Niente premette che il rapporto sull’apartheid di Amnesty scalfirà la negazione pan-israeliana del “problema palestinese”

Mintpressnews.com. Di Miko Peled. L’atteggiamento generale dei politici israeliani, e si può osare dire delle persone che li hanno votati, è che il problema palestinese non è un loro problema. Se i palestinesi si comportano male, la macchina da guerra israeliana saprà come affrontarli. (Da InvictaPalestina.org).

Per decenni, Israele ha cercato di risolvere il “problema” palestinese ignorandolo completamente. I capi dei partiti israeliani che compongono il governo di coalizione si sono incontrati di recente con i membri del loro partito e hanno discusso le questioni all’ordine del giorno e non c’è stato un momento dedicato ai palestinesi.

Quelli che seguono sono esempi delle dichiarazioni fatte dai capi dei partiti che guidano il governo israeliano:

• Il Ministro delle Finanze Avigdor Lieberman, capo del Partito di destra Yisrael Beiteinu (in ebraico “Israele la Nostra Patria”), ha dichiarato: “Questo governo da quando è stato istituito ha fatto di più di tutti i governi di Netanyahu”.

• Il Ministro della Salute Nitzan Horowitz, capo del cosiddetto Partito della sinistra sionista Meretz, ha dichiarato: “La nostra decisione di permettere che la normalità quotidiana continuasse durante la pandemia si è dimostrata valida”.

• Il Ministro degli Esteri Yair Lapid, capo del Partito Yesh Atid, ha affermato che Israele non abbandonerà mai le piccole imprese e che aiutarle in questi tempi difficili è una priorità nazionale.

• Il Ministro della Difesa Benny Gantz, che guida il Partito Blu e Bianco (Kahol Lavan), ha parlato della necessità di rafforzare i disegni di legge perché, come ammette, solo la metà dei cittadini israeliani di 18 anni è effettivamente arruolata nell’esercito. Il “disegno di legge” è progettato per costringere la comunità ultraortodossa, molti dei quali sono antisionisti e si rifiutano di prestare servizio nell’esercito israeliano, a sottomettersi alla leva obbligatoria.

Meretz come gruppo progressista.

“Lavoro con gruppi progressisti di sinistra da entrambe le parti, come il Partito Meretz e qualunque sia il loro equivalente dalla parte palestinese”, mi è stato detto di recente da un conoscente. L’affermazione che il Partito sionista Meretz sia in qualche modo progressista o addirittura “di sinistra” è parte del problema. Nessun partito sionista dovrebbe essere considerato progressista o “di sinistra”.

Vedere questi due partiti: Meretz e Yisrael Beiteinu, seduti nello stesso governo dovrebbe far riflettere. Che cosa fa Meretz, un partito che sostiene di promuovere la pace regionale, dice di chiedere l’annullamento della legge sullo Stato-Nazione e afferma di difendere i diritti dei palestinesi, seduto in un governo di coalizione con la destra di Lieberman?

Meretz afferma chiaramente di essersi opposto alla legge che delegittima la commemorazione del Giorno della Nakba da parte dei cittadini palestinesi di Israele, mentre la piattaforma Yisrael Beiteinu afferma:

“Yisrael Beiteinu; Israele la Nostra Patria, ha già emanato una legislazione che stabilisce che qualsiasi autorità locale che commemora il “Giorno della Nakba” non riceverà alcun aiuto finanziario dallo Stato di Israele. Continueremo con questo tipo di legislazione fino a quando non sarà completamente compreso che non accetteremo la vista di una bandiera nera nel Giorno dell’Indipendenza”.

Un denominatore comune.

Il comune denominatore che permette a Meretz di sedere in un governo di coalizione con Yisrael Beteinu, e con Naftali Bennett come Primo Ministro, è il sionismo. “Israele è la patria nazionale del popolo ebraico”, afferma la piattaforma di Meretz. Sostiene inoltre che: “Israele riconoscerà la minoranza araba come sua minoranza nazionale con diritti collettivi”. Questo può sembrare progressista se non fosse per il fatto che gli arabi in Palestina non sono una minoranza ma una maggioranza.

Israele finge che vi sia una minoranza araba che vive al suo interno, prima riferendosi ai cittadini palestinesi dello Stato come “arabi di Israele”, e poi escludendo 5 milioni di palestinesi da qualsiasi diritto o prerogativa. I palestinesi residenti rimasti nei territori occupati precedentemente al 1967, o in quella che è nota come Palestina del 1948, sono considerati una minoranza araba, o cittadini; i palestinesi residenti nelle aree occupate nel 1967 sono completamente esclusi da ogni diritto. Questo è un concetto sionista e non può essere accettato.

