Nilin, un villaggio palestinese nel regno del terrore.

Riceviamo e pubblichiamo.

    

Nilin, un villaggio palestinese nel regno del terrore

di Jonathan Cook
Countercurrents.org, 2 settembre 2008

Nilin – La finestra attraverso cui Salam Amira, 16 anni, ha ripreso il momento in cui un soldato israeliano ha sparato da breve distanza a un detenuto palestinese ammanettato e bendato ha un grosso buco al centro con delle crepe che si diramano in tutte le direzioni.

“Da quando il mio video è stato trasmesso, i soldati sparano alla nostra casa in ogni momento”, dice. Le finestre danneggiate e in frantumi sulla facciata dell’edificio confermano il racconto. “Quando lasciamo le finestre aperte, sparano anche dei gas lacrimogeni all’interno”.

La sua casa dà sul posto di blocco stradale israeliano che controlla la sola via d’accesso al villaggio di Nilin, situato di poco all’interno della Cisgiordania, a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv. È stato qui che Ashraf Abu Rahma, 27 anni, è stato sparato a un piede, a luglio, con un proiettile di gomma per ordine del comandante di un reggimento israeliano.

Il trattamento ricevuto dalla famiglia è in aperto contrasto con la benevolenza mostrata nei confronti del soldato coinvolto nell’incidente e del suo comandante.

B’Tselem, un’organizzazione israeliana per i diritti umani, ha accusato l’esercito israeliano di essersi “vendicato” per il fatto che la ragazza abbia mostrato le azioni compiute dalle sue forze armate in Cisgiordania.

Probabilmente (l’esercito) spera anche di dissuadere altre famiglie dal diffondere simili prove della brutalità dei militari, specie da quando B’Tselem ha iniziato a distribuire decine di videocamere ai palestinesi della Cisgiordania.

Le scene riprese in video di coloni incappucciati che attaccano degli agricoltori palestinesi nei pressi di Hebron, all’inizio dell’estate, hanno scioccato molti.

Da maggio, quando i suoi 4.700 abitanti hanno iniziato una campagna di manifestazioni perlopiù non-violente per fermare la costruzione del muro di separazione israeliano sulle loro terre, il villaggio di Nilin è stato il centro delle azioni dell’esercito israeliano.

Quando il Muro sarà completato, il villaggio verrà tagliato fuori dal 40 per cento dei suoi restanti terreni agricoli, che saranno di fatto annessi a sei colonie ebraiche che circondano Nilin. Gli insediamenti sono tutti illegali dal punto di vista del diritto internazionale.

Più volte alla settimana gli abitanti del villaggio, insieme a un piccolo numero di sostenitori israeliani e stranieri, si riuniscono nei campi di ulivi in cui i bulldozer stanno devastando i terreni per fare strada al Muro.

La popolazione di Nilin ha tentato diverse forme di protesta non-violenta, compresa una preghiera sul tracciato dei pesanti mezzi, usando specchi per riflettere la luce solare contro i lavoratori, suonando pentole e tegami, e piazzando rocce durante la notte sulla strada dei bulldozer.

L’esercito ha risposto con gas lacrimogeni e granate assordanti, così come – in un’occasione – con proiettili in acciaio rivestiti di gomma e munizioni a salve. Il mese scorso si è saputo che Israele stava sperimentando un nuovo metodo di dispersione della folla chiamato “skunk”, che comprende il lancio di un liquido maleodorante contro i manifestanti.

Nelle ultime settimane, i militari hanno ucciso due giovani, compreso uno, Ahmed Moussa, di dieci anni. L’esercito ha dichiarato che stava lanciando pietre. L’autopsia ha rivelato che era stato colpito alla testa da un proiettile sparato da un fucile M-16.

Questa settimana un soldato ha sparato tre proiettili di gomma da breve distanza ad Awad Surur, un uomo mentalmente disabile, mentre tentava di impedire l’arresto del fratello. Due proiettili sono penetrati nel suo cranio, secondo B’Tselem, che ha denunciato l’esercito per “grilletto-.facile” e crescente “imprudenza”.

I familiari di Salam, come molti altri del villaggio, portano le ferite derivanti dall’aver partecipato alle proteste. La maggior parte dei suoi cinque fratelli è stata colpita da proiettili di gomma, così come suo padre, Jamal Amira, di 53 anni. L’esercito ha bloccato l’accesso al villaggio diverse volte e, secondo i residenti, ha percosso e terrorizzato i suoi abitanti.

