Lourimi, an-Nahda: democrazia e modernità, le nostre priorità

Di Angela Lano – Assisi.

Ajmi Lourimi (*), membro dell’ufficio politico di an-Nahda, il movimento islamico al potere in Tunisia, racconta al Forum sulle Primavere arabe, organizzato ad Assisi gli eventi dell’ultimo anno e mezzo nel suo Paese.

La rivoluzione tunisina

“Prima della rivoluzione, la vita politica del Paese era nulla, quella sociale era disastrosa; e i membri dei movimenti islamici erano in carcere. Oggi, a distanza di un anno, se guardiamo al passato troviamo un grande cambiamento: gli islamisti non sono più in prigione ma al governo, a seguito di elezioni democratiche e trasparenti; la vita politica è attiva, ma quella sociale è ancora ferma, anche se molte cose stanno cambiando. Ben Ali ha lasciato un’eredità pesante. Il governo sta ricostruendo dalle ceneri: si tratta di un processo lungo. La disoccupazione è altissima: 800mila persone, cioè il 18% della popolazione lavorativa. E’ in atto una grande sfida e credo che nessun governo potrebbe fare miracoli in una tale situazione.

“Ben Ali ha lasciato un Paese distrutto, con un divario tra poveri e ricchi molto forte. Le zone interne della Tunisia erano state dimenticate dal regime, ed è da lì che è iniziata la rivoluzione.

“Ora abbiamo bisogno di una nuova cultura, della convivenza e della solidarietà, dell’amore per la libertà, fino a poter chiudere completamente con il passato.

“La rivoluzione tunisina non era né ideologica né politica e non era guidata da un partito particolare. E’ iniziata improvvisamente e vi hanno partecipato tutti, da diversi strati sociali e culturali. C’erano anche i sindacati e le associazioni, uniti sotto la bandiera della nazione. Lo scopo comune era di mandare via il dittatore. Non è stata una rivoluzione della ‘fame’, anche se c’era gente affamata. Era una rivoluzione della dignità, iniziata con la protesta di un disoccupato: per i tunisini essere senza lavoro equivale a essere senza dignità. Quando la popolazione ha capito che la situazione tunisina era causata dagli errori, dalla corruzione del governo, ha deciso che per cambiare era necessario mandare via Ben Ali, così è iniziata la rivoluzione che in 23 giorni è riuscita a rimuoverlo. Il Muro di Berlino in Tunisia era la paura, e la sua caduta ha portato la libertà.

“Il prezzo in morti in Tunisia è stato molto ridotto, rispetto ad altre rivoluzioni. Questa rivoluzione è stata un esempio e una spinta per l’Egitto, la Libia, lo Yemen, ecc. Noi ci aspettavamo una rivolta in Egitto prima che in Tunisia, perché il governo era più vecchio e la società civile era già pronta al cambiamento, la situazione sociale peggiore e pure la situazione economica. Invece è partita dalla Tunisia.

“Dai primi giorni dopo la fuga del presidente, ci siamo trovati in una situazione costituzionale nuova. E’ stato deciso di chiudere con il passato e costruire una nuova politica. La popolazione ha chiesto di sciogliere il parlamento e di creare un comitato per la riformare la costituzione, per la transizione e per andare alle elezioni”.

Cambiamento anche all’interno del sistema

“L’esercito è stato dalla parte del popolo, la polizia era invece si è comportata come l’assassino. L’esercito è stato il garante della protezione della rivoluzione tunisina: dopo la fuga di Ben Ali s’è creato un vuoto nella sicurezza, che i militari avrebbero potuto riempire, ma si sono rifiutati e hanno lasciato la gestione del potere alla parte civile. L’esercito ha voluto le elezioni e il 23 ottobre 2011 ha protetto la gente che andava a votare. L’affluenza alle urne è stata massiccia, e ha dato la vittoria al movimento an-Nahda, vietato sotto Ben Ali (i suoi militanti erano o in carcere o all’estero, esuli). La vittoria elettorale è stata del popolo, prima che di un partito”.

Governo di unità nazionale

“I tunisini, chiedono una seconda rivoluzione, ma abbiamo bisogno di unità e non di opposizione. Non si deve governare con l’ideologia. Crediamo in an-Nahda ma non vogliamo che governi da sola, per questo abbiamo voluto un governo di unità nazionale. Siamo d’accordo di indire nuove elezioni per la prossima primavera”.

Polarizzazione e media

“I media francesi hanno iniziato ad attaccare il governo con articoli in cui dicevano che la Tunisia è diventata islamica, che le minoranze cristiane ed ebree sono sparite, e che il Paese è tornato indietro, che il turismo è sparito. Essi danno un’immagine come se il governo stesse sotto il giogo del salafismo. Ciò non corrisponde al vero: noi rispettiamo la legge, ma ci sono altri che vogliono che ritorniamo alla dittatura.

“Inoltre, ora in Tunisia ci sono 125 partiti politici. L’opposizione deve dare una mano al governo, non distruggerlo, in questo modo essa lavora anche contro se stessa.

“I media mainstream tunisini hanno sempre appoggiato il regime di Ben Ali e ora sono contro di noi. Parlano di ‘governo di transizione’ come se non fosse stato eletto democraticamente. A noi non interessa mettere le mani sui media, farli diventare di ‘governo’. Vogliamo una stampa libera, che rispetti gli standard internazionali, indipendente, come deve essere anche la giustizia. Se vogliamo che il Paese cambi profondamente, non possiamo diventare anche noi dei dittatori. Siamo sempre in dialogo con i mezzi di informazione per cercare di trovare una soluzione, ma che sia all’interno del rispetto della legge”.

