuno rimanga vivo a Gaza, punto! … Sono sicuro che il vostro Dio vi disprezza, si vergogna di voi e vi brucerebbe all’inferno, proprio come le IDF stanno facendo con voi ora”.

La “tribù di Amalek” oggi viene ampiamente citata. Re Saul, nel primo libro di Samuele, ordina a Samuele di uccidere ogni persona degli Amaleciti: “Non risparmiarli; metti a morte uomini e donne, bambini e neonati, bovini e pecore, cammelli e asini”.

Come l’umore israeliano oscilla biblicamente, così la rabbia della maggioranza globale aumenta. E così i musulmani considerano ormai la crisi come una guerra di civiltà senza compromessi: l’Occidente contro “noi”.

Le due conferenze concomitanti – la Lega Araba e l’OIC (tenutesi in contemporanea a Riad) – hanno sottolineato il completo collasso dell’immagine di “Israele” nel mondo islamico. L’esplosione di rabbia e passione è stata palpabile e sta trasformando la nuova politica globale.

In Occidente, la rabbia sta spaccando le strutture politiche tradizionali e sta provocando ampi sconvolgimenti. Le proteste in tutto il mondo sono imponenti.

Così, mentre “Israele” oscilla verso un “Grande Israele” biblico, il mondo islamico diventa sempre più intransigente. Sebbene le conferenze non abbiano concordato alcun piano d’azione, l’immagine del presidente Raisi seduto accanto a MbS e dei Presidenti Erdogan e Assad che si mescolavano alla conferenza è stata sorprendente.

L’implicazione strategica è netta: gli israeliani ora abiurano i rischi della convivenza con i musulmani, e il sentimento è pienamente ricambiato dai palestinesi nei confronti del fanatismo ebraico. Il vecchio paradigma per una soluzione politica è diventato obsoleto.

Traduzione per InfoPal di Aisha T. Bravi