Amira è tra gli almeno cento agricoltori i cui mezzi di sussistenza verranno devastati dal Muro. Perderà tutti i 14 ettari della sua terra, i campi su cui i suoi antenati si sono guadagnati da vivere allevando ulivi, cocomeri, melanzane e pomodori.

Ma il filmato di cinque minuti di Salam sull’incidente al posto di blocco, ripreso durante un coprifuoco di quattro giorni imposto sul villaggio, ha soltanto intensificato i problemi della famiglia.

Tre giorni dopo che il video era stato diffuso, l’esercito ha arrestato suo padre nel corso di una manifestazione pacifica. Egli è stato l’unico fermato dopo che l’esercito ha dichiarato che i dimostranti erano entrati in una zona militare con accesso vietato. Amira è stato accusato anche della aggressione di un soldato.

È stato trattenuto per tre settimane e mezzo prima che un giudice militare israeliano respingesse la richiesta dell’esercito di rimetterlo in carcere fino al processo, per altri tre mesi.

Con un avvertimento quasi senza precedenti all’accusa, il giudice ha contestato la tesi dell’esercito, dicendo che non poteva trovare alcuna prova dell’aggressione. (Il giudice) ha chiesto anche perché il padre di Salam fosse stato selezionato tra tutti i dimostranti.

L’avvocato di Amira, Gabi Laski, ha detto che la decisione ha confermato “la nostra rivendicazione preliminare secondo cui l’arresto è stata una vendetta e una punizione per il video ripreso dalla ragazza”.

Ciò nonostante, Amira deve ancora affrontare un processo militare. Un rapporto dell’organizzazione per i diritti umani Yesh Din dello scorso anno ha riscontrato che soltanto nello 0,25 per cento dei casi uditi nei tribunali militari l’accusato è stato dichiarato innocente. Anche in caso di proscioglimento, ci si aspetta che Amira faccia fronte ai costi legali che ammontano a circa 10 mila dollari Usa, una somma che la famiglia dice di non poter pagare.

Al contrario, i due soldati responsabili di aver sparato al detenuto al posto di blocco sono stati ripresi, con l’accusa minore di “condotta disdicevole”. E non affronteranno un processo penale. B’Tselem ha definito la decisione “vergognosa”.

Secondo il gruppo legale Associazione per i diritti civili in Israele (Acri), la punizione in base alla legge israeliane per abusi aggravati su un detenuto è di sette anni di carcere. Gli avvocati dell’Acri hanno avanzato un’istanza sostenendo che la pena indulgente “trasmette agli ufficiali e agli altri soldati un messaggio estremamente grave di disprezzo per la vita umana”.

Il colonnello Omri Borberg, il comandante che ha dato l’ordine di sparare ad Abu Rahma, ha dato le dimissioni, ma è stato immediatamente spostato per vie traverse a un posto di rilievo in un’altra unità. In un attestato di solidarietà, Gabi Ashkenazi, il capo delle forze armate, ha dichiarato che il colonnello Borberg può essere reintegrato in una posizione di comando.

Nel frattempo, gli abitanti del villaggio dicono che il comportamento dell’esercito non li dissuaderà dal protestare, né li spingerà a rinunciare al loro impegno per la non-violenza.

Salah Hawaja, uno degli organizzatori delle proteste, ha detto: “Quando abbiamo dato il via alle nostre manifestazioni, sono arrivati forse 50 soldati. Ora ce ne sono centinaia stazionati in maniera permanente nella zona. Israele ci sta trattando come una importante zona di guerra, nonostante stiamo usando la non-violenza”.

“La popolazione di Nilin ha capito che la maniera migliore per fermare i piani israeliani per sottrarci la nostra terra e lasciarci in un ghetto è la non-violenza”, ha dichiarato Hawaja.

“Dobbiamo mostrare al mondo chi è l’occupante e chi l’occupato. Israele comprende quanto ciò sia pericoloso, ed è la ragione per cui sta usando così tanto la forza contro di noi”.

(Traduzione di carlo M. Miele per Osservatorio Iraq)

L’articolo in lingua originale

*Jonathan Cook è uno scrittore e giornalista britannico che vive a Nazareth

È stato costituito un fondo per sostenere la famiglia Amira. Le donazioni possono essere inviate a: Amira Legal Defense Fund, PO Box 1335, Kfar Saba, Israel 44113. in alternative si può donare con PayPal: http://tinyurl.com/6fekjc  
    

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