Spontaneità della rivolta

“Il 14 dicembre 2010 tutte le forze ribelli si sono incontrate insieme.

“La rivoluzione non è stata preparata in laboratorio, scientificamente, ma è stata spontanea. Voglio citare Albert Camus per far meglio comprendere la natura della ribellione popolare: uno schiavo, stanco di essere tale, ha detto ‘basta’. Certo, c’è stato un lungo lavoro sotterraneo cui ha partecipato tutta la società tunisina.

“Penso che siamo tutti d’accordo sul fatto che quando il popolo è sceso in piazza, quando ha fatto la rivoluzione non ha chiesto a nessun Paese occidentale di aiutarlo, anzi, questi avevano paura, non si aspettavano un cambiamento così veloce.

“La nostra rivoluzione è per la libertà, la dignità e la giustizia sociale e contro la tirannia: tutta la nostra società vi ha preso parte, esercito compreso. Questo non esclude che possano esserci attori politici che hanno cercato di svolgere un ruolo, ma ciò non toglie nulla al carattere spontaneo della rivoluzione”.

Democrazia e modernità

“Siamo alle prese con grandi problemi, tra cui la modernità. Le rivoluzioni tunisina, egiziana, yemenita, libica, siriana si pongono questo problema: come i popoli arabi devono agire per entrare nella modernità. Le nostre élite intellettuali purtroppo non avevano elaborato un’ideologia o un pensiero sulla modernità, sulla democrazia. Non c’è unanimità sul discorso ‘democrazia’ e neanche sullo stesso processo democratico. Non abbiamo un retroterra culturale come è stato per le rivoluzioni europee – francese e russa. Abbiamo avuto migliaia di attivisti, di tutte le provenienze politiche e ideologiche – islamici, nazionalisti, marxisti, ecc. – che tuttavia non hanno avuto egemonia rivoluzionaria sul popolo. Durante la rivoluzione, infatti, la gente, le masse, hanno scavalcato le avanguardie. Dopo i tragici fatti di Sidi Bouzid, nel dicembre del 2010, la popolazione è scesa in piazza.

“L’élite araba non è più democratica dei despoti contro cui combatte. Faccio due esempi: il nazionalismo arabo – baathismo e nasserismo – ha represso la democrazia; i movimenti islamici hanno fatto lo stesso imponendo la shari’a. Noi, come an-Nahda, non riteniamo che sia una priorità l’islamizzazione della società, quanto piuttosto la sua democratizzazione.

“Non abbiamo dubbi: dobbiamo difendere le libertà e i diritti. Ma sappiamo che il processo democratico può durare molti anni. Per noi non c’è libertà senza democrazia, non c’è futuro senza democrazia, non c’è islam senza democrazia.

“Tuttavia, ciò che ci distingue dai modernisti è il fatto che loro subordinano la democrazia alle libertà, e dai salafiti è che loro subordinano la democrazia all’islam. Noi riteniamo che la via democratica è quella più breve e meno costosa, ma non intendiamo la democrazia greca che escludeva le donne e gli schiavi. Non ci piace la democrazia del capitale o quella della maggioranza cui il resto della popolazione deve essere subordinato. Vogliamo una democrazia dell’alternanza, che tenga conto di tutta la società”.

Articolo 28 della Costituzione e questione della “complementarietà” tra uomo e donna

“La polemica sull’articolo 28 è nata dai media. Non è vero che esso riguarda i diritti delle donne. Fa riferimento al diritto di famiglia, all’interno della quale viene riconosciuto il ruolo complementare della donna e dell’uomo.

“Gli articoli 21 e 22 parlano invece dell’uguaglianza tra i due sessi. L’art. 21 spiega che tutti i cittadini sono uguali e condanna la violenza contro le donne e la discriminazione.

“An-Nahda difende il codice del diritto della persona stabilito nel 1959 durante il regime di Bourguiba. La Tunisia non può tornare indietro, ma solo andare avanti”.

La guerra civile in Siria e l’intervento della Nato

“An-Nahda è contro ogni intervento esterno, Nato, nei Paesi arabi, ma siamo a favore del popolo siriano che si rivolta contro il regime di Assad. Sappiamo che sulla Siria convergono enormi interessi geo-politici. E’ nostro dovere morale ed etico sostenere le rivendicazioni della popolazione siriana. Siamo consapevoli che il governo di Assad ha sostenuto la resistenza palestinese e libanese, tuttavia, sin dai primi giorni della rivolta in Siria lo slogan era: ‘Colui che uccide il proprio popolo è un traditore’.

“Dobbiamo dunque cercare una soluzione politica al conflitto in corso, e per trovarla dobbiamo coinvolgere Turchia, Iran, Russia e Cina”.

(*) Ajmi Lourimi è nato nel 1962 a Chott Mériam. E’ laureato in Scienze sociali e in Filosofia. Scrittore, giornalista e militante dei diritti umani e del movimento islamico a Tunisi, ha subito anni di carcere e gravi torture per il suo impegno politico e i suoi articoli critici contro il regime di Ben Ali.