Quale problema palestinese?

L’atteggiamento generale dei politici israeliani, e si può osare dire delle persone che li hanno votati, è che il problema palestinese non è un loro problema. Se i palestinesi si comportano male, la macchina da guerra israeliana saprà come affrontarli.

Come ha affermato il Ministro delle Comunicazioni israeliano, Yoaz Hendel, egli stesso un criminale di guerra decorato ed ex comandante di una squadra terroristica militare israeliana: “Israele continuerà a piantare, costruire infrastrutture e regolamentare il Negev”. Stava parlando della rivolta beduina palestinese e della resistenza alla pulizia etnica sionista del Negev (Naqab) allo scopo, non è uno scherzo, di riforestare la regione del Negev. “Regolamentare” significa spostare i palestinesi e consentire agli ebrei israeliani di prendere la loro terra.

Il messaggio di fondo è che non c’è nessun problema: sappiamo come trattare con i rivoltosi e porteremo avanti il nostro programma di sfollamento, furto di terre e crimini di guerra.

Un brusco risveglio.

Il governo israeliano e lo Stato di Israele, in generale, hanno avuto un brusco risveglio martedì 1 febbraio, quando Amnesty International ha accusato Israele di sottoporre i palestinesi a un sistema di apartheid fondato sulla “segregazione, espropriazione ed esclusione”, che secondo Amnesty equivalgono a crimini contro l’umanità.

Il sommario del rapporto inizia con una citazione dell’ex Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu. La citazione dice: “Israele non è uno Stato di tutti i suoi cittadini, ma piuttosto lo Stato-Nazione del popolo ebraico e solo di esso”. Bene, è tutto lì, senza fraintendimenti. Quindi il rapporto prosegue descrivendo ciò che i palestinesi affermano da quasi un secolo, vale a dire:

“Dalla sua istituzione nel 1948, Israele ha perseguito una politica esplicita di stabilire e mantenere un’egemonia demografica ebraica e di massimizzare il suo controllo sulla terra a beneficio degli ebrei israeliani riducendo al minimo il numero di palestinesi limitando i loro diritti e ostacolando la loro capacità di sfidare questo esproprio. Nel 1967 Israele ha esteso questa politica oltre la Linea Verde alla Cisgiordania e alla Striscia di Gaza, che da allora ha occupato. Oggi, tutti i territori controllati da Israele continuano ad essere amministrati con lo scopo di avvantaggiare gli ebrei israeliani a scapito dei palestinesi, mentre continuano ad essere esclusi i profughi palestinesi”.

Afferma inoltre ciò che i palestinesi e le persone attente sostengono, che:

“Questo sistema di apartheid è stato costruito e mantenuto per decenni dai susseguitesi governi israeliani in tutti i territori che hanno controllato, indipendentemente dal partito politico al potere in quel momento”.

Inoltre, il rapporto afferma che, “data la portata e la gravità delle violazioni documentate in questo rapporto”, “invita la comunità internazionale a cambiare urgentemente e drasticamente il suo approccio al conflitto israelo-palestinese e a riconoscere la piena portata dei crimini perpetrati da Israele contro il popolo palestinese”. Invita la comunità internazionale a:

“Sospendere immediatamente la fornitura, la vendita o il trasferimento diretti e indiretti, compreso il transito e il trasbordo in Israele di tutte le armi, munizioni e altro equipaggiamento militare e di sicurezza, inclusa la fornitura di addestramento e altra assistenza militare e di sicurezza”.

Infine, in quella che deve essere vista come un’enorme vittoria per tutti coloro che hanno a cuore la Palestina, c’è l’inclusione del seguente passaggio:

“Israele deve riconoscere il diritto dei rifugiati palestinesi e dei loro discendenti a tornare nelle case dove loro o le loro famiglie vivevano una volta in quello che oggi è Israele o nei Territori Occupati, e di ricevere restituzioni, risarcimenti e altri rimedi efficaci per la perdita delle loro terre e proprietà”.

Forse al prossimo incontro dei capi dei principali partiti politici israeliani, vedranno finalmente che la Palestina è il loro problema.

Miko Peled è uno scrittore e attivista per i diritti umani, nato a Gerusalemme. È autore di “The General’s Son. Journey of an Israeli in Palestine” e “Injustice, the Story of the Holy Land Foundation Five”.

Traduzione di Beniamino Rocchetto per Invictapalestina.org