Palestinesi e israeliani accampati ai confini di Gaza per due cause opposte

Gaza – Infopal. Centinaia di palestinesi hanno partecipato ad un presidio organizzato sul lato palestinese del valico di ash-Shuja‘iyya (a est di Gaza) dal Comitato popolare contro l'assedio: l’obiettivo era chiedere la liberazione dei prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane e l’apertura dei valichi.
L’evento è coinciso con la campagna di sostegno per il soldato israeliano Gilad Shalit – tenuto prigioniero nella Striscia di Gaza – , dove i manifestanti hanno chiesto l’imposizione di un rigoroso embargo sulla regione e la chiusura di tutti i passaggi in risposta al sequestro.
I palestinesi, da parte loro, hanno sventolato manifesti e bandiere nazionali e cantato slogan, per protestare contro l'assedio imposto da circa quattro anni sulla Striscia e porre fine alle sofferenze del milione e mezzo milione di abitanti bloccati dalle politiche israeliane.
Rivolgendosi ai dimostranti pro-Shalit, il portavoce del Comitato popolare ‘Ali an-Nazli ha dichiarato in una conferenza stampa che “simili manifestazioni non risolveranno il problema, né potranno ottenere il rilascio di Shalit: l'unica soluzione è fare pressioni sul vostro governo”.
“L'occupazione tenta da tre anni di piegare Gaza con l’assedio – ha proseguito an-Nazli – ma senza nessun risultato, perché il popolo palestinese vuole essere libero e vivere con dignità.”

Il portavoce ha d’altra parte sottolineato la situazione catastrofica attualmente presente nella città, sia per lo stato di salute e la morte di centinaia di pazienti – a cui si collega la mancanza di medicinali e di attrezzature mediche – , sia per il disastro ambientale causato dall’embargo. Ha quindi invitato la comunità internazionale a salvare la città martoriata ponendo fine al suo silenzio e alle sue posizioni incerte, prendendo provvedimenti decisivi e imponendo sanzioni all’occupazione.
An-Nazli ha infine ricordato di non confondere due compiti umanitari come la ricostruzione di Gaza e la revoca dell'embargo con qualsiasi altro fine politico, dal momento che i primi riguardano da vicino i diritti civili del popolo palestinese.

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